Storie di vita e di morte nella grande discarica Una comunità ha abitato nel lixão di Alverenga, alle porte di S.Paolo (prima parte)
di
traduzione di Gianluca Notarianni
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Prefazione
La notizia che avremmo dovuto fare un lavoro di conclusione di Corso ci giunse all’inizio del 2001. Per la prima volta avremmo potuto fare, nella Facoltà, un lavoro nel modo che volevamo. Avevamo l’opportunità di realizzare un grande reportage di natura sociale, cosa che difficilmente il mercato del lavoro favorisce. Il lixão (la discarica, ndt) di Alvarenga, in 30 anni di vita è assurta al ruolo di personaggio, con una vita propria, nella storia della grande ABC (Santo Andrè, São Bernardo e São Caetano comuni della cosiddetta Grande São Paulo, ovvero l'hinterland della popolosa capitale, ndr). Inoltre, l’esistenza di una discarica non costituiva solo un problema ambientale, ma anche giuridico-sociale. Avvicinarsi a queste persone doveva essere il primo passo: il più difficile. Capimmo immediatamente che esisteva un rancore nei confronti dei giornalisti. Il maggior reclamo che ascoltammo fu sul modo in cui questi si avvicinavano a loro. Raccontano che arrivano lì solo per scattare foto senza chiedere niente a nessuno, per questo dicemmo che eravamo studentesse il cui obiettivo era far conoscere la storia della loro comunità. Passarono cinque mesi prima che potessimo fare la prima intervista ufficiale. Ciò nonostante, sino alla fine del lavoro (ottobre 2001) la comunità del lixão ancora non si sentiva a proprio agio di fronte alla macchina fotografica. A Luglio 2001 fummo prese di sorpresa: la discarica abusiva fu chiusa. Col tempo furono venduti tutti i rifiuti che ancora avevano un mercato e le famiglie con cui avevamo stabilito un contatto rimasero senza lavoro. Le storie di vita narrate nella nostra indagine cominciano a partire dalla chiusura del lixão, dalla fame che diventò una costante nella loro quotidianità. Glia attori non sono che comparse circolanti attorno al personaggio principale: la montagna di rifiuti di trenta metri e trent’anni di vita. Il lixão di Alvarenga equivale a un palazzo di 10 piani, con un’area di 40 mila metri quadri pari a 363 campi di calcio. Fino alla sua chiusura circa 300 famiglie dipendevano dalla vendita dei rifiuti trovati in mezzo alla discarica. Decidemmo allora di entrare nella casa di una di queste famiglie per capire come fosse il quotidiano di persone che vivono una vita piena di incertezze. Da quando arrivarono da tutti gli angoli del Brasile per tentare la fortuna a São Paulo. Innumerevoli tentativi di sopravvivere nella grande città li ha relegati, alla fine, a un’esistenza che ruota intorno alla discarica. In alcune parti del reportage abbiamo preferito mantenere il parlato originale del personaggio affinché il lettore penetrasse ancor di più in questo mondo sconosciuto. La conoscenza sia delle persone che del lixão ci ha fatto comprendere come questo argomento sia difficile e complesso per poter ricercare una soluzione immediata, ma che intanto le famiglie hanno necessità di condizioni di vita e di lavoro degne di questo nome. I problemi esistenti dal 1972 riguardano civili, autorità pubbliche ed ambientaliste. Abbiamo cercato di analizzare tutti gli aspetti ma abbiamo capito che la complessità della materia non permetteva, in soli 7 mesi, molta investigazione. Felicità ed indignazione. Sono questi i due sentimenti che avvertiamo dopo aver concluso questo progetto che riguarda un caso cosi polemico di abbandono politico, sociale e ambientale. Tutto ciò che abbiamo fatto per gli abitanti del lixão è stato quello di ascoltarli con rispetto dando loro dignità degna di ricordo. Speriamo sinceramente che la società e il potere pubblico facciano ciascuno la loro parte per salvare non solo la vita dei raccattatori di rifiuti, ma anche la natura.
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La fine e la fame Giravamo per le strade strette che dividevano le montagne di pattume che si erano formate a partire dal 1972. Il giorno della chiusura, inoltre, fu per la prima volta che andammo sole attraverso la discarica senza essere accompagnate da nessuno. Per arrivare fino a casa di Wanderley passammo in mezzo ai rifiuti bruciati la notte precedente che emanavano un fetore tanto forte da rimanere impregnato nelle narici: tanfo di carne putrefatta, unito al puzzo di gomma bruciata e zolfo. Arrivammo a casa di Wanderley, lo facemmo chiamare dal padre Manoel, ma lui ci disse che non stava in casa. In quel momento giunse Washington, il terzo figlio di Wanderley, che nelle mani aveva una busta di plastica con 6 pani. Entrammo in casa.Una discesa sdrucciolevole dava accesso alla piccola casa al cui interno stavano Ivanilda, moglie di Wanderley, e gli altri 3 figli Aline, Luciléia e Vinicius.Un tavolo, una televisione, un armadio e poche sedie costituivano il semplice arredamento della casa; la veranda era piena di bidoni d’acqua usata per bere, per cucinare, per la pulizia personale e della casa, e una volta alla settimana camion-cisterna approvvigionavano le case. Conversammo un poco con Ivaninilda su quello che poteva succedere dopo la chiusura della discarica e lei ne aveva paura, poiché non sapeva come sostentare i suoi 4 figli. La rendita familiare fino a quel momento era data dal lavoro di Wanderley nel lixão e dalle pulizie che lei faceva ogni 15 giorni per soli 40 reais. Mentre parlavamo con lei, il figlio minore Vinicius mangiò voracemente 5 pani. Quando Aline lo vide si arrabbiò e disse “ Vado a garantirmi il mio”. Prese l’ ultimo pane e lo nascose nell’armadio.Dopo aver conversato con Aline ritornammo all’entrata della discarica, dove si erano radunati molti più abitanti che erano preoccupati per il loro futuro. Molti di loro ancora non erano a conoscenza della chiusura. La disperazione delle persone era determinata dalla perdita del lavoro, non sapevano cosa potevano fare a partire da quel momento. Fino al giorno della chiusura, il municipio di Diadema ancora non aveva definito un programma per il loro ricollocamento nel mercato del lavoro. Il municipio di São Bernardo affermava che le famiglie che abitavano in quel comune già partecipavano a un programma a partire dal 1997 per produrre un salario attraverso corsi e lavori tenuti presso il Centro di Riciclaggio, ma che fu inaugurato solo nel gennaio di quest’ anno (anno 2001, ndr). Dopo vari segnali sulla chiusura del lixão, iniziati con la creazione del Cetesb ( Compagnia di Tecnologia e Risanamento Ambientale) nel 1976, l’azione del giorno 16 sembrava essere concreta. La definitiva chiusura della discarica fu annunciata il 5 di luglio dai comuni di São Bernardo e Diadema. Con una grande operazione in cui venivano annunciati la presenza di controlli all’ingresso della discarica. L’entrata principale dei veicoli fu chiusa, e nelle altre tre, dove i camion difficilmente passavano, furono collocati divieti di accesso. A partire da quel giorno fu vietato il passaggio a qualsiasi veicolo diretto all’immondezzaio. Lo slogan utilizzato dal comune di São Bernardo per annunciarne la chiusura era Il Lixão di Alvarenga sarà chiuso - non lasciare che l’ immondizia sia il tuo vicino. Dopo l’effettiva chiusura della discarica, le famiglie che vivevano con la vendita dei rifiuti passarono a dipendere dalla fortuna e dai programmi sociali organizzati dai Comuni. Non esisteva alcuna prospettiva di lavoro. La famiglia di Wanderley fu una delle 144 il cui futuro rimaneva incerto. Comunque sia, la sua chiusura non avrebbe risolto tutti i problemi legati ad un lixão di 40 ettari situato in un’area di protezione delle acque. L’area, infatti, si trova ad appena 300 metri dal bacino di Billings le cui acque riforniscono la grande ABC. Oltre a questo, 144 famiglie dipendevano economicamente dalla sua esistenza e ora erano rimaste senza alcuna prospettiva di vita. Il giorno 16, la sfida per recuperare quest’ area era appena cominciata.
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Il
lupo Guarà
Tanti
nomi per una persona sola. Guarà. “ E’ lo stupido soprannome che
mi diedero”. E’ cosi che Wanderley Augusto, nome artistico di Josè
Everaldo Bezerra Oliveira, definisce uno dei suoi tanti soprannomi. “
Le persone qui mi conoscono con questo nome, se domandate di Wanderley
nessuno saprebbe dirvi chi sia”. A casa sua lo chiamano vezinho,
nonostante sia un uomo di 30 anni. Il 1° aprile 2001 noi lo aspettavamo
nella Strada di
Alvarenga, all’entrata situata nel comune di São Bernardo. Era la prima
volta che andavamo al Lixão. Un connubio di timore e ansia ci assalì.
Arrivò un Fusca (nome dato in Brasile al Maggiolino Wolkswagen).
Era lui. Fu il primo di una serie di incontri che avemmo con lui. Mentre
camminavamo avvertimmo una sensazione di mistero. Quando si sale per la
ripida e stretta strada, circondata dalla boscaglia, gli sguardi si
perdono tra alberi e rifiuti. A volte, se il giorno è umido, è possibile
percepire il profumo del verde bagnato dalla rugiada. Improvvisamente ci
apparvero le case e l’immenso lixão. La prima volta che si sale su
quella montagna di rifiuti l’esperienza è impressionante. Terra,
rifiuti e miasmi terrificanti. Camminando nel lixão, si vedono solo
montagne create da cumuli di residui di materiale da costruzione, di tanto
in tanto appaiono cani e topi morti oltre a resti avariati di cibo. Fino
al 16 luglio 2001, i camion continuarono a fare la spola da e per il lixão.
Il movimento era scarso e si limitava alle giornate di domenica, nelle
quali solo poche persone andavano a raccogliere oggetti di cui avevano
bisogno. A partire dal 1987, Guarà vive con i rifiuti. Lui fa parte di quella moltitudine di nordestini che emigrarono dalle loro terre natie in cerca di fortuna nel Sud-Est. A 15 anni lasciò Arco Verde, nello stato di Pernambuco, per seguire i genitori Manoel e Maria do Socorro. Vissero in una casa in Americanopolis, zona Sud della capitale Paulista. Secondo lui negli anni ottanta “ la gente poteva scegliere il lavoro che voleva”. Lavorò in un laboratorio di assistenza e subito dopo in una fabbrica. Dopo circa 2 anni la sua famiglia si trasferì nei pressi del lixão. Lui disse che i genitori considerarono il posto più tranquillo. Cominciò allora a lavorare come guardia notturna in un negozio di mobili a Diadema. In questo periodo, all’età di 19 anni “ andando a spasso per la strada” conobbe Ivanilda, che fu sua moglie fino all’ agosto del 2001.”Io ero uscito per andare a lavorare e ci conoscemmo per strada. Andò così”. Risposta semplice per raccontare l’inizio di una relazione difficile. Successivamente cominciò a lavorare come portinaio di un condominio. Quando perse quest’impiego, il fratello maggiore lo chiamò per andare a lavorare nel lixão. "Dissi, non lo so. Io ero già abituato a lavorare in azienda. A quel punto non ebbi nessun altra scelta, già ero padre e dovetti accettare. Ma lo feci per i miei figli non per me”. Lavorare tra i rifiuti fu la maggiore difficoltà che incontrò da quando era arrivato. “ E’ un tipo di lavoro che pregiudica la salute a causa del cattivo odore e dell’ambiente malsano. Le persone danno l’impressione di non avere altra scelta. Oggi non puoi sceglierti il lavoro come accadeva prima”. Continuò allora a fare due lavori, fino a quando non decise di lavorare solo nel lixão.” La notte lavoravo in una radio come tecnico del suono. Il giorno stavo nel lixão. Mi accorsi che lì giravano parecchi soldi. Dissi alle persone della radio che avevo trovato un altro impiego e dovevo andare via”. A
quel tempo solo Diadema aveva ricevuto dal Cetesb (Compagnia Tecnologica
di Protezione Ambientale) il permesso di utilizzare l’area per scaricare
i rifiuti. In quest’area, di pertinenza del comune di Diadema, solo il
10% del suo totale - pari a 40 mila metri quadrati - era una discarica
controllata. L’altro 90% che fa parte del comune di São Bernardo
cominciò a essere utilizzato come discarica abusiva e presidiato dagli
stessi raccoglitori di rifiuti. Quest’area era divisa in vari
appezzamenti, e ognuno era proprietario del proprio spazio. Le persone che
lavorano lì sopravvivevano chiedendo un pedaggio, tra i 5 ed i 10 reais,
ai camion delle imprese private che volevano buttare i rifiuti. E
guadagnavano ancor di più rivendendo i rifiuti già separati. Guarà
guadagnava dai 3 ai 5 mila reais al mese (3 - 5 milioni di lire).
La cifra variava a seconda del materiale venduto. Un camion pieno
di carta valeva anche 300 reais. Secondo lui ogni giorno andavano via due
camion pieni di carta. Tutto questo denaro veniva diviso con il fratello
che viveva a Iguane. Guarà dice che loro stessi chiamavano le imprese per
accordarsi su come scaricare i rifiuti. Ma l’idea di controllare uno di
questi appezzamenti del lixão cominciò a dargli problemi. Quando gli
altri scoprirono che lui e il fratello stavano guadagnando molto, iniziò
una lotta per disputarsi i camion. Questo fatto generò discussioni e
disaccordi nella comunità del lixão. Guarà
disse che riceveva molte minacce: “ a volte succedeva che mentre
tutti lavoravano arrivava un camion e tutti litigavano per assicurarsi il
carico”. Per evitare litigi iniziò ad andare al lavoro armato per
proteggere il proprio spazio, ma disse di non aver mai utilizzato la
pistola. Dopo che iniziò ad abituarsi a questo tipo di lavoro, confessò
che la cosa più importante che aveva imparato era quella di guadagnare
denaro, perché così aveva raggiunto il suo scopo:” Comprai la mia
casa e la macchina, oltre agli strumenti che sempre avevo desiderato. Ora
ho tutto quello che è necessario per suonare, anche se non è il meglio
del mercato”. Guarà
faceva quello che gli piaceva quando andava a Brasilandia, nella zona
Ovest di São Paulo, a suonare il forrò (musica tipica del
Nord-Est, ndr) con la sua tastiera.
Guadagnaca 80 reais quando suonava dalle 22 alle 4 del mattino. “
Registrare il mio cd, avere successo e poter aiutare la mia famiglia e
qualcun’ altro che ne avesse bisogno, come io ho bisogno in questo
momento”. Sogni che alimentava per il periodo successivo alla
chiusura del lixão, quando incominciò a dipendere dal denaro guadagnato
durante quelle notti di forrò. Il 4 agosto desiderava ancora portare
i figli in un altro luogo. “ Loro si sono abituati perché sono nati
qui. Ma io non voglio che crescano in questo posto. Volevo portarli in uno
più tranquillo, dove ci fosse una scuola,
una guardia medica più vicina. Questo non è più un luogo salubre:
troppe esalazioni, troppo inquinamento, miasmi insopportabili. Il
26 dello stesso mese, Ivanilde pose fine ai sogni del marito bruciandogli
la tastiera. Lo strumento era il bene più caro acquistato con il denaro
del lixão. Con lui aveva la possibilità di avvicinarsi a quelli che
considera i maggiori piaceri della vita: suonare e cantare. Fu la scoperta
della tastiera e l’ingresso nel mondo artistico che modificarono il nome
di Everaldo in Wanderley Augusto. Dopo
il litigio con Neca, abbandonò la famiglia ed andò a vivere a
Brasilandia. Tutto quello che aveva conseguito di meglio dalla vita, si
dileguò. Mancanza di lavoro, distruzione della sua tastiera, separazione
dalla famiglia e cambio di casa.
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I genitori del lupo
“Io ho già sofferto tanto nella mia vita al punto che se parlassi delle mie sofferenze voi piangereste”. Manoel de Oliveira, 74 anni. E’ un uomo basso con i capelli bianchi, sorridente e con un cappello di cuoio in testa. Il suo modo di parlare è tipico del Nord del Paese. Racconta che proviene da terre lontane ed aride. “Sono figlio naturale della Paraiba. Ho due origini. Mio padre era figlio naturale di Bahia quando, da bambino, si trasferì nel Paraiba e mi registrò come Paraibano. Sua madre “è figlia naturale di Pesquiera.” Da quando fu registrato nel municipio di Monteiro (Paraiba), Manoel conserva storie di "vita sofferta” come lui stesso le definisce. “Lavoravo notte e giorno, durante le notti di luna piena non dormivo: lavoravo. Il sogno di tutta una vita fu di avere una fazenda, un cavallino e una mucca da cui prendere il latte. Ma non ho mai potuto. Lavoravo solo per poter mangiare.”. Manoel insieme a Maria do Socorro Bezerra Oliveira, madre di Wanderley, ebbe 13 figli. Ma lui era padre anche di altre due bambine figlie del suo primo matrimonio che terminò con la morte della sua prima moglie. La prima moglie cercò di uccidersi, chiese alle due figlie di 4 e 7 anni di uscire fuori di casa, si cosparse la testa di benzina e si diede fuoco. Le gravi ustioni la fecero morire. Dopo due mesi Manoel incominciò una relazione con Maria do Socorro che va avanti da 41 anni . “Lui era vedovo. Sua moglie morì a maggio ed in luglio ci siamo fidanzati. Passò più di un anno perché potessimo sposarci. Andammo ad abitare nel Sororò e lì ci sposammo.” Lei aveva 21 anni. Maria do Socorro allevò le due bambine del primo matrimonio di Manoel, anche se loro non la chiamarono mai mamma. Si formò dunque la famiglia che poco tempo dopo emigrò per São Paulo. “Ricordo che arrivai qui il 24 maggio del 1987”. Prima di venire con gli altri 11 figli, tre vivevano già a São Paulo. Questo trasferimento definitivo fu il secondo tentativo di migliorare le condizioni di una vita sofferta. Manoel si ricorda che la prima volta non ebbe fortuna in quanto non trovò nessuna chácara dove potesse stare con tutta la famiglia. E allora lui ritornò per il “Vecchio Norte”. “Cercai una chácara dove lavorare. Arrivai qui, mi impegnai ma non trovai niente.” Dietro
insistenza dei tre figli che si erano trasferiti a São Paulo, la famiglia
emigrò. “Venimmo qui perché lì era difficile vivere”
ricorda Maria do Socorro. “Dopo aver vissuto un anno a Jabaquara
trovammo una chácara dove Manoel poteva lavorare.” Era la chácara
del giapponese dove il padre di Guarà ancora oggi continua a
lavorare. “Arrivai lì la chácara era così grande che ebbi un po’
di paura. Un
anno dopo uno dei figli comprò un terreno del Lixão. Così è iniziato
il legame della sua famiglia con la discarica. La madre di Wanderley ,
quando vide per la prima volta la montagna di rifiuti, disse che se ne avesse avuta la possibilità sarebbe andata via il giorno
successivo.”Ho vissuto 40 anni nel Norte. Ne ho molta nostalgia,
ma se ritorno laggiù, oggi che cosa
potrei fare? Continua dicendo che vivere vicino ad una
discarica era difficile. “C’ erano giorni in cui non riuscivamo a
sopportare il tanfo del lixão ma ora si sta meglio perché è stato
chiuso. Adesso non c’è più nessuno che ci lavora, c’è solo gente
che piange e ha fame. Viviamo con paura perché dicono che il lixão può
esplodere da un momento all’altro in quanto sarebbe pieno di gas.” Ma
non è solo la madre di Wanderley a non
sapere se l’area corre il rischio di esplosioni oppure no. In
trenta anni di esistenza e di progetti di recupero ambientale , furono
effettuati appena due studi. Uno realizzato tra il 1993 ed il 1994
dal Cepas/ USP (Centro di ricerca delle acque sotterranee dell’
Università di São Paulo), l’altro nel 1998 da parte dell’IPT
(Istituto di Ricerca Tecnologica) su richiesta del Municipio di São
Bernardo. Lo studio del Cepas affermò
che esistevano seri problemi di contaminazione delle acque sotterranee a
causa del percolato che si infiltrava nelle falde acquifere. Oltre all’
impatto ambientale furono osservati seri
problemi di natura socio-economica che l’ esistenza del lixão creava.
Lo stesso coordinatore dello studio, Alberto Pacheco, disse che per avere
certezza di quello che esisteva nel sottosuolo era necessario condurre
indagini più approfondite. Le
ricerche effettuate dall’IPT indicavano le modalità per il recupero
dell’area. Ma perché tutto ciò avvenisse erano necessarie maggiori
indagini conoscitive che iniziarono,
come afferma Sonia Lima, direttore del Dipartimento Ambientale di São
Bernardo con la sua chiusura. Ma fino all'ottobre del 2001 nessun passo
era stato fatto dal momento che, il 16 Luglio,
la discarica era stata chiusa. E' per questo che la frase di Dona
Socorro riflette l’incertezza intorno a quello che esiste all’ interno
della montagna di rifiuti di 30 metri di altezza “La gente diceva
queste cose, ma nessuno sa”. Nonostante
i 4 figli dipendessero dal lavoro nella discarica, Socorro ritiene che la
fine del lavoro tra i rifiuti sia stato un bene per le famiglie. ”I
miei figli lavoravano lì sopra: Zè, Everaldo, Edenilson e Eraldo.
Ritenevo tutto questo orrendo. Questo mio dolore alla gamba è dovuto al
fatto che salivo sul cumulo di
rifiuti 5 - 6 volte al
giorno. Avevo paura perché tutti lavoravano armati. Ma, grazie a
Dio, ora sono tranquilla”. Ci disse che dei suoi figli solo
Wanderley possedeva un’arma, ma che aveva smesso di portarla. Chiedemmo
perché portava con sé
un’arma. Ci rispose che ogni volta che arrivava un camion avvenivano
molti litigi. Ognuno aveva i suoi camion. Ma lui non sparò mai contro
qualcuno. La casa di alvenaria dove vivevano aveva tre comodos, ma
Manoel ancora non aveva finito di costruirla. La sua costruzione era
stata iniziata da Zé. E allora decisero di trasferirsi dalla casa di
Barba, il suo primo figlio, per comprare una casa nos arredores do lixão.
Il posto in cui vivono si trova proprio di fronte alla collina da cui si
accede alla discarica abusiva. Nonostante ciò, Manoel non pensò mai di
lavorare raccogliendo i rifiuti. I figli gli dicevano di andare a lavorare
lì, perché sarebbe stato molto vicino. “ Voglio andare al lavorare
dal giapponese”, rispondeva Teimoso. Lui guadagnava 15 reais
al giorno. Prima che il lixão chiudesse, Everaldo e Zé con il loro
lavoro aiutavano la famiglia. “Dipendevamo sia dalla pensione di mio
marito - 180 reais -, sia dalle costurinhas
che faccio, oltre ad altri 180 reais portati dalla mainha. Mio
marito, da quando è giunto dal Norte, ha sempre
lavorato dal giapponese. Nessuno di noi mangia molto. Siamo noi 4: io, il
Vecchio, Cau e la mainha”, dice Maria do
Socorro. Dopo la chiusura del lixão la situazione finanziaria
della famiglia non mutò di molto. Per lei l’unica differenza, dopo il
16 luglio, era il silenzio che era calato. “E’ cambiato tutto perché
una volta di notte la gente non riusciva a dormire per il rumore provocato
dai camion. Ora è molto più tranquillo. Nonostante Manoel
affermasse che le condizioni di vita fossero migliorarate dopo la
chiusura, egli continuava a essere dubbioso. “Questo lixão era il
pane quotidiano per tutte le famiglie che vivono qui”.
Nel tragitto che Manoel fa dalla chácara del giapponese,
che si trova anch’essa nella Strada di Alvarenga , lui ricorda il tempo
in cui il lavoro nella discarica ancora esisteva, quando ritornava dal suo
lavoro, guardava in alto e vedeva una coltre di fumo salire dal lixão.
Racconta che i bambini avevano problemi respiratori. Se qualcuno stendeva
i vestiti ad asciugare, diventavano neri a causa delle esalazioni. Maria
do Socorro e Manoel ci dissero che non sarebbero ritornati al Norte perché
i loro figli vivevano a São Paulo. La madre di Guarà diceva che vivere
nella capitale Paulista è vantaggioso perché “tutto ciò che
produce, si riesce a vendere. Lì al Norte non è così, si soffre
soltanto” .
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Naca Una donna di 26 anni, e con la voce molto roca. Quattro figli da crescere: due bambine e due bambini. La primogenita, Aline, nata quando la madre - bambina Ivanilda Aparecida Souza aveva solo 15 anni. Dopo 11 anni, la donna che è rimasta al fianco di Guarà, dice: “ho cresciuto Aline come se fosse una bambola, per me lei è un gioiello”. Dopo aver avuto Lucileia, Washington e Vinicius, Naca, come è chiamata dai suoi familiari, fece una breve riflessione sulla sua vita. L’ultimo figlio, Vinicius, nacque 4 anni fa dopo una difficile gravidanza. La settimana prima che nascesse, Naca fu segnata da quello che lei giudica il peggior giorno della sua vita: la morte per omicidio di Claudemir, il suo fratello più giovane. “Lui morì nel 1998. Non sapemmo cosa accadde. Era un a ragazzo che non aveva nemici. Io ero in attesa di Vinicius. La mia gravidanza fu complicata, ebbi un inizio di aborto, facevo dei controlli. Quel giorno io stavo molto male, andai dalla guardia medica, ma era chiusa. Claudemir tornò dal lavoro, aveva comprato una macchina fotografica per farmi le foto all’ ospedale. Dopo lui uscì per andare a portare un regalo all’ altro nostro fratello che si sarebbe sposato il sabato successivo, e non è più ritornato” Piccoli dettagli della vita di Ivanilda mostrano la sofferenza che si prova a perdere un fratello. “Alle 5 del mattino, ebbi un presentimento, andai a casa di mia madre. Aprii la porta e non lo vidi disteso sul divano. Mia madre era già sveglia, preoccupata per Mica (soprannome di Claudemir, ndr). Era al matrimonio dell’ altro mio fratello, Cleber, che stava aspettando Mica per andare con lui in un ufficio pubblico. Cleber scese per la strada di Alvarenga per andare a fare acquisti. Quando ritornò, disse: “qualcuno è morto” ma non immaginavo che fosse lui. Tutti qui già sapevano, ma nessuno aveva il coraggio di dircelo. Dentro di me sapevo che qualcosa era successo. La
notte mio cognato venne a chiamare Everaldo. Ritornò bianco in volto e
lì capì cos'era accaduto. Impazzì dal dolore. Volevo andare a casa di
mia madre, ma lui non
me lo permise. Quando ci andai, lei era svenuta. Io
rimasi scioccata: non svenni, non
piansi, rimasi rigida come se fossi paralizzata. Il feto smise di
muoversi nello stesso momento. Rimasi ore senza muovermi. Non volevano
che io andassi al funerale. Andai lo stesso. Per me, questo fu il
peggior giorno della mia vita. Mi rivolgo a Dio dicendogli che
preferirei morire piuttosto che soffrire di nuovo così. Ancora non si
sa cosa sia successo. Fu ucciso con due colpi di pistola, uno al petto,
l’ altro alla testa. Io ancora
non lo accetto. Non c’era alcuna pista da seguire ed il caso fu archiviato.” Naca fa parte di una delle prime famiglie che presero possesso dei terreni situati intorno alla montagna di detriti. Accadde nel 1977, due anni dopo la creazione di leggi atte a salvaguardare le aree mananciais, che ancora oggi cercano di proteggere quel poco che è rimasto di mata (foresta) nativa.“Ricordo che qui era tutta una foresta. Questa baraccopoli non esisteva.” Anche Ivanilda assistette per anni all’arrivo di cumuli di rifiuti trasformatisi nella grande montagna che attualmente raggiunge l’altezza di quasi 30 metri. Ha visto la topografia dell’ area trasformarsi. Oltre a vedere le baracche in costruzione, vide il pattume modificare i rilievi della zona.“Quei rifiuti, prima erano pochi, ora qui è tutta spazzatura”. Il Lixão si formò nel fondo della valle, ossia il luogo dove si formano i fiumi. Lei ricorda con precisione la prima volta che si avvicinò al monte di rifiuti: “Un giorno, quando aveva quattro anni, mia madre andò sul Lixão e mi disse di restare in casa da sola. Dopo poco la seguii. Spettinata, piangente, fu cosi che scopersi il Lixão. Nel vederlo rimasi sconvolta. C’era una moltitudine di persone. A
quel tempo i due municipi, Diadema e São Bernardo, scaricavano i loro
rifiuti lì. In quel momento un camion stava scaricando scatole di
cioccolato. Me ne fu regalata una ed io piangendo,
spaventata e morendo di paura per la presenza del camion, andai via
con la scatola di cioccolata in mano. Mia madre non voleva che lo
mangiassi perché era molto caldo, e io piangevo ancora di più.” La
madre di Naca, Maria
Aparecida, andava a lavorare nel Lixão
di notte per prendere cibo per i
maiali che allevava. Secondo Ivanilda, lavorare di notte era meglio, perchè
c’era meno gente e si riusciva a prendere più roba. Lei cominciò ad
aiutare la madre nella raccolta di rifiuti all’età di dieci anni. Ivanilda,
a cui era sempre piaciuto andare a scuola, dovette smettere per allevare
la la prima figlia di Ivonne, la sorella più grande. Dopo essere stata
stuprata rimase incinta, e ebbe necessità di andare a lavorare. Oggi, la
figlia, Claudia, ha 16 anni. Naca dovette lasciare gli studi.
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Storias de vida e de morte na descarga Uma comunidade morou no lixão de Alvaranga perto de S.Paulo (primeira parte)
por
tradução em italiano por Gianluca Notarianni
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Apresentação
Naca Uma
mulher de 26 anos e voz muito rouca. Quatro filhos para criar: duas meninas e dois meninos. A primeira, Aline, nasceu quando a menina-mulher Ivanilda Aparecida Souza tinha 15 anos. Após onze, a mulher que ficou ao lado de Guará nos últimos 11 anos diz: "Eu criei a Aline como se fosse uma boneca. Para mim, ela era um
brinquedo." Depois de ter também Lulciléia, Washington e Vinícius, Naca, como é chamada entre os familiares, faz uma breve reflexão sobre sua vida: "Eu sou muito nova. Além de ter acabado comigo, tô acabando com eles. Acho que não sou madura o suficiente. Nós (ela e Guará) sufocamos a nossa
vida".O último filho, Vinícius, nasceu há quatro anos, depois de uma gravidez difícil. Uma semana antes de ele nascer, a vida de Naca ficou marcada, segundo ela, com o pior dia de todos: o assassinato de seu irmão mais novo,
Claudemir. "Ele morreu em 98. A gente não sabe o que aconteceu. Era um menino que não tinha inimizade com ninguém daqui. Um dia ele saiu. Eu tava grávida do Vinícius. A gravidez do foi bem complicada, tive começo de aborto, fazia um controle para ver se eu conseguia segurar até os sete meses. Nesse dia, eu tava muito ruim, tinha vindo do posto de saúde. Estava de repouso. Claudemir chegou do serviço. Isso era sexta-feira e eu ia ter o Vinícius na outra sexta. Ele tinha até comprado uma máquina para bater foto de mim no hospital. Era doido para que eu fizesse coxinha para ele e nunca tinha feito. Aí me pediu para eu fazer e saiu para comprar as coisas. Voltou e fiz as coxinhas para ele. Comeu um prato cheio. Ele saiu e falei: "Não vai não!". Disse que ia levar o presente para o meu outro irmão, que ia casar no sábado. Eu disse para ele não ir, sei lá por quê. Mas ele disse: "Vai saber se amanhã eu vou estar vivo. Vou levar o presente agora." Saiu com o presente na mão. E não voltou mais."
Pequenos detalhes da vida de Ivanilda mostram o sofrimento de perder o irmão. "Quando eram cinco horas da manhã, eu estava com um aperto no peito, levantei e fui na casa minha mãe. Abri a porta, olhei para o sofá e não vi ele deitado. Minha mãe estava de pé, preocupada com o Mica (apelido de Claudemir). Era casamento do meu outro irmão, do Cléber, que estava esperando o Mica para ir para o cartório com ele. O Cléber saiu e nós fomos comprar as coisas para fazer a festinha dele. O meu irmão desceu para o Alvarenga para comprar as coisas e viu o IML. Na volta, ele até falou: "Morreu alguém", mas nem imaginava que fosse ele. Todo mundo aqui já sabia, mas ninguém tinha coragem de contar para a gente. Aí bateu o desespero. Dentro de mim eu já sabia que algo tinha acontecido. Eu pedi pelo amor de Deus para o Everaldo procurar o meu irmão. Eu não conseguia nem andar, meus pés estavam inchados e, se eu descesse um degrau, já tinha hemorragia. Me sentia inválida, porque não podia fazer nada. Eu não comia desde sábado, só chorava. À tarde, eu consegui cochilar abraçada com um álbum de fotos dele. Quando foi à noite, meu cunhado foi chamar o Everaldo. Voltou branco. Só de olhar para ele eu já descobri. Pirei. Queria ir na minha mãe e ele não deixava. Quebrei até a TV nesse dia. Quando cheguei na casa da minha mãe, ela estava desmaiada. E eu entrei em choque, nem desmaiei, nem chorei, nem nada. Fiquei dura, paralisada. O nenê parou de mexer na mesma hora. Fiquei horas sem ação. Não queriam deixar eu ir no enterro. Eu fui. Para mim, esse foi o pior dia da minha vida. Eu falo para Deus que, se eu tiver que passar por mais uma dessas, eu prefiro morrer. Até hoje ninguém sabe o que aconteceu. Ele morreu baleado. Uma bala no peito e uma na testa. Eu não me conformo. Não tinha pista de nada e o caso foi
arquivado." Um dos pedaços da vida de Ivanilda que, aos poucos, foram surgindo nos arredores do Lixão, desde quando chegou lá, há 24 anos. Ela tinha apenas dois anos.
Naca faz parte de uma das primeiras famílias que tomou posse dos terrenos localizados aos arredores da montanha de lixo. Isso foi em 1977, dois anos depois da criação das leis dos mananciais, que ainda hoje tenta proteger a área de invasões que podem destruir definitivamente o pouco que resta de mata nativa. "Lembro que isso aqui era tudo mato. Não tinha esse monte de barraco".
Ivanilda também viu os montes de lixo aos poucos irem se levantando, para se transformarem na grande montanha de lixo de aproximadamente 30 metros de hoje. Ela presenciou as transformações na topografia do lugar. Além de ver os barracos irem se formando, viu os resíduos mudarem todo o relevo do lugar. "Aquele lixo, aquilo era baixinho, aquilo tudo é lixo." O Lixão se formou em um fundo de vale, ou seja, local de nascente de rios.
Ela lembra com precisão a primeira vez que se aproximou do monte de resíduos: "Um dia, quando eu tinha quatro anos, minha mãe foi para lá e disse para eu ficar sozinha. Passou um pouco e lá fui atrás dela. Descabelada, chorando. Foi aí que descobri onde era o lixão. Fiquei perdida olhando aquilo. Era muita gente
mesmo.Nessa época, as duas prefeituras, Diadema e São Bernardo, jogavam lixo lá. Eles estavam jogando um caminhão de Prestígio. Pegaram e me deram uma caixa de Prestígio e eu, chorando, assustada, morrendo de medo da máquina. Vim embora com a caixa de chocolate na mão. Minha mãe não queria deixar eu comer porque estava quente. E eu chorava mais ainda
porque queria comer." A mãe de Naca, Maria Aparecida, ia trabalhar no Lixão à noite para pegar lavagem para os porcos que criava. Segundo Ivanilda, trabalhar à noite era melhor porque tinha menos gente e dava pra pegar mais material. Ela começou a ajudar sua mãe no trabalho quando tinha dez
anos. Tempos depois, Ivanilda, que sempre gostou muito de ir para escola, teve de parar de estudar para cuidar da primeira filha de Ivone, a irmã mais velha. Após um estupro, ela ficou grávida de uma menina e precisou ir trabalhar. Hoje, a filha, Cláudia, tem 16 anos. Como Maria Aparecida também não podia cuidar da menina, Naca precisou sair da escola.
Com 13 anos, Naca tentou voltar a estudar, mas percebeu que estava muito atrasada e parou novamente. Voltou aos estudos em 1999, para participar da parte
administrativa da Associação dos Catadores que cuida do Centro de Ecologia e Cidadania, idealizado pela Prefeitura de São Bernardo.
A idéia nasceu após a Prefeitura realizar, desde 1997, vários cursos profissionalizantes com 92 famílias moradoras do lixão, anteriormente cadastradas. Essas pessoas poderiam residir tanto em São Bernardo como em Diadema.
Dalva Pagani é assistente social da Secretaria de Desenvolvimento Social e Cidadania de São Bernardo. Ela participa desde de 1997 da implantação desses cursos. Ela diz que, após rumores de que o lixão seria fechado, pensou-se no Centro como um local de trabalho fixo para os trabalhadores.
Assim, em 1999, começou o curso de capacitação de 45 famílias cadastradas para participar da Associação dos Catadores. Os próprios catadores cuidariam do Centro por meio de cooperativa. Ivanilda foi uma das pessoas que participou da Associação.
O Centro de Ecologia e Cidadania foi inaugurado em janeiro de 2001. O trabalho no local é separar o lixo reciclável coletado em 205 ecopontos de coleta voluntária espalhados por São Bernardo. Após separado, os trabalhadores vendem a empresas interessadas na compra do material. No primeiro mês de trabalho, cada família ganhou aproximadamente R$ 70. Por isso, alguns catadores retornaram ao lixão: "As pessoas foram honestas com a gente. Disseram: 'Olha, a gente vai voltar a catar no lixo porque dá mais. E se fechar mesmo, a gente volta'", lembra
Dalva. Ivanilda foi uma dessas pessoas que abandonou o Centro. Ela trabalhou lá de fevereiro a maio de 2001. Naca diz que Guará pediu a ela que saísse para cuidar dos filhos. Eles não estavam indo à escola e Vinícius, o caçula, precisava de alimentação controlada por ser obeso.
/// fim
da primeira parte |