Quando il Brasile dichiarò guerra all'Italia

Ricostruzione degli eventi da parte di un italiano e una brasiliana

 

A Montese e M.Castello i successi più significativi - di Walter Bellisi

E il cobra si mise a fumare... - di Dulce Rosa Rocque

 

 

 

 

 

A Montese e M.Castello i successi più significativi 

 

 

di Walter Bellisi




     
Il Brasile partecipò alla seconda guerra mondiale con una divisione di fanteria, la Forca Expedicionaria Brasileira (Feb), e una minima forza aerea. Le sue truppe combatterono soltanto in Italia, sull'Appennino Tosco Emiliano. I successi più significativi conseguiti furono la conquista di Monte Castello nel territorio bolognese di Gaggio Montano, la liberazione della vicina Montese (Modena) e la cattura, tra Collecchio e Fornovo, nel Parmense, della 148ª divisione tedesca. Il più alto numero di perdite lo subì a Montese e a Monte Castello.

 

Il Brasile in guerra

Coerente con le conclusioni della Conferenza di Panama tra i paesi americani, quando nel settembre 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale, il governo brasiliano assunse un atteggiamento di neutralità. Dopo la resa della Francia, nel luglio 1940, un vertice interamericano si concluse con l'affermazione del principio che ogni azione diretta contro uno Stato americano da parte di uno Stato estraneo al continente sarebbe stato considerato come un atto di aggressione contro gli stati firmatari della dichiarazione.

L'attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor fece scattare l'intesa di solidarietà. Nel gennaio 1942 il Brasile ruppe le relazioni diplomatiche con la Germania, l'Italia e il Giappone. Il 22 agosto successivo, dopo le proteste per gli affondamenti di alcune sue navi, il governo di Rio dichiarò guerra alla Germania e all'Italia. Il 16 luglio 1944 giunse nella nostra penisola una prima parte del contingente Sud americano.

 

La Feb

La Feb era comandata dal generale Joao Baptista Mascarenhas de Moraes e fu aggregata al IV corpo d'Armata (generale Crittenberger) della 5ª armata americana comandata dal generale Mark W. Clark. Contava 25.334 uomini, dei quali 15.069 presero parte attiva ai combattimenti.

 

L’avanzata

Dopo aver occupato alcune località nella zona di Camaiore, ai brasiliani, il cui ruolo iniziale era di forza ausiliaria o d'appoggio, nel novembre venne assegnata un nuovo settore di guerra: la valle del Reno, in prima linea. Quelle truppe erano però impreparate ad affrontare una guerra complessa come quella che erano state chiamate a combattere, non erano abituate a vivere in montagna, in particolar modo durante la stagione invernale, con un equipaggiamento non adatto alla critica situazione ambientale, che avevano avuto in modo affrettato dalla 5ª armata. Nacquero così non pochi problemi che furono comunque superati.

 

Monte Castello

Monte Castello (m. 887), nel bolognese, segnava il punto di congiunzione tra la divisione brasiliana e la Task Force 45 che venne sostituita alla fine di gennaio dalla 10ª divisione da montagna statunitense. Quel crinale faceva parte della "Linea verde II", la nuova linea di difesa che i tedeschi avevano approntato dopo lo sfondamento della "Gotica" e "Linea Verde 1". Monte Castello resistette a quattro attacchi delle forze alleate. Fu conquistato dai brasiliani il 21 febbraio 1945. Il giorno precedente, gli uomini della 10ª divisione da montagna Usa, avevano cacciato i tedeschi dal vicino e più importante Monte Belvedere. Preso il crinale, gli alleati arrestarono l'avanzata. Dalla vetta di quelle alture controllavano parte della vallata del fiume Reno e parte di quella del Panaro. La vicina Montese, le cui attigue montagne del Montello, a nord, degradano velocemente verso la pianura con le città di Modena e di Bologna, era in mano dei tedeschi.

 

L’attacco a Montese

L'attacco a questo centro, ormai paese fantasma a causa dello sfollamento, era programmato per il 12 aprile. Due fattori impedirono che l'offensiva avvenisse quel giorno: il maltempo segnalato sulle piste di atterraggio e la morte del presidente degli Stati Uniti d'America Franklin Delano Roosvelt; il 13 era poi considerato infausto. Si arrivò così al 14. All'alba di quel giorno iniziarono intensi cannoneggiamenti. Era il preludio all'attacco che iniziò alle 13,30. Dopo meno di due ore di accesa battaglia i soldati brasiliani entrarono in Montese paese. L'obiettivo a quel punto restava la conquista delle contigue alture a nord: Monte Buffone e Montello. Seguirono altri tre giorni di lotta, con decine di morti da ambo le parti. Al seguito della Feb c'erano tre corrispondenti di guerra e fotografi. Il 16 aprile, l'inviato de o Globo Egydio, Squeff scrisse per il suo giornale: “Montese non esiste più. Nessuna casa è rimasta intatta. E'un paese deserto, pieno di rovine. Nelle case distrutte, le macchie di sangue testimoniano la violenza della battaglia. Ma la comple­ta distruzione ancora non è avvenuta. Sono trascorse più di 48 ore e i tedeschi con l'artiglieria continuano a scaricare bombe sul paese, quasi ininterrottamente. A ogni attimo si odono esplo­sioni. Carri armati distrutti, pareti cadute, una bomba d'aereo inesplosa, monti di macerie nelle vie, silenzio di uomini stan­chi: questa è Montese. La sua torre è semidistrutta, il cimitero è danneggiato. Ho cercato di incontrare qualche abitante, ma invano. Ho visto solo porte scassate, letti vuoti, camere in disordine”. 

E il 17 Joel Silveira del Diario Associados: “Per i brasiliani la vittoria è ancora incerta. I nazisti sparsi sui monti intorno, minuto dopo minuto, buttano sul paese una pioggia interminabile di mortai [...]. Da quattro giorni Montese è definitivamente in mano ai brasiliani, ma è ancora un luogo senza pace. Le sue vie sono deserte. [...]”.

Intanto, la 10ª divisione da montagna, il 16 aprile, si era spinta fino a Tolè creando uno sfondamento del fronte. I brasiliani erano ancora impegnati sui monti a nord di Montese paese. Nelle prime ore del mattino del 17, dal IV corpo, giunse l'ordine di sospendere l'attacco e di mantenere le posizioni: il comando della 5ª armata aveva prescritto l'annullamento dell'attacco sul fronte di Montese. Nel frattempo, i tedeschi ricevettero l'ordine di attuare il piano Kitty - Dschingis Khan - Stellung, la ritirata, che attuarono nella notte fra il 18 e il 19. La vetta di Monte Buffone rimase terra di nessuno e il Montello non fu mai conquistato dagli alleati.

A partire dal 19 aprile, le unità del generale Clark avevano definitivamente spezzato la difesa nemica sulle montagne e sboccarono in pianura: si passò quindi al fulmineo sfruttamento del successo. Bologna venne presa il 21 con un'azione convergente delle forze della 5ª e dell'8ª armata. Il 22 cadde Modena e il 23 venne raggiunto il Po.

 

La Feb a Zocca, Vignola, Collecchio.

Il 21 aprile gli uomini della Feb raggiunsero Zocca e proseguirono per Vignola, Maranello, Sassuolo, Scandiano e Montecchio. Si spinsero fino alle colline parmensi a ridosso della pianura Padana. Qui, dal 26 al 30 aprile, tra Collecchio e Fornovo, sbarrarono la strada a reparti tedeschi della 148ª divisione che, attaccata sui fianchi da partigiani, scendeva i monti diretta a nord. Con le truppe si consegnarono il generale Otto Fretter Pico, comandante della 148ª divisione germanica, e il generale Mario Carloni, comandante della divisione Italia della R.S.I. In rapida marcia la Feb proseguì per Piacenza e Alessandria. Alcuni gruppi raggiunsero il confine francese.
Al termine dei 239 giorni di campagna in Italia, (versione ufficiale) le truppe brasiliane accusarono 465 morti, 2.722 feriti, 35 prigionieri e 16 dispersi; catturarono 20.573 uomini, fra i quali 2 generali, 892 ufficiali e 19.679 uomini di truppa.

 

Guerra e politica.

Perché il Brasile entrò attivamente nel conflitto al fianco degli alleati, e soltanto due anni dopo la dichiarazione di guerra? Le ragioni furono in primo luogo politiche. Partecipare alla guerra “fu l'unica strada che venne trovata per uscire da una situazione difficile a seguito di pressioni interne e degli Stati Uniti - sostiene il giornalista e storico brasiliano William Waack. Il presidente del Brasile Getulio Vargas – dice Waack - aveva diretto lo ‘Estado novo’, una forma di polulismo che tentava di ricalcare politicamente il corporativismo europeo di quegli anni, di mettere in Brasile solide basi per uno sviluppo industriale nazionale. Soltanto un allineamento con gli Stati Uniti avrebbe potuto favorire questo progetto”.

La partecipazione del Brasile alla guerra è servita poi per interpretazioni contrapposte: nel 1945 rese possibile il recupero della vita istituzionale aprendo un periodo di democrazia nel paese. Vent'anni dopo legittimò il golpe che chiuse questo periodo. Nell'occasione, la presidenza della Repubblica fu affidata al maresciallo Humberto Castello Branco, un febiano che aveva combattuto sui monti di Montese.

Le immagini contenute in questo articolo sono state scattate dagli stessi militari brasiliani a Montese.




L'autore è giornalista, collaboratore del quotidiano "Il Resto del Carlino", e autore del libro: "Arrivano i nostri. Il Brasile nella seconda guerra mondiale. La presa di Monte Castello e la battaglia di Montese", edito nel 1995 da Golinelli Industrie grafiche - Formigine Modena. (Prefazione consultabile su: http://www.montesenotizie.it/biblioteca.htm)

 

 

E il cobra si mise a fumare...

 

di Dulce Rosa Rocque

 

  (em portugues)

      Non sappiamo come quest'anno sarà festeggiato in Italia un nuovo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. In Brasile, qualcuno andrà a deporre fiori e accendere ceri al “Monumento aos Pracinhas” della Praia do Flamengo - a Rio de Janeiro - alla memoria di quei giovani brasiliani che come tanti altri stranieri sono venuti a morire in Italia. E certamente anche nell’Appennino tosco-emiliano sarà ricordato il contributo dei brasiliani alla liberazione.

Sembra un fatto avvenuto tanto tempo fa, di poca importanza, visto che non lo si studia nemmeno nella scuola dell’obbligo. Quanto ne sa la gioventù di oggi sul contributo di altri popoli a quella vittoria? Cosa sanno i giovani dei sacrifici, delle vite perdute e delle ragioni che portarono alcuni paesi stranieri a partecipare a quel conflitto in Europa? Ben pochi sanno, ad esempio, cosa sia accaduto perché il Brasile, paese geograficamente così lontano, entrasse in guerra. Così come pochi sanno che i soldati brasiliani che parteciparono al conflitto in Italia, a fianco degli Alleati, furono oltre 25mila. E questa perdita di memoria storica si segnala anche in Brasile, non soltanto in Italia. Invece ci sembra importante, oggi più che mai, ricordare che le Forze Alleate erano formate pure da altre nazioni oltre a Stati Uniti e Gran Bretagna: vi erano contingenti indiani, sudafricani, neozelandesi, canadesi e, e sia pure organizzati in modeste divisioni, anche greci, ebrei e altri ancora.

Possiamo capire il motivo per cui i paesi dell’area di influenza inglese (colonie, ma non soltanto) fossero presenti. Ma il Brasile non era, almeno ufficialmente, una colonia americana, inglese o sovietica. Per avere un’idea delle motivazioni che portarono il Brasile a entrare in guerra, è necessario fare qualche passo indietro nel tempo e ricordare anzitutto che, negli anni Trenta, in Brasile sorge l’esigenza dell’industrializzazione del paese. Si preme per la nascita di una siderurgia nazionale; si tengono conferenze pubbliche in suo sostegno, si denuncia anche l’opera di sabotaggio da parte del capitale straniero. Questa richiesta diventa desiderio nazionale, e il governo degli Stati Uniti, a conoscenza dei contatti stabiliti dal governo brasiliano con la Germania (che investiva già nella sua rete ferroviaria), in cambio dell’appoggio bellico del paese, promette finanziamenti per lo sviluppo dell’industria siderurgica nazionale (leggasi Volta Redonda). Molti dubitavano della scelta che avrebbe fatto il Presidente della Repubblica, tanto che un giornalista carioca scrisse: “è più facile che un cobra si metta a fumare che il Brasile entri in guerra”.

Il perché di tanta perplessità si basava sul fatto che, fin dal novembre 1937, da quando cioè il Presidente Vargas chiuse il Congresso Nazionale, il Brasile era governato da una dittatura populista, chiamata “Estado Novo”, che aveva ottime relazioni con l’Italia, la Germania e il Giappone. Anzi, durante gli Anni Trenta gli scambi commerciali (materie prime in cambio di armi) erano già piuttosto frequenti, ma si intensificarono e divennero regolari con l’avvento del regime autoritario di Getulio Vargas, la versione cabocla dell’integralismo, così affine al fascismo.

Le autorità americane sapevano che, una volta iniziata la guerra, il nord ed il nordest brasiliano sarebbero diventati un punto fondamentale per la difesa del continente ed anche per la movimentazione delle truppe per il nordAfrica. Pertanto una politica di avvicinamento degli Stati Uniti al Brasile era fondamentale alfine di trattare anche la costruzione di basi navali e aeree in quelle regioni.

 In seguito all’attacco giapponese a Pearl Harbour e all’entrata in guerra degli Usa, il Brasile comincia a allontanarsi diplomaticamente dai paesi dell’Asse, allineandosi agli altri stati sudamericani, con un’apparente posizione di neutralità. La rottura ufficiale avviene nel 1942, quando vengono affondate 35 navi mercantili brasiliane (con circa 1000 morti) lungo la costa, da parte di sommergibili tedeschi ed italiani che cercavano di paralizzare la navigazione nell’Atlantico. Il 31 agosto 1942 viene così dichiarata guerra all’Italia ed alla Germania; con questa mossa, il Brasile di Vargas apre le braccia alle sovvenzioni americane (20 milioni di dollari) ed anche alle azioni della cosiddetta quinta coluna alemã, formazione di spie e sabotatori apparsa nel sud del paese.

Inizia allora la vendita dei “buoni di guerra” con lo scopo di aiutare l’acquisto di quanto necessario alla campagna. I contributi potevano essere fatti da chiunque, però erano obbligatori per i dipendenti pubblici (3% dello stipendio). Nelle grandi città del litorale come Rio de Janeiro (allora capitale) , Salvador e Recife, per esempio, inizia anche il blackout elettrico al fine di evitare possibili bombardamenti da parte dei tedeschi.

Intanto, le vittorie alleate nel nord dell’Africa, nel novembre del ’42, riducono considerevolmente l’importanza strategica del nord e nordest brasiliano e l’Inghilterra inizia a fare resistenza in presenza di una forza brasiliana nel Mediterraneo. Nel frattempo, in Italia, la censura fascista aveva proibito di dare informazioni sull’affondamento delle navi brasiliane. L’entrata del Brasile in guerra veniva ridicolizzata con attacchi, non solo al governo, ma anche al popolo brasiliano. Per alimentare le ostilità venivano insistentemente diffuse notizie distorte riguardo ai milioni di immigrati italiani che – secondo il regime - soffrivano nelle prigioni e nei campi di concentramento brasiliani. La macchina propagandistica di Mussolini cercava di alimentare l’odio e le passioni guerriere, evitando la verità e spargendo menzogne.

I nazifascisti delle comunità del Sud del paese (São Paulo, Santa Catarina, Paranà, Rio Grande do Sul), contrari alla dichiarazione di guerra, cercarono a loro volta, in tutti i modi, di minare l’alleanza fatta con gli USA. Lo fanno  tramite la Quinta Colonna, potentissima struttura di spionaggio che arrivò a coinvolgere esponenti dei massimi livelli del potere nazionale. Il centro delle operazioni di spionaggio era legato alle compagnie aeree Lati, italiana, e Condor, tedesca, che furono interdette a seguito della dichiarazione di guerra all’Asse. I loro componenti, simpatizzanti nazifascisti, si convertono allora in sabotatori. I primi arresti di spie avvengono nell’aprile del 1942 a Rio de Janeiro, quando viene scoperta una centrale radio, equipaggiata con moderni apparecchi tedeschi, che dava informazioni sulle rotte delle navi che si dirigevano verso il nord Africa. Nel mese di settembre vengono scoperte bombe-orologio che erano state sparse in posti strategici della città per sabotare la sfilata delle Forze Armate nell’anniversario dell’indipendenza del Brasile. L’azione delle comunità italiane e tedesche riesce a ritardare l’azione bellica: la partecipazione effettiva dei soldati brasiliani avviene solo due anni più tardi.

 Risultato: “a cobra fumou” e, con Decreto Presidenziale del 24.12.1942 fu creata la Força expedicionaria brasileira (Feb), parte del IV Corpo del V Esercito nordamericano che integrava, a sua volta, il XV Gruppo dell’Esercito alleato. Iniziano così i preparativi per la guerra con il “richiamo alle armi” del popolo. L’estrazione sociale dei componenti delle truppe brasiliane (pracinhas), formata principalmente da volontari, era piuttosto bassa e variegata; la composizione andava dal disoccupato al piccolo commerciante, dal contadino al bancario. I militari di carriera dovettero azzerare tutta la loro preparazione, di scuola francese, e ricominciare daccapo, secondo la tradizione americana.

Le partenze dei pracinhas su navi americane iniziano il 2 luglio 1944; un primo scaglione di più di 5mila uomini sbarca a Napoli, totalmente disarmato,  il 16 luglio del 1944. Soltanto tra il 5 ed il 18 agosto, a Tarquinia, i soldati ricevono armi e equipaggiamenti necessari. Da Napoli a Livorno sono trasferiti in barconi della Lci (Landing craft infantry) che trasportavano, ognuno, circa l’equivalente all’effettivo di una compagnia in un viaggio di 36 ore. Risalgono la penisola per concentrarsi nell’Appennino tosco-emiliano, fermandosi per la maggior parte del tempo lungo circa 18km della Strada Statale 64 “Porrettana”. E’ però il 16 settembre, a Monte Bastione, che viene sparata la prima pallottola brasiliana contro il nemico.

Il secondo e il terzo scaglione di brasiliani partono il 22 settembre con le navi americane Generale Mann – che portava 5.075 uomini- e General Meighs – con 5.239 uomini – e sbarcano a Napoli il 6 ottobre. Successivamente partono il quarto (4.591 persone) ed il quinto gruppo (8.002 componenti), sempre via nave, mentre via aerea seguono soltanto 111 persone.

Anche la Força aerea brasileira (Fab) partecipa agli scontri. Il 1° Gruppo di accia della Fab (Senta a Pua), imbarca per l’Italia nella nave americana Colombie nel settembre 1944. Erano 199 pracinhas, 168 sottufficiali, 6 infermiere e 75 ufficiali, di cui 41 pilota. La loro base era a Pisa e erano sotto il 22° Comando Aereo Tattico americano, che dava supporto aereo al V Esercito.

Raggiunto l’Appennino, totalmente impreparati anche al clima, molti soldati brasiliani si ammalarono di polmonite e pleurite; l’equipaggiamento fornito dagli Usa (armi, abiti, accessori, ecc.) si rivelò spesse volte inadeguato, e le attrezzature per lo più rimanenze di magazzino.  Inoltre si trovavano davanti, oltre ai tedeschi, altri due nemici: il freddo (-20°) e le montagne. I brasiliani, e non solo, arrivavano così dall’altro capo del mondo per lottare per una causa nota a tutti, ma che non era oltretutto supportata da una vera motivazione ideologica. 

La Feb si scontrò con tredici grandi unità nemiche (tre fasciste - Divisione Italia, Divisione Monte Rosa e Divisione San Marco – e dieci divisioni tedesche). La Fab, invece, in quei pochi mesi ha fatto 1.738 voli sul territorio nemico (Passo del Brennero e sudAustria, principalmente), 445 missioni e 2.456 decolli per offensive. Il 29 aprile avviene l’ultimo sparo da parte della Feb: il 18 luglio 1945, la nave General Meighs riporta i soldati a Rio de Janeiro. Le due battaglie più importanti da essi sostenute, quella del piccolo Monte Castello, tra le montagne del Bolognese, e quella per l'entrata a Montese, in provincia di Modena, hanno praticamente costituito – non solo per il contingente brasiliano - l’ultimo e decisivo scontro fra le truppe alleate e l’esercito nazista.

Luoghi che le mappe non segnalano nemmeno, come Ca' Berna, Madonna dell’Acero, Montilocco, Mazzancana, Ronchi di Sopra, Bombiana, Guanella, Vidiciatico, Cravullo, Castellaccio, Ca’ d’Orsino, Montaurigola, Gaiano, altri come Lizzano in Belvedere, Gaggio Montano, Marano, Sassuolo, Vignola, S. Ilario d’Enza, Montecchio,  Neviano, Fornovo, Piacenza, Alessandria, hanno visto passare i pracinhas con quella ‘cobra fumando’ come distintivo. Gli abitanti di quei posti, allora, avevano da offrire soltanto le uova come ringraziamento.

Se si vuol fare un confronto del numero di partecipanti alla guerra da parte di paesi quali Usa, Gran Bretagna e Urss, il contributo del Brasile sembra certamente modesto e, forse per questo, non degno di nota. Però non per questo si può dire che i pracinhas non abbiano combattuto con grande dignità. Si potrebbe anzi dire si siano comportati meglio di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi.

Esaminando la permanenza dei contingenti alleati in quei paesi e in quelle borgate da altri punti di osservazione, verifichiamo che vi fu anche una autentica rivoluzione etnica, culturale e per molti aspetti politica. Il prolungato contatto tra popoli differenti e differenti culture non portò solo distruzione in quei luoghi, dove lo scorrere del tempo aveva da poco cambiato i modi di vita, le pratiche lavorative e le consuetudini, a causa della guerra. Nelle immediate retrovie, e anche a ridosso delle linee di combattimento, ci fu convivenza tra abitanti e militari - che si insediavano nelle case rimaste agibili -, che poi si tradusse in amicizia od altro. I residenti erano spesso anziani o bambini, cosicché, nei mesi di stasi del fronte, tra giovani stranieri delle truppe alleate e ragazze del posto fiorirono relazioni d’affetto che, finita la guerra, spesso sfociarono in matrimoni. Una quarantina solo nell’Appennino bolognese e parecchie centinaia di migliaia dagli sbarchi in Sicilia nel 1943 alla partenza delle truppe d’occupazione avvenuta nei primissimi anni ’50. Questo particolare aspetto della guerra sotto casa, di converso, non registra matrimoni con tedeschi i quali, benché dall’altra parte della barricata, hanno trascorso nelle stesse zone analogo periodo di tempo. Nell’ampio “campionario” straniero sono stati preferiti: statunitensi (parecchi italoamericani), sudafricani, inglesi, polacchi, brasiliani.

Su questo e altri argomenti relativi alla guerra, in Brasile furono scritte canzoni. Oltre alla “Canção do Expedicionario” che parla, con nostalgia, di quanto e cosa i soldati avevano lasciato a casa, abbiamo, sempre in tema di matrimoni, la “Mia Gioconda” (Vicente Celestino) che racconta la storia di un pracinha sposato in Italia che non ha potuto portare a casa la moglie per ordine della Feb; sul dolore delle madri, “Mãe Maria” ricorda, seduta sotto un albero, il figlio perso in guerra, e cosi via.

In clima di festa ogni anno a Montese, unica città al mondo ad avere diversi spazi dedicati al Brasile (una via, una piazza, due monumenti e una sala del Museo Storico), arrivano brasiliani per partecipare alle manifestazioni relative alla Liberazione. E oggi gli indigeni non offrono più uova, ma questa è un’altra storia.

 

Fonti

Libri: Hillgruber - "Storia della 2a Guerra Mondiale" - 2000 – Laterza

          Rui Facò – "Brasile XX Secolo" - 1962 – Editori Riuniti

          Rubem Braga – "Cronicas da Guerra na Italia" - 1986 – Editora Record

          Montese 1943-1945 – "Testimonianze" - 1975 – Scuola Grafica Salesiana

Giornali: L’Unità-Bologna – "Spose di guerra sull’Appennino" – 10.7.1994

               Diario – "I soldati con l’abacaxi" – 09.3.2001

Internet: http://br.geocities.com/luirdf/aguerra.html//historiajf.vila.bol.com.br/f_e_b.htm

               http://www.segundaguerramundial.hpg.ig.com.br/feb.htm

 

 

  (em portugues)

E a cobra fumou!

 

 

por Dulce Rosa Rocque

 

 

   

        Este mês se comemora outro aniversário do fim da Segunda Guerra Mundial. Não sei como serão as comemorações na Itália; no Brasil, alguém irá depor flores e acender velas no “Monumento aos Pracinhas” da Praia do Flamengo, no Rio de Janeiro, aqueles jovens brasileiros que, como tantos outros estrangeiros, vieram morrer aqui. Com certeza, também no Apenino Tosco-Emiliano  será lembrada a contribuição dos brasileiros à vitoria.

  Parece que isso aconteceu tanto tempo atrás e que é um fato histórico de pouca importância pois se estuda pouco até na escola.  O que sabe a juventude de hoje sôbre a contribuição de outros povos para essa vitória? O que sabem sôbre os sacrifícios, sôbre as vidas perdidas e sôbre as razões que trouxeram à Europa vários grupos de estrangeiros a partecipar daquela guerra. Por exêmplo, bem poucos sabem que os soldados brasileiros que parteciparam a êsse conflito na Itália, ao lado dos Aliados, foram mais de 25.000 e quais foram os motivos que levaram o Brasil a entrar em guerra. Isto acontece também no Brasil, não somente aqui, entretanto hoje é importante,  mais do nunca, lembrar que as Forças Aliadas eram formadas por tantas nações: tinham contingentes indianos, sulafricanos, neozelandeses, canadeses e, mesmo se com pequenas formações, gregos, hebreus, etc., logicamente, além dos ingleses e dos norteamericanos.

  Podemos até entender que os países da área de influência inglesa (colonias ou não) fôssem presentes, mas o Brasil não sendo, ao menos oficialmente, uma colonia americana, inglesa ou soviética, porque entrou no conflito? Para ter uma ideia desse motivo precisa voltar atrás de alguns anos. Antes de tudo, é interessante lembrar que nos anos trinta, surgia no Brasil a exigência da industrialização do país: reclamava-se o nascimento de uma siderurgia nacional; proferiam-se conferências públicas sôbre isso onde denunciavam também a obra de sabotagem da parte do capital estrangeiro. Este pedido virou desejo nacional e o govêrno dos Estados Unidos, sabendo dos contactos estabelecidos pelo govêrno brasileiro com a Alemanha (que ja fazia grandes investimentos na rede ferroviaria), em troca do apoio bélico do país, oferece o financiamento necessário para desenvolver a indústria siderúrgica nacional (ler Volta Redonda). Muitos eram incrédulos sôbre uma tal opção da parte do Presidente da República, tanto que um jornalista carioca escreveu “è mais facil uma cobra fumar do que o Brasil entrar em guerra”.

O porque de tanta perplexidade era baseado no fato  que, desde novembro de 1937, ou seja quando o Presidente Vargas fechou o Congresso Nacional, o Brasil era governado por uma ditadura populista, chamada “Estado Novo”, que mantinha ótimas relações com a Itália, Alemanha e  Japão. Aliás, durante os anos 30, as trocas comerciais (materias primas por armas) eram ja muito freqüentes, mas aumentaram e se tornaram regulares com o advento do regime autoritário de Getulio Vargas, a versão cabocla do integralismo, tão similar ao fascismo.

As autoridades americanas sabiam que, uma vez iniciada a guerra, o norte e o nordeste do Brasil  se tornariam um ponto fundamental para a defesa do continente e também para a movimentação das tropas para o norte da Africa, portanto, era mais do que neccessário uma política de aproximação entre os dois países a fim de tratar, inclusive, a construção de bases navais e aéreas naquelas regiões.

O Brasil começou a se afastar diplomaticamente dos países do Eixo, mantendo uma aparente posição de neutralidade, depois do ataque japones a Pearl Harbour e da conseqüente entrada dos Estados Unidos na guerra. Sòmente depois de terem sido torpedeados 35 navios mercantes brasileiros (com cerca de 1000 mortos) da parte de submarinos alemães e italianos ocupados em paralizar a navegação no Atlântico, o Brasil rompe oficialmente as relações com esses países. Dia 31 de agosto de 1942 è declarada guerra à Italia e Alemanha; com esta medida, o Brasil de Vargas abre os braços as subvenções americanas (20 milhões de dolares) e também às ações da chamada “quinta coluna”, organização de espias e sabotadores.

Da-se início a venda dos “bonus de guerra” com o fim de ajudar na aquisição de quanto era necessário à campanha. As contribuições podiam ser feitas por qualquer pessoa, mas era obrigatória para os funcionários públicos (3% do salário). Nas grandes cidades do litoral como Rio de Janeiro (então capital do Brasil), Recife, Salvador, por exêmplo, inicia o ‘blackout’ a fim de evitar possíveis bombardeamentos da parte dos alemães.

Nêsse meio tempo, as vitórias aliadas no norte da Africa, em novembro de 1942, reduzem consideravelmente a importância estratégica do nordeste do Brasil e a Gran Bretanha inicia a fazer resistência  à presença de uma força brasileira no Mediterrâneo. Enquanto isso acontecia, na Itália, a censura fascista  evitava dar informações  sôbre o torpedeamento de navios brasileiros. A entrada do Brasil na guerra era ridicularizada com ataques, não somente à atitude do govêrno, mas também ao povo brasileiro; para alimentar a hostilidade davam constantemente informações desastrosas sôbre a situação de milhões de imigrantes italianos que – segundo o regime – sofriam nas prisões e nos campos de concentração brasileiros. A máquina propagandistica de Mussolini procurava incutir ódios e paixões guerreiras, proibindo a verdade e espalhando mentiras.

Os nazi-fascistas das comunidades do sul do país (S.Paulo, Santa Catarina, Paraná e Rio Grande do Sul), contrários à declaração de guerra, procuravam de todos os modos minar a aliança feita com os EEUU. Utilizavam para isso a Quinta Coluna, estrutura muito potente que chegou a compreender os niveis  máximos do poder nacional. O centro das operações de espionagem estava na verdade representados pelas emprêsas aéreas LATI, italiana, e CONDOR, alemã, as quais foram interditadas após a declaração de guerra aos países do Eixo. Seus componentes, nazi-fascistas, converteram-se, então, em sabotadores. As primeiras prisões de espiões aconteceram em abril de 1942 no Rio de Janeiro, quando foi descoberta uma central de radio equipada com modernos aparelhos alemães que passava informações sôbre a rota dos navios que se dirigiam para o norte da Africa. No mês de setembro foram descobertas bombas-relógio em pontos estratégico da cidade com o fim de sabotar o desfile das Fôrças Armadas no aniversário da Independência. As constantes ingerências das comunidades italiana e alemã retardaram a partecipação efetiva dos brasileiros na guerra, que só aconteceu dois anos mais tarde.

Resultado: a cobra fumou e, con Decreto Presidencial do dia 24/12/1942, foi criada a “Força Expedicionaria Brasileira” (FEB), que foi fazer parte do IV Corpo do V Exército Norte-americano e que integrava o XV Grupo do Exército Aliado. Iniciam, então, os preparativos com a “chamada às armas” do povo.  A extração social dos componentes das tropas brasileiras (pracinhas), formada principalmente por voluntários, era muito baixa; a composição variava do desocupado ao pequeno comerciante, do camponês ao bancário. Os militares de carreira, por sua vez,  tiveram que cancelar o que tinham aprendido – segundo a escola francesa – e recomeçar tudo de novo – segundo a tradição americana.

Dia 2 de Julho de 1944, os Pracinhas, em navios americanos, começam a partir para a Itália. O primeiro escalão composto de mais de 5.000 homens desembarca, totalmente desarmado, em Nápoles no dia 16 de julho e, sòmente entre os dias 5 e 18 de agosto, a Tarquinia, receberiam seus armamentos e os equipamentos necessários à missão. De Nápoles a Livorno são transferidos em barcos LCI (Landing Craft Infantry) cada um levando aproximadamente o efetivo de uma companhia ;  essa viagem durava  36 horas.  Sobem a peninsula para se concentrarem  na zona do Apenino Tosco-emiliano, ficando a maior parte do tempo ao longo de 18 km da Estrada Estadual 64, mais conhecida como “Porrettana”.  E’ porém dia 16 de setembro, em Monte Bastione, que foi atirada a primeira bala por parte dos brasileiros contra o inimigo.

O segundo e o terceiro escalão de brasileiros, partem nos navios americanos General Mann –que levava 5.075 homens- e General Meigs –com 5.239 – no dia 22 de setembro e desembarcam em Nápoles dia 6 de outubro. Sucessivamente partem, sempre de navio, outros dois grupos  com 4.591 e 8.002 componentes respectivamente; por via aérea seguem sòmente 111 pessoas.

A Fôrça Aérea Brasileira (FAB) também partecipou das batalhas. O 1° Grupo de Caça da FAB (Senta a Pua) embarcou para a Itália no navio americano Colombie em setembro de 1944. Eram 199 Pracinhas, 168 sub-oficiais, 6 infermeiras e 75 oficiais, dos quais 41 eram pilotos. Estabeleceram sua base em Pisa sob o 22° Comando Aéreo Tático Americano, que dava suporte aéreo ao V Exército.

Quando os pracinhas chegaram no Apenino, totalmente despreparados inclusive ao clima, muitos deles adoeceram de pulmonite e pleurite; o equipamento fornecido pelos EEUU (roupas, accessórios, etc.) revelou-se inadequado e os armamentos, pareciam fazer parte de um stock muito velho. Ainda mais, encontraram, além dos alemães, outros dois inimigos: o frio (-20) e as adversidades do terreno montanhoso. Os brasileiros, e não sòmente, chegavam assim do outro lado do mundo para lutar por uma causa nota a todos, mas contra a qual não tinham, além de tudo, uma verdadeira motivação ideológica.

Na ordem, as vitórias da FEB foram: Camaiore no dia 18/09/1944, Monte Prano dia 26/09, Monte Castelo dia 21/02/1945, Castelnuovo dia 05/03, Montese dia 14/04, Zocca dia 20/04, Collecchio dia 26/04, Fornovo dia 28/04 e, prosseguindo para Turim, ocuparam Alessandria. Dia 29 de abril foi dado o ultimo tiro pelos pracinhas da FEB. Seguem depois para Susa, ja libertada, onde estabelecem contacto com os franceses: dia 18 de Julho de 1945, o navio Gal. Meigs os trás de volta ao Rio de Janeiro.

Foram exatamente 25.334 brasileiros mobilizados para o conflito, dos quais 15.069 combateram. As duas batalhas mais importantes, aquela de Monte Castelo, entre as montanhas bolonhesas, e aquela da entrada de Montese, na província de Modena, constituiram – não sòmente para os brasileiros- o ultimo e decisivo combate entre tropas aliadas e o exército nazista. Terminada a guerra, o balanço foi: 239 dias de batalha – de 6 de setembro de 1944 até dia 2 de maio de 1945-; 457 mortos e desaparecidos em combate, 16 dispersos, cêrca de 2.720 feridos e 38 prisioneiros de guerra. Em compensação, porém, fizeram 20.573 prisioneiros de guerra e prenderam 80 canhões de diferentes calibres, 1.500 viaturas e 4.000 cavalos. A FEB travou combate com treze grandes unidades inimigas (tres fascistas –Divisão Italia, Divisão Monte Rosa e Divisão San Marco- e dez divisões alemãs). A FAB, em vez, naqueles poucos dias fez 1.738 vôos sôbre territórios inimigos (Passo Brenner e sul da Austria, principalmente), 445 missões e 2.456 decolagens para ofensivas.

Os pracinhas com a “cobra fumando” passaram por aldeias que nem se encontram nos mapas, como: Ca Berna, Madona dell’Acero, Montilocco, Mazzancana, Ca d’Orsino, Ronchi di Sopra, Bombiana, Guanella, Vidiciatico, Cravullo, Castellaccio, Montaurigola, Gaiano, etc e atravessaram cidadezinhas  como Lizzano in Belvedere, Gaggio Montano, Marano, Sassuolo, Vignola, S. Ilario d’Enza, Montecchio, Neviano,  etc. Os habitantes daqueles lugares, naquele tempo, agradeciam como podiam, e ofereciam… ovos.

Certamente, se fizermos uma comparação do número de partecipantes à guerra da parte de países como os EEUU, a Gran Bretagna ou a União Soviética, a contribuição do Brasil parece ínfima e, talvez porisso, não digna de nota, mas não porisso os pracinhas deixaram de combater com grande dignidade, aliás, se comportaram melhor do que seria lécito esperar.

Examinando, de um outro ponto de vista, a permanência das tropas aliadas naqueles lugarejos, vamos notar que aconteceu, também, uma autêntica revolução étnica, cultural e por muitos aspectos política. Esse longo contacto com povos diferentes não levou sòmente destruição aqueles lugares, onde a guerra tinha mudado o modo de vida, de trabalho, insuma, o dia-a-dia. Nas retrovias e mesmo ao lado das linhas de combatimento, a convivência entre habitantes e militares –uma vez que estes se estabeleciam nas casas que não tinham sido derrubadas- levou ao nascimento de amizades e, em alguns casos, de algo mais do que isso. Os homens que alí se encontravam eram, ou idosos ou crianças, assim sendo, nos meses em que eram menores os números de operações, entre jovens estrangeiros e moças daqueles lugares nasceram relações de afeto que, em certos casos, depois do fim da guerra, deram em casamento. Uns quarenta só no Apenino bolonhes e muitas centenas de milhares desde o desembarque dos Aliados na Sicilia em 1943 até a partida das tropas de ocupação no início dos anos cinquenta.  Este aspecto particular da guerra, pelo contrário, não registra casamentos com alemães, os quais, mesmo se do lado de lá da barricada, transcorreram igual período de tempo na Itália. Na ampla “amostra” de estrangeiros , os preferidos foram: norte-americanos (principalmente os italo-americanos), sul-africanos, ingleses, poloneses e brasileiros.

No Brasil, até musicas foram feitas sôbre a guerra. Além da “Canção do Expedicionário”, que falava, com saudade, daquilo que tinham deixado em casa, tivemos também a “Mia Gioconda”, de Vicente Celestino, que narrava a história de um pracinha que se casou na Itália mas não pode trazer sua esposa para casa, por ordem do comando da FEB; sôbre a dor das perdas, “Mãe Maria” lembra, sentada sob uma mangueira, o filho morto na guerra, e assim por diante.

Em clima de festa, todos os anos em Montese, única cidade no mundo a ter vários espaços dedicados ao Brasil (uma praça, uma rua, dois monumentos e uma sala do Museu Histórico), chegam brasileiros para partecipar das comemorações relativas à liberação. Hoje, aquele povo, não oferece mais ovos… mas esta è outra história.

 



Canção do expedicionario

  Letra: Guilherme de Almeida
Música: Spartaco Rossi 

Você sabe de onde eu venho ?
Venho do morro, do engenho,
Das selvas, dos cafezais,
Da boa terra do côco,
Da choupana onde um é pouco,
Dois é bom, três é demais,

Venho das praias sedosas,
Das montanhas alterosas,
Do pampa, do seringal,
Das margens crespas dos rios,
Dos verdes mares bravios,
Da minha terra natal.

Por mais terra que eu percorra,
Não permita Deus que eu morra,
Sem que volte para lá;
Sem que leve por divisa,
Esse "V" que simboliza,
A Vitória que virá :
Nossa Vitória final,
Que é a mira do meu fuzil,
A ração do meu bornal,
A água do meu cantil,
As asas do meu ideal,
A glória do meu Brasil !

Eu venho da minha terra,
Da casa branca na serra,
E do luar do meu sertão;
Venho da minha Maria,
Cujo nome principia,
Na palma da minha mão.
Braços mornos de Moema,
Lábios de mel de Iracema,
Estendidos para mim,
Ó minha terra querida,
Da Senhora Aparecida,
E do Senhor do Bonfim !

Por mais terra que eu percorra,
…………

A gloria do meu Brasil !

Você sabe de onde eu venho ?
É de uma pátria que eu tenho,
No bojo do meu violão;
Que de viver em meu peito,
Foi até tomando jeito,
De um enorme coração.
Deixei lá atrás meu terreiro,
Meu limão, meu limoeiro,
Meu pé de jacarandá,
Minha casa pequenina,
Lá no alto da colina,
Onde canta o sabiá !

Por mais terra que eu percorra,
…………
A glória do meu Brasil !

Venho do além desse monte,
Que ainda azula o horizonte,
Onde o nosso amor nasceu;
Do rancho que tinha ao lado,
Um coqueiro que coitado,
De saudades já morreu.
Venho do verde mais belo,
Do mais dourado amarelo,
Do azul mais cheio de luz,
Cheio de estrelas prateadas,
Que se ajoelham deslumbradas,
Fazendo o sinal da Cruz !

Por mais terra que eu percorra,
………………
A glória do meu Brasil !