Cingoli, ciclostili e profumo di tè Il boom letterario brasiliano 30 anni dopo
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Ogni
felicità è memoria e progetto.
(Cacaso, da "Beijo na boca" ) L'idillio – questa sorta di stato di grazia condannato alla fugacità – non esiste solo per gli amanti. Esistono idilli per tutte le esperienze della vita, come per il viaggio (idillio con la natura e la cultura), per il lavoro (idillio con la vocazione) e per l’arte (idillio col linguaggio). Ebbene, in questo breve pezzo di storia letteraria cercherò di raccontare in modo molto personale, frammentario e, lo so bene, a volta anche impreciso, il mio idillio con la vita dello scrittore. Rispondo così a un invito della rivista Musibrasil.net, scaturito dai ricordi affiorati alla mia memoria e a quella di Fabio Germinario, direttore della testata con la pubblicazione bilingue delle poesie di Cacaso, scrittore di Rio come me, contemporaneo e complice, morto in giovane età come si conviene ai poeti e ai rivoluzionari. Questo mio
idillio ha una definita cornice storica, la metà degli anni ’70, un
luogo, la fascia metropolitana e più cosmopolita del Brasile, che va da
Belo Horizonte a Porto Alegre, e un nome ufficiale: il Boom Letterario
Brasiliano. A quell’epoca erano già trascorsi – ma erano ancora di
freschissima La magra e
fragile intenzione di apertura del regime sbocciava mentre i musicisti del
periodo precedente, da Caetano a Chico Buarque, ma anche registi come
Glauber Rocha e Marcos Medeiros, erano ancora in esilio. Per i più
giovani che erano rimasti in patria quel barlume era stato sufficiente per
ridestare un grande coraggio creativo e un desiderio di partecipare alla
vita pubblica, di trasformare lo spiraglio promesso da Geisel in
un’autentica porta verso il futuro, se necessario in contrasto con lo
stesso Governo. E fu proprio così che avvenne. Ma quei giovani
cosa sapevano fare? Di quali armi disponevano? Sapevano scrivere storie e
poesie, non di piú. In qualche caso anche un romanzo, una pièce
teatrale.
Come si
chiamavano? Cacaso o Júlio, come abbiamo visto, e poi Domingos,
Chacal, Caio, Ana, Glauco, Barreto, Vital,
Emediato, Elías, Tania, Fiorani, Duilio,
Leminski, Charles, Brasigóis, Reinoldo, Carlos
Emilio, Leila,
Roniwalter, Nei, Márcio, Marcia e tanti altri, con le loro rigogliose e
ricciute capigliature fino alle spalle, affluivano da tutte le parti del
paese verso le capitali del Sud, a volte con un biglietto di sola andata e
senza un cruzeiro in tasca. E come
diffondevano i loro scritti? Per prima cosa occorre ricordare che gli
editori di allora, a parte il terrore che avevano di cadere nelle grinfie
dei censori (in alcune case editrici, come nella Civilização
Brasileira, i censori lavoravano
Ebbene, senza
case editrici alle loro spalle, come avevano fatto i ragazzi della
generazione del boom? Decisero innanzitutto di pubblicare essi stessi le loro cose,
o meglio, di stamparle artigianalmente, copia per copia, a volte anche a
mano, con disegni diversi per ogni copia, oppure con le fotocopie di
allora, con i ciclostili elettrici e quelli ad alcool, i caratteri di un
azzurro forte (e quell’odore penetrante ce l’ho ancora oggi nelle
narici), per poi venderli o regalarli, quei libercoli, nei ristoranti di
una bohème che risorgeva, nei tanti bar all’aperto, sulle spiagge,
nelle fiere, oppure inviarli per posta (erano ancora anni di piombo, il Dops e lo
Sni, la polizia politica, erano infiltrati da tutte le parti,
occorreva perciò una diffusione discreta, un foglio di carta, niente
show, niente film, niente spettacolo pubblico...), o lasciarli in vendita
nelle librerie – piccole pile sempre accanto al registratore di cassa
dei librai più complici, in attesa di lettori altrettanto complici che
non mancavano affatto. Questa era la (oggi leggendaria) literatura
marginal (letteratura marginale), o literatura
nanica (letteratura nana), come la chiamavano quelli del gruppo del
settimanale satirico O Pasquim,
del quale facevo parte anch’io allora, ultimo arrivato. Oppure la
chiamavano, appunto, Geração Mimeógrafo
(generazione ciclostile), la quale dietro quella precarietà quasi
ridicola di mezzi compieva in quegli anni, alla sua medesima insaputa, il
più radicale e profondo rinnovamento della letteratura brasiliana dai
tempi del Movimento de Arte Moderna del 1922, del Movimento Antropofágico. E proprio lì,
attorno a quei ciclostili puzzolenti e a quelle spillatrici che ci
foravano le dita, nasceva anche il mio idillio, il mio periodo favoloso,
in tutti i sensi della parola, un tempo perduto e ora ritrovato. Tè alla menta,
tè di capim-limão. Profumo di rugiada, di marijuana. Il profumo dei
riccioli di una certa Malu, che non ho mai più rivisto. Il sapore delle
lacrime raccolte sulle sue labbra in un bacio commosso e in un abbandono
assoluto. Non vorrei
aggiungere più niente a questo punto. Ho trovato un fotogramma
all’altezza dell’idillio. La letteratura,
si sa, non è solo testo, è anche una comunità, i suoi templi e i suoi
riti. È proprio la forza delle sinergie che si sviluppano dentro una
Un po’ più
tardi la professoressa Heloisa Buarque de Hollanda, che già promuoveva in
casa sua a Rio un salotto letterario d’avanguardia frequentato tra gli
altri da Chacal, Ana Cristina Cesar, Cacaso, curava la collana di poesia 26
Poetas Hoje (26 poeti di oggi), che ebbe una grande risonanza sulla
stampa e fece conoscere un’intera generazione emergente di poeti, Comunque, a
quel punto l’esplosione, il boom
si era già consolidato, e per la prima volta non era la musica,
l’architettura o il Cinema Novo ad occupare un posto di rilievo tra le arti nei gusti
del pubblico e nelle attenzioni della stampa, ma il nuovo veniva proprio
da dove non si sarebbe potuto aspettare, dai giovani scrittori in un paese
che leggeva – e legge tuttora – poco e male. La grande resistenza a
quella cultura di destra che aveva ipnotizzato i ceti medi negli anni
precedenti veniva dalle lettere, viste fino ad allora dalla gente come la
più conservatrice tra le forme di espressione. E per quattro brevi
meravigliosi anni fare lo scrittore in Brasile significava fare il
rivoluzionario totale, nel contenuto ma anche nella forma, e capovolgere i
concetti dominanti e la gretta cultura piccolo-borghese, che si cullava
nell’illusione di un “miracolo economico” allestita dai militari. Ma prima di
raccontare cos’è successo alla fine del quadriennio, vorrei aggiungere
ancora alcune cose su quell’età dell’oro. Ana Cristina
Cesar, amica di Cacaso, scoperta da Heloisa, poetessa carioca
bionda e bella, reticente nel parlare e nello scrivere, sempre così seria
e sensibile, è stata forse “l’uccellino nella miniera” di quel
percorso. E forse avvertiva inconsciamente l’esaurimento di un’epoca,
la nostra infanzia letteraria dorata, e un giorno smise di parlare, o
cominciò a pronunciare ininterrottamente un discorso inconcludente, non
ho mai capito bene cos’era accaduto, infine venne ricoverata in un
manicomio. Qualche mese dopo ne uscì, apparentemente rasserenata,
“guarita”, i genitori la riportarono a casa, un appartamento al decimo
piano, e aperta la porta, proprio di fronte a loro, prese una rincorsa e
si buttò dalla finestra senza dire una sola parola. Aveva poco più di
vent’anni, ma fece in tempo a lasciarci la bella ed enigmatica raccolta A
Teus Pés (Ai tuoi piedi). Occorre
aggiungere per correttezza intellettuale che quegli anni non furono
caratterizzati solo dalle nostre storie, e prima che sia accusato di
troppe imprecisioni vorrei aggiungere che non mancavano anche gli
scrittori più affermati, L’amnistia
per gli esiliati ufficiali della dittatura, nel 1979, e il ritiro delle
leggi eccezionali, tra le quali quelle della censura e l’Atto
Istituzionale n°5, una specie di stato di assedio permanente, rimescolò
nuovamente le carte. Gli interventi politici e le proposte dei reduci
dall’esilio, i programmi giornalistici della TV, le biografie dei
personaggi della storia recente del paese e i talk-show
diventarono in breve il discorso egemonico, e a partire dal Verão
da Abertura (l’estate dell’apertura politica), a cavallo tra il
1979 e il 1980, la poesia e la narrativa brasiliana vennero brutalmente
messe da parte, come un paravento ingombrante e fuori moda, le case
editrici chiudevano nuovamente le loro porte a chi non scrivesse
direttamente e senza “orpelli di stile” sulla realtà, mentre anche
sulla stampa, fino a quel momento così attenta, cadeva un pesante sipario
di silenzio. Mentre scrivo
queste righe sono già passati quasi trent’anni e da quell’imprevista
tenebra la letteratura brasiliana non si è mai più ripresa. È diventata
da allora come una nicchia, coltivata da pochi, ininfluente dal punto di
vista sociale e culturale, ignorata o derisa da quella stessa stampa che
alla nascita l’aveva incensata. Dopo i libri biografici, passò la moda
dei libri di self-help e di
esoterismo fasullo, di magia, oppure arrivò il turno dei testi scritti
dai comici e dai personaggi di successo televisivo: collane di barzellette
e di pettegolezzi occupano ancora oggi lo spazio lasciato vuoto negli
scaffali. Praticamente nessuna delle opere di quel periodo magico è stata
ristampata, e oggi è solo possibile trovarne, forse e con un po’ di
fortuna, qualche copia ingiallita e spiegazzata nei sebos,
gli antiquari di libri usati. E agli autori
cos’è successo? Tanti, ma proprio tanti di quei giovani sono morti
prematuramente, suicidi, di Aids, di pazzia, di overdose,
di delusione: Caio, Ana Cristina, Cacaso, Torquato,
Leminski... Altri
lasciarono il paese in un esilio anonimo, non-ufficiale, senza il
prestigio e il riconoscimento dei nobilitati esili di allora: Sergio Kokis,
Teresa Albues, io stesso. Altri sono rimasti, ad invecchiare dietro alla
scrivania di un giornale o di un ufficio, e a questi ultimi non piace
nemmeno la semplice menzione di quell’avventura, come se fossero
sopravvissuti a un naufragio o a un olocausto (ma in verità sono tanti i
modi di vivere interiormente un naufragio o un olocausto...). Alla fine mi è
rimasta impressa un’immagine, quella di un giovane sconosciuto, seduto
qualche sedia davanti alla mia nel traghetto che da Niterói ci portava a
Rio de Janeiro attraverso la baia, mentre all’improvviso estrae dalla
sua borsa a tracolla un libro, il mio primo libro, Torpalium,
e si mette a leggerlo ignaro del fatto che l’autore sedeva alle sue
spalle. Era il 1977. La palpitazione generata in me da quella visione la
sento ancora oggi solo al ricordo: l’epifania, la visione di un
miracolo, quello sdoppiarsi in un altro essere fatto di carta e
inchiostro, fatto di parole e di idee, fatto di noi stessi, insomma. Sono
immagini che oggi mi ridanno energia, invece di sottrarmela.
Julio Monteiro Martins, scrittore e intellettuale brasiliano, ha pubblicato una decina fra romanzi e racconti, ma si è sempre occupato di scrittura creativa, maturando esperienze d'insegnamento prima nella patria del "creative writing" - gli Stati Uniti – poi da pioniere in Brasile, in Portogallo e infine in Italia. Attualmente dirige la scuola di scrittura Sagarana a Lucca.
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