Violenza in Brasile,
quasi una guerra civile Nel solo stato di Rio gli omicidi nel 2001 sono stati oltre 9 mila
da Rio de Janeiro |
Rio
de Janeiro, dicembre 2001. Una
coppia di rapinatori assalta un autobus di linea. Un passeggero armato li
affronta e li uccide. Poi costringe l’autista a proseguire la corsa
tenendo aperta la porta attraverso la quale scaraventa fuori i cadaveri
dei rapinatori. Prosegue per un altro tratto di strada quindi scende
dall’autobus e si allontana indisturbato. Sempre
Rio, 2 marzo 2002. A
questo punto i trafficanti per vendicarsi dell’interferenza della
polizia nelle loro questioni si dirigono prima verso un chiosco di
controllo della polizia militare (ve ne sono sparsi per tutta la città) e
lo mitragliano coi fucili automatici Fal, uccidendo un sergente di polizia.
Poi si recano davanti alla delegacia (più o meno l’equivalente di un
commissariato italiano) cui apparteneva la pattuglia con cui avevano avuto
lo scambio di colpi, sparano un centinaio di colpi di fucile sulla
facciata dell’edificio e sulle auto parcheggiate e infine buttano una
bomba a mano. Si
parla molto di violenza in Brasile, ma spesso è difficile comprendere
l’entità e soprattutto le caratteristiche del fenomeno. Fatti come
quelli succitati qui sono considerati ordinari e di poco conto,
praticamente quotidiani. Poco
dopo il carnevale (immagino per non spaventare i turisti) lo stato ha reso
noto il rapporto annuale e il giornale "O Globo" ha colto la palla al balzo
per pubblicarlo e per criticarne severamente i criteri di calcolo. I
numeri sono comunque impressionanti: Cadaveri
rinvenuti in luogo diverso da quello del delitto
1.171 Morti
conseguenti a scontri con la polizia (spessissimo si
tratta di esecuzioni sommarie)
586 Scomparse
(in questo caso la polizia calcola che il 50% di
questi casi siano omicidi)
3.872 Omicidi
(cadaveri rinvenuti sul luogo del delitto)
5.877 Il
totale calcolato è quindi di poco più di 9.200 omicidi per l’anno 2001,
in leggera crescita rispetto all’anno precedente. Va
anche detto che siamo in periodo elettorale, quindi non è un caso se il
quotidiano affronta in modo così severo e aperto il problema. "O Globo" infatti
è molto critico nei confronti del governatore Antony Garotinho che si è
candidato per le presidenziali forte di un certo consenso maturato qui a
Rio (addirittura un’importante scuola di samba esaltò Campos, sua città
natale, nelle sfilate dell’ultimo carnevale). La tesi del giornale è che
il suo predecessore era più competente in materia e che non manipolava i
numeri facendo tutte queste separazioni tra omicidi e “atti criminosi
contro la vita” che caratterizzano i dati divulgati dall’attuale
governo e che sottrarrebbero oltre tremila omicidi alle statistiche
ufficiali. La
parola “sicurezza” è una delle più frequenti sulla bocca di cariocas,
paulisti e in generale dei brasiliani che vivono nelle grandi città
quando parlano di desideri e aspirazioni. I politici lo sanno bene e
l’argomento si presta molto a strumentalizzazioni elettoralistiche. Pare
proprio che in questi casi non si tratti di omicidi politici, e lo stesso
Pt ha inserito ai primi posti nell’agenda del proprio programma di
governo la questione “Violenza”, togliendo di fatto molti argomenti
alla destra che tradizionalmente si millantava garante della parola ordem scritta sulla bandiera lasciando volentieri la parola
“progresso” agli intellettuali di sinistra. Al
di là delle schermaglie politiche brasiliane, penso sia chiaro a chiunque
che i numeri in questione siano quelli di una autentica guerra civile e
che nessuna ricetta basata su leggi di polizia o interventi tampone di
tipo sociale possa scalfire questi numeri. Qui
le favelas sono considerate una specie di mondo a parte, dotato di leggi e
costumi propri, un grande serbatoio di manodopera a buon prezzo e nulla più,
o quasi. Questo sentire diffuso è corroborato dal fatto che, scuole di
samba a parte, nulla di tutto ciò che si produce nella vita civile
proviene da quei quartieri.
L’insicurezza
nasce dalla diffusione di una micro - criminalità aggressiva, spesso
violenta e rozza, che mira alle tasche di chiunque; da una polizia che si
comporta frequentemente come una qualunque banda di tagliagole, compromessa
fino all’inverosimile coi peggiori traffici e da fenomeni come quelli
del 4 marzo, quando abitanti del morro Cantagalo che si trova a ridosso
della ricca Ipanema hanno cominciato a tirare sassi sulle auto in transito
nell’Avenida Visconde de Piraja, la via principale di Ipanema, uno dei
“salotti” di Rio. La
loro era una protesta contro la polizia che avrebbe effettuato
l’ennesima esecuzione sommaria con un colpo alla nuca di un rapinatore
che si era arreso e che proveniva da quella favela. Il fatto è accaduto
per strada, c’erano molti testimoni e i tumulti sono scoppiati quasi
immediatamente. Io
stesso l’ho potuto constatare una notte che mi è capitato di tornare a
casa a bordo di un auto della polizia. Abitando molto vicino a un morro,
ho visto il terrore sul volto del poliziotto che mi accompagnava: prima di
imboccare la mia strada di casa ha fatto diverse finte per controllare le
reazioni della gente. Poi a tutta velocità e con la pistola senza sicura
appoggiata sul sedile accanto mi ha portato fino all’ingresso del
condominio. Il tempo di scendere dall’auto ed è schizzato via. Un’altra
caratteristica potenzialmente molto destabilizzante è quella delle grandi
bande criminali: non si tratta di associazioni mafiose con cupole,
coperture politiche e finanziarie internazionali; piuttosto assomigliano
alle gang giovanili nord - americane, solo che qui sono enormi e con una
componente ideologica non trascurabile. È
mia opinione che solo radicali cambiamenti della società brasiliana
possano sul lungo periodo ridurre significativamente il tasso di violenza.
Mi riferisco a un robusto aumento del salario minimo unito alla creazione
di posti di lavoro tramite grandi cooperative per la produzione di beni e
servizi garantite dallo stato e un’autentica moltiplicazione degli
investimenti per scuole e salari minimi per gli studenti minorenni. In
tutti loro credo sia ben viva l’immagine dell’agonizzante governo
Chavez, che nel vicino Venezuela ha osato contrapporsi agli interessi
petroliferi e politici nord americani.
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