Le rabbiosa "lotta di classe" delle bande
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Il
22 febbraio scorso scoppia una rivolta simultanea in 6 carceri dello stato di São
Paulo. Nel giro di ventiquattrore la rivolta si estende a
quasi tutte le carceri dello stato e a molte degli altri stati.
Alcuni attentati dinamitardi nei giorni immediatamente precedenti avevano
annunciato che il Pcc, (Primeiro comando da capital), aveva
intenzione di ripetere in grande stile l’analoga rivolta dello scorso
anno. Con questa dimostrazione di forza la fazione criminosa ha voluto
dimostrare il proprio potere all’interno delle carceri e fuori, sia nei
confronti del potere politico che delle altre fazioni criminali Pauliste
quali Cdl (Comando democratico da libertade) e Crbc (Comando brasileiro
do crime). Sono stati soprattutto i regolamenti di conti tra le
fazioni a generare vittime, in tutto sono morti ventiquattro detenuti. Ma
quella che potrebbe sembrare una sanguinosa guerra tra bande rivali, cosa
che le autorità brasiliane tentano di far passare in tutti i modi, in
realtà si mostra presto una realtà ben più complessa. Innanzi tutto la
stragrande maggioranza degli attentati e delle rivendicazioni sono rivolte
a organi istituzionali, e gli attentati dinamitardi o le intimidazioni a
base di raffiche di fucili mitragliatori sono uno stillicidio quotidiano.
In secondo luogo i contenuti delle rivendicazioni sono spesso sottilmente
politici così come lo era la scritta “Paz Justiça Libertade”
composta sul cemento di un cortile del carcere di Pinheiros (zona ovest di
São Paulo) in rivolta. E' stata scritta in un luogo ben visibile dagli
elicotteri delle TV e ricalca alla lettera il motto della fazione carioca
Comando Vermelho con cui il Pcc pare abbia stretto un’alleanza. Già
nell’agosto dello scorso anno il Pcc aveva lanciato un segnale politico
molto forte dicendo di essere intenzionato a costituirsi come partito
politico e di presentarsi alle elezioni per la camera dei deputati con un
loro rappresentante. Si tratta dell’avvocato Anselmo Maia,
difensore dei leader della fazione e loro tramite con la società civile.
L’avvocato si è dichiarato disponibile a rappresentare i diritti dei
detenuti e a lottare contro le ingiustizie del sistema carcerario ma ha
anche consigliato, prima di costituire un partito, di cercare l’unità
tra tutti i detenuti brasiliani con l’adozione di un programma comune.
Calcolando i 150.000 detenuti dello stato di São Paulo e attribuendo a
ognuno di essi tre voti tra amici e familiari Anselmo Maia sarebbe di gran
lunga il deputato eletto col maggior numero di voti di tutto il governo
federale. Gli stessi leader del PCC hanno poi suggerito di farlo
concorrere come alleato esterno di un partito dell’opposizione da
individuare. L’iniziativa è successivamente rientrata, ma intanto un
enorme macigno è stato gettato nello stagno paludoso della politica
brasiliana. Le
richieste dei detenuti in quest’ultima rivolta sono solo 6 e sono state
presentate al deputato del Pt-Rs Marcos Rolim,
presidente della Commissione per i diritti umani della Camera federale
cui hanno anche detto che il Pcc è presente nella maggior parte dei
penitenziari di São Paulo, che conta sulla collaborazione di centinaia di
agenti di polizia penitenziaria ed è in grado di influenzare vari settori
dell’amministrazione carceraria. Le rivendicazioni sono state
accompagnate dalla promessa di far esplodere nuovi incidenti in futuro se
non verranno accolte, ma erano prive di minacce alla vita degli ostaggi,
alcune guardie carcerarie e un avvocato. I rappresentanti del PCC hanno
anzi dichiarato di avere la forza per affrontare i corpi speciali della
polizia, ma di non essere intenzionati a usarla perché il loro attuale
scopo è solo di farsi sentire e di ottenere i risultati “minimi”
della rivendicazione e precisamente: 2
Maggior agilità nell’esecuzione dei processi. I
detenuti sostengono che ci sono centinaia di loro che hanno già
compiuto la pena e che
non vengono rilasciati per lentezze
burocratiche. 3
Rimozione dei direttori di alcune carceri che utilizzerebbero
metodi di tortura e di violenza sui detenuti. Secondo i detenuti, in
alcune carceri i direttori collocherebbero nella stessa ala componenti di
bande rivali per stimolare violenza e uccisioni. 4
Applicazione della legge sulle pene alternative. 5
Sostituzione del direttore del carcere di Taubaté. D’accordo con
il deputato Rolim, i detenuti sostengono che egli impiega metodi
eccessivamente brutali. 6
Fine delle umiliazioni cui sono sottoposti i parenti dei detenuti
durante le visite. In questo caso si tratta spesso di abusi e ricatti
sessuali compiuti da poliziotti a danno di mogli e fidanzate dei detenuti. Gli
ostaggi sono stati poi tutti rilasciati, e quando la polizia ha fatto
irruzione nelle carceri non ha incontrato una rilevante resistenza. Ci
sembra evidente lo sforzo dei rivoltosi di offrirsi come interlocutori
“affidabili e ragionevoli” da un lato e dall’altro di costruirsi un
immagine di paladini dei detenuti di tutto il paese. Va detto che in ogni
caso non si tratta di rivoluzionari le cui “macchie” sono solo il
necessario e sofferto tramite per la realizzazione di un ideale. In questo
caso molti dei componenti della fazione sono feroci assassini (uno dei
leader, recentemente assassinato in carcere, era noto perché
decapitava i nemici uccisi), e nella stragrande maggioranza dei
casi si tratta di rapinatori, sequestratori e trafficanti di droga. Secondo
lo scrittore Paulo Lins, autore del libro "Cidade de Deus"
sull’omonima favela di Rio de Janeiro ove è cresciuto oltre che di
varie sceneggiature e racconti ambientati in quel mondo marginale, la
nascita delle bande e in particolar modo della prima, la Falange Vermelha,
trasformatasi poi in Comando Vermelho, è dovuta al fatto che all’epoca
della dittatura in alcune carceri come quello di Ilha Grande i detenuti
politici erano la maggioranza. Essi avrebbero imposto una serie di codici
di comportamento ai detenuti comuni. I “politici” avevano adottato
codici molto severi affinché l’amministrazione carceraria non avesse
scuse per aumentare indefinitamente le pene. Per esempio erano vietati i
rapporti omosessuali o il consumo di droghe, ma oltre all’imposizione di
regole severe venne fatto anche una sorta di indottrinamento di base che
fu presto accolto da molti. Proprio
nel carcere di Ilha Grande un giorno l’amministrazione carceraria si
rese conto che alcuni “comuni” si stavano trasformando in attivisti.
Furono dapprima isolati (e non osiamo immaginare quello che hanno passato
in isolamento) poi vennero rasati a zero, in modo che tutti i detenuti
potessero riconoscerli. Il giorno dopo l’intero carcere aveva solo
detenuti calvi, nella notte tutti si erano rasati per solidarietà: era
nata la Falange Vermelha. Questa cominciò subito a far applicare anche
fuori dal carcere le sue leggi: chi le avesse trasgredite sarebbe morto. In
effetti le grandi bande hanno all’interno delle carceri una predominanza
assoluta e le loro leggi sono sacre; contestualmente hanno cominciato a
operare una sorta di “sindacalizzazione del crimine” e a inserire nel
loro linguaggio (necessariamente rozzo, visto che sono composte per lo più
da analfabeti) frammenti di teorie sulla lotta di classe. Le favelas da
cui provenivano si rivelarono come un’estensione del carcere, ovvero
luoghi completamente emarginati, estromessi dalla coscienza della società
civile. Sempre secondo Paulo Lins l’avvento del Comando Vermelho, e
successivamente delle nuove fazioni che in molti luoghi gli sono
subentrate (a prezzo di sanguinosissime guerre) conservando comunque le
medesime “leggi” ha sostanzialmente migliorato la vita degli abitanti
delle favelas. Leggi fondamentali e universalmente riconosciute dicono
infatti che non si possono commettere crimini all’interno della favela o
a danno delle persone che vi risiedono. Coloro che infrangono queste leggi
vengono praticamente sempre eliminati. È infatti difficilissimo venire
aggrediti o rapinati all’interno di una favela, anche se si è estranei.
Trovarsi
in una favela può diventare molto pericoloso solo se si incappa in
una guerra tra bande, se ci si trova a vedere cose che nessuno deve vedere
o se entra la polizia, il che significa molto probabilmente ritrovarsi tra
il fuoco incrociato. Un’altra circostanza pericolosa è quando si
infrangono le leggi della favela o si manca di rispetto alle persone (ai
turisti in vena di esotismo suggeriamo di stare molto attenti a come si
comportano con le donne in una favela e in linea generale sconsigliamo a
chiunque non abbia un motivo preciso di inoltrarvisi, specie di notte). Le
bande vivono soprattutto di traffico di droga, secondo stime statunitensi
il Brasile sarebbe il secondo consumatore al mondo di coca dopo gli Stati
Uniti. Il traffico in realtà non è particolarmente remunerativo, ma dà
di che vivere a molti; altre fonti di rendita sono le rapine, i sequestri
e il traffico di armi. L’audacia di queste bande è sorprendente:
assaltano anche aeroporti e aerei sia di linea che cargo. Dispongono di
notevoli risorse di intelligence per la pianificazione dei colpi e di
tanto in tanto attaccano dall’esterno le carceri per favorire evasioni
che in alcuni casi possono essere di massa.
Vivendo
qui è evidente che lo stato ha accusato il colpo degli ultimi avvenimenti
e, come spesso avviene in questi casi in ogni latitudine, la sua reazione
è feroce e scomposta, fatta di blitz e rotture di tacite tregue. In Rio
de Janeiro si è cominciato con l’uccisione del rapinatore del
morro Cantagalo il giorno prima della attesissima visita del Principe
Carlo. In quella favela, recente conquista della fazione Terceiro
Comando, fu montato un posto permanente di Polizia militare un anno fa (logicamente
col consenso dei trafficanti) costituendo di fatto una forza di
interposizione che ha evitato per tutto questo tempo che si verificasse
anche un solo omicidio. L’uccisione a sangue freddo di un abitante della
favela (così almeno sostengono i numerosi testimoni) ha rotto la tregua e
ha riportato i residenti alla loro dura realtà di cittadini di serie b,
privi anche dei diritti fondamentali. Le proteste e gli scontri avevano
addirittura messo in forse la visita del Principe di Galles. Non si esclude
affatto che confermando la visita il principe abbia contribuito a calmare
gli animi. Ma per quanto? Il
7 marzo, alcuni poliziotti hanno fatto irruzione in un bar di una delle
sei favelas del bairro Ilha do Governador, Rio Nord terra del Comando
Vermelho. Secondo i testimoni, i poliziotti sono entrati e immediatamente
hanno cominciato a sparare all’impazzata sugli avventori uccidendo un
pescatore e ferendo altre tre persone. Tutta la gente della favela è
corsa in strada erigendo barricate, incendiando un autobus di linea e
tirando sassi alla polizia e alle auto che passavano nelle vicinanze. Un
altro gruppo di alcune decine di persone ha fatto irruzione
nell’ospedale dov’era ricoverato uno dei feriti sfasciando vetrine e
suppellettili per manifestare la propria rabbia e solidarietà. La polizia
è accorsa in forze circondando e poi cercando di penetrare all’interno
della favela, ma a questo punto è stata respinta da un nutrito fuoco di
sbarramento di armi automatiche opposto dai residenti. Le “forze
dell’ordine” hanno allora limitato l’azione a un vero e proprio
assedio e gli scontri sono andati avanti per quasi ventiquattrore. Il
Pcc ha invitato chiaramente il Comando Vermelho a unirsi a loro in una
lotta fatta di sequestri di politici e giornalisti per arrivare a una vera
e propria rivoluzione. Sono
diventati quotidiani i bondes, raid organizzati da autentici
commandos che hanno come obiettivo i poliziotti (in un paio di
giorni ne hanno ammazzati tre) e le Delegacie. L’armamento dei commandos
è costituito per lo più da potenti e pesanti fucili Fal di
produzione belga rubati all’esercito, ma non mancano armi più moderne
come gli M16 americani o gli intramontabili Kalashnikov, così come
abbondano le bombe a mano. Mediamente dispongono di un equipaggiamento più
moderno ed efficiente di quello della polizia. E l'8 marzo è stato
rinvenuto un camion con due tonnellate di munizioni (230.000 cartucce di
vario calibro). Se
è vero che comune denominatore dei membri di queste bande è il
bassissimo grado di istruzione, è possibile che prima che si trasformino
in un autentico gruppo guerrigliero, il maggiore grado di cultura,
indispensabile per la formazione di un pensiero politico, eroda le
fondamenta della loro forza. Ma è anche possibile che d’un tratto, con
un leader particolarmente carismatico o come naturale presa di coscienza
della loro condizione oggettiva, queste fazioni si uniscano diventando
l’esercito di una nuova,
rabbiosa lotta di classe. In questo caso il Brasile si trova con un
potenziale gruppo guerrigliero strutturato e enorme (centinaia di migliaia
di combattenti in armi) e molte popolose isole di extra territorialità già
presenti sul territorio. Oggi
la grande attrattiva che le bande esercitano su giovani e giovanissimi è
data, più che dal guadagno di denaro, dal potere manifesto di cui
dispongono gli affiliati (potere di vita o di morte) e dal senso di forza
dato dall’appartenenza a un élite. Per
ragazzi privi di scolarità e quasi sempre di un padre, calpestati
dall’evidenza della loro emarginazione nel continuo confronto coi
modelli che la società propone di fatto e attraverso l’onnipresente TV,
l’appartenenza a una grande banda può rappresentare un valido
obiettivo. Qualora poi capiti loro di incappare nelle maglie della legge e
finiscono in riformatorio o in carcere, l’aggregazione a una fazione
criminale diventa indispensabile per sopravvivere. Si tratta comunque di
una vita breve: molto, ma molto di rado arrivano a compiere i
trent’anni. E oggi almeno è così, ma a nostro avviso nel prossimo
futuro le cose potrebbero evolversi in modo più o meno imprevedibile.
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