Sushi-Samba: Piccolo Atlante del Giappone Brasileiro (prima parte)
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Introduzione alla mappa
Questo fenomeno è dovuto a molti fattori (che richiederebbero approfondite escursioni in campo sociologico), che esploreremo solo parzialmente. E' comunque un fatto che il cosiddetto
"Japop" dell'ultimo decennio ha espresso un livello di attenzione e di sincretismo nei confronti dei ritmi tropicali, in particolare di quelli brasiliani, tale da meritare un'analisi estesa e un tentativo di
mapping di questo universo sonoro. Tentativo che, per forza di cose, sarà limitato e parziale, anche se speriamo possa suscitare curiosità e invogliare approfondimenti, essendo il territorio molto poco esplorato ma meritevole di ascolto e riflessione.
Prima di disegnare questa piccola geografia brasileira in terra giapponese, cominciamo con il sottolinearne alcuni tratti generali. Il fascino per i colori tropicali, sia ritmici che melodici, si distingue qui da quello tutto occidentale per l'esotismo tout-court, il quale si limita di solito a una spruzzata di aromi a condimento di solide strutture armoniche, limate e perfezionate nei secoli. La società, come la cultura giapponese, ha subìto dopo la seconda guerra mondiale una vera e propria ristrutturazione integrale, una rivoluzione tecnologica di portata copernicana, densa di attriti con la tradizione e inevitabilmente tendente (almeno in certi campi) a una rottura completa col passato. Col crescere della classe media e con il diffondersi di un alto livello di benessere, è aumentata rapidamente la richiesta di nuovi modelli culturali, richiesta che si è rivolta molto naturalmente al mondo occidentale. Partendo da una sorta di tabula (quasi) rasa, la ricerca di tali modelli è divenuta presto un utopistico tentativo di ricostruire una identità comune in un mondo in continuo mutamento, fortemente legata all'evoluzione scientifico-tecnologica. Questa condizione di partenza si riflette inevitabilmente nel mondo sonoro giapponese, che di colpo smette di interessarsi alle proprie radici etniche per gettare le fondamenta di una musica quasi futurista ossessivamente legata all'elettronica. Non è un caso che la musica tradizionale giapponese venga ora più studiata e riscoperta con rigore filologico in Occidente che in patria. Lo
shock culturale della scoperta del jazz, del rock e della musica classica occidentale contribuisce alla ristrutturazione in corso, con risultati peculiari e da un punto di vista estetico profondamente diversi (nei principi e nelle applicazioni) dai nostri, proprio perché il discorso musicale viene liberamente assorbito e interpretato senza l'ancoraggio a un sostrato storico-tradizionale. Quella che abitualmente appare ai nostri occhi come imitazione, appropriazione acritica di forme culturali estranee, è nel Giappone una politica culturale di intelligente postmodernità ante litteram, una curiosità che ha dato in realtà frutti largamente originali come vedremo tra breve.
La liaison Giappone-Brasile nasce e cresce nel milieu culturale degli anni '60, naturale quindi che sia la bossa-nova piuttosto che il samba tradizionale a focalizzare per prima l'attenzione su di sé. Con il formarsi della prima scuola jazz autoctona l'interesse si fa subito evidente: Sadao Watanabe, che è ancora oggi uno dei massimi sassofonisti della scena nipponica, si lancia sulle orme di Stan Getz e sforna una lunga serie di LP densi di riferimenti jobiniani. La musica brasiliana comincia a circolare e da allora in poi la sua distribuzione capillare non subirà arresti, tanto che tuttora il Giappone resta il paradiso del discofilo, con un mercato parallelo al resto del mondo e ricco di preziose ristampe soprattutto nel campo del jazz, del samba e della bossa, a volte irreperibili anche nei paesi d'origine. La bossa, in particolare, sembra entrare nei geni del musicista giapponese medio e non farà che riapparire sempre più frequentemente nel corso degli anni. E' negli anni '80 che si sviluppa con irruenza il talento melodico di Ryuichi Sakamoto, universalmente noto per le sue colonne sonore pluripremiate. Nello stesso periodo comincia a incidere Lisa Ono, tradizionalmente riconosciuta come la maggiore ambasciatrice della musica brasiliana a Tokyo, nata a San Paolo e trasferitasi in Oriente a dieci anni d'età. Ambedue rappresentano un potente corpo diplomatico musicale e raffigurano plasticamente i rapporti tra le due nazioni in questo campo: basti pensare che l'anno scorso Sakamoto è stato trionfalmente ospitato nel Teatro Alpha di San Paolo, al fianco di Jacques e Paula Morelembaum per presentare il suo ultimo lavoro discografico: "Casa". La Ono parallelamente incide per la Toshiba EMI due dischi dal titolo poco equivocabile: "Bossa Carioca" nel 1998 e "Dream" nel 1999, seguiti da "Pretty World" nel 2000. Ancora una volta lo spettro di Jobim (è lui il compositore più frequentato in tutti questi CD) torna a vestire abiti orientali. Siamo nel campo delle produzioni super-lusso e già balza agli occhi l'eleganza e la pulizia degli arrangiamenti, segnata da un onnipresente perfezionismo di fondo e da un classicismo estremamente ortodosso nella scelta del repertorio, rigorosamente mainstream. Sakamoto ha inoltre collaborato con
Caetano Veloso (nella bellissima "E' preciso perdoar" in compagnia di
Cesaria Evora su "Red Hot+Rio"), Marisa Monte (in una versione da brividi di "Rosa" di
Pixinguinha su "Mais"), Vinicius Cantuaria, Arto Lindsay e
Ed Motta (sempre in "Casa"), mentre Lisa Ono vanta parcerias
con Joao Donato, Paulo Moura, Danilo Caymmi e lo stesso
Jobim.
Esplode il Japop: Shibuya-Kei Immergiamoci ora nel cuore pulsante di Tokyo, e precisamente nel lussuoso distretto dello shopping, lo Shibuya. E' qui che dopo i primi malfermi passi del pop e rock anni '70/'80 (guarda caso in quel periodo tra le prime e sparse glorie si annovera proprio Sakamoto con la sua Yellow Magica Orchestra) esplode il "Japop" di esportazione. Si tratta di giovani musicisti completamente pervasi di spirito antitradizionalista, con l'occhio perennemente fissato a occidente e che si muovono con naturalezza nei più assurdi e kitsch eccessi della società dei consumi. Massima apertura mentale, ironia, decostruzione del linguaggio musicale, leggerezza nello sperimentalismo: il passato prossimo della musica popolare va letto e attentamente integrato e la frattura ribellistica del rock va recuperata e riassorbita con allegria ammiccante e uso spregiudicato dell'elettronica (ma non solo). Nasce così lo Shibuya-kei, lo stile Shibuya appunto. Gli alfieri, e tra i primi a sfondare sul mercato internazionale, sono i Pizzicato Five, un gruppo di ex-studenti di musica riunitisi a metà degli anni '80 con l'ambiziosa pretesa di rileggere l'intero scibile pop abbattendo vecchie e ammuffite categorie estetiche. La bossanova (e anche il pop anni '60, Bacharach, la canzone francese, la Space Age Music) è uno dei più solidi pilastri su cui organizzare il discorso. Il gusto per il kitsch e il trash non è più un tabù: si pesca a piene mani in territori fino a poco prima evitati come la peste e ridicolizzati dalla seriosità rivoluzionaria del rock. Il gene della musica brasiliana affiora dominante e trascinante in una serie infinita di CD che scavano instancabilmente nell'immaginario musicale del passato e lo fondono con una certa dose di intellettualismo sorridente alle nuove tendenze. Il trattamento del materiale bossanovistico (soprattutto) all'interno di questo calderone vertiginoso è dionisiaco, specularmente opposto alle tendenze apollinee dell'ultimo impressionistico Sakamoto e della ortodossia carioca della Ono. Gli omaggi ai classici non si contano e sono sparsi in tutta la produzione discografica dei Pizzicato Five, ma lo spirito è ben poco classico e rispettoso. E' difficile, praticamente impossibile isolare un unico lavoro che metta adeguatamente in risalto questo discorso musicale intorno alla componente brasiliana: le tracce sono ovunque e a poco servirebbe segnalare ad esempio le intelligenti versioni di "Garota de Ipanema", "Bim Bom", "Tristeza". Ballabili, ma colti e dotati di un grande istinto melodico, i P5 vanno goduti in tutte le loro espressioni più meticce, apprezzando in particolare la loro capacità di declinare il verbo dello Shibuya-kei per lo più in lingua giapponese. Naturalmente questa è solo la punta dell'iceberg. Per farsi un'idea della ricchezza del panorama "japop" e della onnipresente connessione con la dance e i ritmi e le forme musicali del Brasile basta procurarsi una copia delle due collection più influenti e rappresentative del settore: Sushi 3003 e Sushi 4004, edite dall'etichetta tedesca Bungalow Records. Compaiono in esse quasi tutti gli esponenti più interessanti della scena Shibuya-kei, e molti personaggi più eterodossi che incontreremo più avanti.
continua nel prossimo numero
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