Quando il Brasile dichiarò guerra all'Italia Ricostruzione degli eventi da parte di un italiano e una brasiliana
A Montese e M.Castello i successi più significativi - di Walter Bellisi E il cobra si mise a fumare... - di Dulce Rosa Rocque
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A Montese e M.Castello i successi più significativi
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Il Brasile in guerra Coerente con le conclusioni della Conferenza di Panama tra i paesi americani, quando nel settembre 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale, il governo brasiliano assunse un atteggiamento di neutralità. Dopo la resa della Francia, nel luglio 1940, un vertice interamericano si concluse con l'affermazione del principio che ogni azione diretta contro uno Stato americano da parte di uno Stato estraneo al continente sarebbe stato considerato come un atto di aggressione contro gli stati firmatari della dichiarazione. L'attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor fece scattare l'intesa di solidarietà. Nel gennaio 1942 il Brasile ruppe le relazioni diplomatiche con la Germania, l'Italia e il Giappone. Il 22 agosto successivo, dopo le proteste per gli affondamenti di alcune sue navi, il governo di Rio dichiarò guerra alla Germania e all'Italia. Il 16 luglio 1944 giunse nella nostra penisola una prima parte del contingente Sud americano.
La Feb La Feb era comandata dal generale Joao Baptista Mascarenhas de Moraes e fu aggregata al IV corpo d'Armata (generale Crittenberger) della 5ª armata americana comandata dal generale Mark W. Clark. Contava 25.334 uomini, dei quali 15.069 presero parte attiva ai combattimenti.
L’avanzata Dopo aver occupato alcune località nella zona di Camaiore, ai brasiliani, il cui ruolo iniziale era di forza ausiliaria o d'appoggio, nel novembre venne assegnata un nuovo settore di guerra: la valle del Reno, in prima linea. Quelle truppe erano però impreparate ad affrontare una guerra complessa come quella che erano state chiamate a combattere, non erano abituate a vivere in montagna, in particolar modo durante la stagione invernale, con un equipaggiamento non adatto alla critica situazione ambientale, che avevano avuto in modo affrettato dalla 5ª armata. Nacquero così non pochi problemi che furono comunque superati.
Monte Castello Monte Castello (m. 887), nel bolognese, segnava il punto di congiunzione tra la divisione brasiliana e la Task Force 45 che venne sostituita alla fine di gennaio dalla 10ª divisione da montagna
statunitense. Quel crinale faceva parte della "Linea verde II", la nuova linea di difesa che i tedeschi avevano approntato dopo lo sfondamento della "Gotica" e "Linea Verde 1".
Monte Castello resistette a quattro attacchi delle forze alleate. Fu conquistato dai brasiliani il 21 febbraio 1945. Il giorno precedente, gli uomini della 10ª divisione da montagna Usa, avevano cacciato i tedeschi dal vicino e più importante Monte Belvedere.
Preso il crinale, gli alleati arrestarono l'avanzata. Dalla vetta di quelle alture controllavano parte della vallata del fiume Reno e parte di quella del Panaro. La vicina Montese, le cui attigue montagne del Montello, a nord, degradano velocemente verso la pianura con le città di Modena e di Bologna, era in mano dei tedeschi.
L’attacco a Montese L'attacco a questo centro, ormai paese fantasma a causa dello sfollamento, era programmato per il 12 aprile. Due fattori impedirono che l'offensiva avvenisse quel giorno: il maltempo segnalato sulle piste di atterraggio e la morte del presidente degli Stati Uniti d'America Franklin Delano Roosvelt; il 13 era poi considerato infausto. Si arrivò così al 14. All'alba di quel giorno iniziarono intensi cannoneggiamenti. Era il preludio all'attacco che iniziò alle 13,30. Dopo meno di due ore di accesa battaglia i soldati brasiliani entrarono in Montese paese. L'obiettivo a quel punto restava la conquista delle contigue alture a nord: Monte Buffone e Montello. Seguirono altri tre giorni di lotta, con decine di morti da ambo le parti. Al seguito della Feb c'erano tre corrispondenti di guerra e fotografi. Il 16 aprile, l'inviato de o Globo Egydio, Squeff scrisse per il suo giornale: “Montese non esiste più. Nessuna casa è rimasta intatta. E'un paese deserto, pieno di rovine. Nelle case distrutte, le macchie di sangue testimoniano la violenza della battaglia. Ma la completa distruzione ancora non è avvenuta. Sono trascorse più di 48 ore e i tedeschi con l'artiglieria continuano a scaricare bombe sul paese, quasi ininterrottamente. A ogni attimo si odono esplosioni. Carri armati distrutti, pareti cadute, una bomba d'aereo inesplosa, monti di macerie nelle vie, silenzio di uomini stanchi: questa è Montese. La sua torre è semidistrutta, il cimitero è danneggiato. Ho cercato di incontrare qualche abitante, ma invano. Ho visto solo porte scassate, letti vuoti, camere in disordine”. E il 17 Joel Silveira del Diario Associados: “Per i brasiliani la vittoria è ancora incerta. I nazisti sparsi sui monti intorno, minuto dopo minuto, buttano sul paese una pioggia interminabile di mortai [...]. Da quattro giorni Montese è definitivamente in mano ai brasiliani, ma è ancora un luogo senza pace. Le sue vie sono deserte. [...]”. Intanto, la 10ª divisione da montagna, il 16 aprile, si era spinta fino a Tolè creando uno sfondamento del fronte. I brasiliani erano ancora impegnati sui monti a nord di Montese paese. Nelle prime ore del mattino del 17, dal IV corpo, giunse l'ordine di sospendere l'attacco e di mantenere le posizioni: il comando della 5ª armata aveva prescritto l'annullamento dell'attacco sul fronte di Montese. Nel frattempo, i tedeschi ricevettero l'ordine di attuare il piano Kitty - Dschingis Khan - Stellung, la ritirata, che attuarono nella notte fra il 18 e il 19. La vetta di Monte Buffone rimase terra di nessuno e il Montello non fu mai conquistato dagli alleati.
A partire dal 19 aprile, le unità del generale Clark avevano definitivamente spezzato la difesa nemica sulle montagne e sboccarono in pianura: si passò quindi al fulmineo sfruttamento del successo. Bologna venne presa il 21 con un'azione convergente delle forze della 5ª e dell'8ª armata. Il 22 cadde Modena e il 23 venne raggiunto il Po.
La Feb a Zocca, Vignola, Collecchio. Il 21 aprile gli uomini della Feb raggiunsero Zocca e proseguirono per Vignola, Maranello, Sassuolo, Scandiano e
Montecchio.
Si spinsero fino alle colline parmensi a ridosso della pianura Padana. Qui, dal 26 al 30 aprile, tra Collecchio e Fornovo, sbarrarono la strada a reparti tedeschi della 148ª divisione che, attaccata sui fianchi da partigiani, scendeva i monti diretta a nord. Con le truppe si consegnarono il generale Otto Fretter
Pico, comandante della 148ª divisione germanica, e il generale Mario Carloni, comandante della divisione Italia della R.S.I. In rapida marcia la Feb proseguì per Piacenza e Alessandria. Alcuni gruppi raggiunsero il confine francese.
Guerra e politica. Perché il Brasile entrò attivamente nel conflitto al fianco degli alleati, e
soltanto due anni dopo la dichiarazione di guerra? Le ragioni furono in primo luogo politiche. Partecipare alla guerra “fu l'unica strada che venne trovata per uscire da una situazione difficile a seguito di pressioni interne e degli Stati Uniti - sostiene il giornalista e storico brasiliano William Waack. Il presidente del Brasile Getulio Vargas – dice Waack - aveva diretto lo ‘Estado novo’, una forma di polulismo che tentava di ricalcare politicamente il corporativismo europeo di quegli anni, di mettere in Brasile solide basi per uno sviluppo industriale nazionale. Soltanto un allineamento con gli Stati Uniti avrebbe potuto favorire questo progetto”. La partecipazione del Brasile alla guerra è servita poi per interpretazioni contrapposte: nel 1945 rese possibile il recupero della vita istituzionale aprendo un periodo di democrazia nel paese. Vent'anni dopo legittimò il golpe che chiuse questo periodo. Nell'occasione, la presidenza della Repubblica fu affidata al maresciallo Humberto Castello Branco, un febiano che aveva combattuto sui monti di Montese. Le immagini contenute in questo articolo sono state scattate dagli stessi militari brasiliani a Montese.
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E
il cobra si mise a fumare...
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Non sappiamo come quest'anno sarà festeggiato in Italia un nuovo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. In Brasile, qualcuno andrà a deporre fiori e accendere ceri al “Monumento aos Pracinhas” della Praia do Flamengo - a Rio de Janeiro - alla memoria di quei giovani brasiliani che come tanti altri stranieri sono venuti a morire in Italia. E certamente anche nell’Appennino tosco-emiliano sarà ricordato il contributo dei brasiliani alla liberazione. Sembra un fatto avvenuto tanto tempo fa, di poca importanza, visto che non lo si studia nemmeno nella scuola dell’obbligo. Quanto ne sa la gioventù di oggi sul contributo di altri popoli a quella vittoria? Cosa sanno i giovani dei sacrifici, delle vite perdute e delle ragioni che portarono alcuni paesi stranieri a partecipare a quel conflitto in Europa? Ben pochi sanno, ad esempio, cosa sia accaduto perché il Brasile, paese geograficamente così lontano, entrasse in guerra. Così come pochi sanno che i soldati brasiliani che parteciparono al conflitto in Italia, a fianco degli Alleati, furono oltre 25mila. E questa perdita di memoria storica si segnala anche in Brasile, non soltanto in Italia. Invece ci sembra importante, oggi più che mai, ricordare che le Forze Alleate erano formate pure da altre nazioni oltre a Stati Uniti e Gran Bretagna: vi erano contingenti indiani, sudafricani, neozelandesi, canadesi e, e sia pure organizzati in modeste divisioni, anche greci, ebrei e altri ancora. Possiamo
capire il motivo per cui i paesi dell’area di influenza inglese (colonie,
ma non soltanto) fossero presenti. Ma il Brasile non era, almeno
ufficialmente, una colonia americana, inglese o sovietica. Per avere
un’idea delle motivazioni che portarono il Brasile a entrare in guerra,
è necessario fare qualche passo indietro nel tempo e ricordare anzitutto
che, negli anni Trenta, in Brasile sorge l’esigenza
dell’industrializzazione del paese. Si preme per la nascita di una
siderurgia nazionale; si tengono conferenze pubbliche in suo sostegno, si
denuncia anche l’opera di sabotaggio da parte del capitale straniero.
Questa richiesta diventa desiderio nazionale, e il governo degli Stati
Uniti, a conoscenza dei contatti stabiliti dal governo brasiliano con la
Germania (che investiva già nella sua rete ferroviaria), in cambio
dell’appoggio bellico del paese, promette finanziamenti per lo sviluppo
dell’industria siderurgica nazionale (leggasi Volta Redonda). Molti
dubitavano della scelta che avrebbe fatto il Presidente della Repubblica,
tanto che un giornalista carioca scrisse:
“è più facile che un cobra si metta a fumare che il Brasile entri in guerra”.
Il
perché di tanta perplessità si basava sul fatto che, fin dal novembre
1937, da quando cioè il Presidente Vargas chiuse il Congresso Nazionale,
il Brasile era governato da una dittatura populista, chiamata “Estado
Novo”, che aveva ottime relazioni con l’Italia, la Germania e il
Giappone. Anzi, durante gli Anni Trenta gli scambi commerciali (materie
prime in cambio di armi) erano già piuttosto frequenti, ma si
intensificarono e divennero regolari con l’avvento del regime
autoritario di Getulio Vargas, la versione cabocla
dell’integralismo, così affine al fascismo. Le
autorità americane sapevano che, una volta iniziata la guerra, il nord ed
il nordest brasiliano sarebbero diventati un punto fondamentale per la
difesa del continente ed anche per la movimentazione delle truppe per il
nordAfrica. Pertanto una politica
di avvicinamento degli Stati Uniti al Brasile era fondamentale alfine di
trattare anche la costruzione di basi navali e aeree in quelle regioni. In
seguito all’attacco giapponese a Pearl Harbour e all’entrata in guerra
degli Usa, il Brasile comincia a allontanarsi diplomaticamente dai paesi
dell’Asse, allineandosi agli altri stati sudamericani, con
un’apparente posizione di neutralità. La rottura ufficiale avviene nel
1942, quando vengono affondate 35 navi mercantili brasiliane (con circa
1000 morti) lungo la costa, da parte di sommergibili tedeschi ed italiani
che cercavano di paralizzare la navigazione nell’Atlantico. Il 31 agosto
1942 viene così dichiarata guerra all’Italia ed alla Germania; con
questa mossa, il Brasile di Vargas apre le braccia alle sovvenzioni
americane (20 milioni di dollari) ed anche alle azioni della cosiddetta quinta coluna alemã,
formazione di spie e sabotatori apparsa nel sud del paese. Inizia
allora la vendita dei “buoni di guerra” con lo scopo di aiutare
l’acquisto di quanto necessario alla campagna. I contributi potevano
essere fatti da chiunque, però erano obbligatori per i dipendenti
pubblici (3% dello stipendio). Nelle grandi città del litorale come Rio
de Janeiro (allora capitale) , Salvador e Recife, per esempio, inizia
anche il blackout elettrico al fine di evitare possibili
bombardamenti da parte dei tedeschi. Intanto,
le vittorie alleate nel nord dell’Africa, nel novembre del ’42,
riducono considerevolmente l’importanza strategica del nord e nordest
brasiliano e l’Inghilterra inizia a fare resistenza in presenza di una
forza brasiliana nel Mediterraneo. Nel frattempo, in Italia, la censura
fascista aveva proibito di dare informazioni sull’affondamento delle
navi brasiliane. L’entrata del Brasile in guerra veniva ridicolizzata
con attacchi, non solo al governo, ma anche al popolo brasiliano. Per
alimentare le ostilità venivano insistentemente diffuse notizie distorte
riguardo ai milioni di immigrati italiani che – secondo il regime -
soffrivano nelle prigioni e nei campi di concentramento brasiliani. La
macchina propagandistica di Mussolini cercava di alimentare l’odio e le
passioni guerriere, evitando la verità e spargendo menzogne. I
nazifascisti delle comunità del Sud del paese (São Paulo, Santa
Catarina, Paranà, Rio Grande do Sul), contrari alla dichiarazione di
guerra, cercarono a loro volta, in tutti i modi, di minare l’alleanza
fatta con gli USA. Lo fanno tramite
la Quinta Colonna, potentissima struttura di spionaggio che arrivò a
coinvolgere esponenti dei massimi livelli del potere nazionale. Il centro
delle operazioni di spionaggio era legato alle compagnie aeree Lati,
italiana, e Condor, tedesca, che furono interdette a seguito della
dichiarazione di guerra all’Asse. I loro componenti, simpatizzanti
nazifascisti, si convertono allora in sabotatori. I primi arresti di spie
avvengono nell’aprile del 1942 a Rio de Janeiro, quando viene scoperta
una centrale radio, equipaggiata con moderni apparecchi tedeschi, che dava
informazioni sulle rotte delle navi che si dirigevano verso il nord
Africa. Nel mese di settembre vengono scoperte bombe-orologio che erano
state sparse in posti strategici della città per sabotare la sfilata
delle Forze Armate nell’anniversario dell’indipendenza del Brasile.
L’azione delle comunità italiane e tedesche riesce a ritardare
l’azione bellica: la partecipazione effettiva dei soldati brasiliani
avviene solo due anni più tardi. Risultato:
“a cobra fumou” e, con Decreto Presidenziale del 24.12.1942 fu
creata la Força expedicionaria brasileira (Feb), parte del IV Corpo del V
Esercito nordamericano che integrava, a sua volta, il XV Gruppo
dell’Esercito alleato. Iniziano così i preparativi per la guerra con il
“richiamo alle armi” del popolo. L’estrazione sociale dei componenti
delle truppe brasiliane (pracinhas),
formata principalmente da volontari, era piuttosto bassa e variegata; la
composizione andava dal disoccupato al piccolo commerciante, dal contadino
al bancario. I militari di carriera dovettero azzerare tutta la loro
preparazione, di scuola francese, e ricominciare daccapo, secondo la
tradizione americana. Le
partenze dei pracinhas
su navi americane iniziano il 2 luglio 1944; un primo scaglione di più
di 5mila uomini sbarca a Napoli, totalmente disarmato, il 16 luglio
del 1944. Soltanto tra il 5 ed il 18 agosto, a Tarquinia, i soldati
ricevono armi e equipaggiamenti necessari. Da Napoli a Livorno sono
trasferiti in barconi della Lci (Landing craft infantry) che
trasportavano, ognuno, circa l’equivalente all’effettivo di una
compagnia in un viaggio di 36 ore. Risalgono la penisola per concentrarsi
nell’Appennino tosco-emiliano, fermandosi per la maggior parte del tempo
lungo circa 18km della Strada Statale 64 “Porrettana”. E’ però il
16 settembre, a Monte Bastione, che viene sparata la prima pallottola
brasiliana contro il nemico. Il
secondo e il terzo scaglione di brasiliani partono il 22 settembre con le
navi americane Generale Mann – che portava 5.075 uomini- e General
Meighs – con 5.239 uomini – e sbarcano a Napoli il 6 ottobre.
Successivamente partono il quarto (4.591 persone) ed il quinto gruppo
(8.002 componenti), sempre via nave, mentre via aerea seguono soltanto 111
persone. Anche
la Força aerea brasileira (Fab) partecipa agli scontri. Il 1° Gruppo di
accia della Fab (Senta a Pua), imbarca per l’Italia nella nave americana
Colombie nel settembre 1944. Erano 199 pracinhas,
168 sottufficiali, 6 infermiere e 75 ufficiali, di cui 41 pilota. La loro
base era a Pisa e erano sotto il 22° Comando Aereo Tattico americano, che
dava supporto aereo al V Esercito. Raggiunto l’Appennino, totalmente impreparati anche al clima, molti soldati brasiliani si ammalarono di polmonite e pleurite; l’equipaggiamento fornito dagli Usa (armi, abiti, accessori, ecc.) si rivelò spesse volte inadeguato, e le attrezzature per lo più rimanenze di magazzino. Inoltre si trovavano davanti, oltre ai tedeschi, altri due nemici: il freddo (-20°) e le montagne. I brasiliani, e non solo, arrivavano così dall’altro capo del mondo per lottare per una causa nota a tutti, ma che non era oltretutto supportata da una vera motivazione ideologica. La
Feb si scontrò con tredici grandi unità nemiche (tre fasciste - Divisione Italia, Divisione Monte Rosa e Divisione San Marco – e dieci divisioni tedesche). La
Fab, invece, in quei pochi mesi ha fatto 1.738 voli sul territorio nemico (Passo
del Brennero e sudAustria, principalmente), 445 missioni e 2.456 decolli per offensive. Il 29 aprile avviene l’ultimo sparo da parte della
Feb: il 18 luglio 1945, la nave General Meighs riporta i soldati a Rio de Janeiro. Le due battaglie più importanti da essi sostenute, quella del piccolo Monte Castello, tra le montagne del
Bolognese, e quella per l'entrata a Montese, in provincia di Modena, hanno praticamente costituito
– non solo per il contingente brasiliano - l’ultimo e decisivo scontro fra le truppe alleate e l’esercito nazista. Luoghi
che le mappe non segnalano nemmeno, come Ca' Berna, Madonna dell’Acero,
Montilocco, Mazzancana, Ronchi di Sopra, Bombiana, Guanella, Vidiciatico,
Cravullo, Castellaccio, Ca’ d’Orsino, Montaurigola, Gaiano, altri come
Lizzano in Belvedere, Gaggio Montano, Marano, Sassuolo, Vignola, S. Ilario
d’Enza, Montecchio, Neviano,
Fornovo, Piacenza, Alessandria, hanno visto passare i pracinhas
con quella
‘cobra fumando’ come
distintivo. Gli abitanti di quei posti, allora, avevano da offrire
soltanto le uova come ringraziamento. Se
si vuol fare un confronto del numero di partecipanti alla guerra da parte
di paesi quali Usa, Gran Bretagna e Urss, il contributo del Brasile sembra
certamente modesto e, forse per questo, non degno di nota. Però non per
questo si può dire che i pracinhas
non abbiano combattuto con grande dignità. Si potrebbe anzi dire si siano
comportati meglio di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi. Esaminando
la permanenza dei contingenti alleati in quei paesi e in quelle borgate da
altri punti di osservazione, verifichiamo che vi fu anche una autentica
rivoluzione etnica, culturale e per molti aspetti politica. Il prolungato
contatto tra popoli differenti e differenti culture non portò solo
distruzione in quei luoghi, dove lo scorrere del tempo aveva da poco
cambiato i modi di vita, le pratiche lavorative e le consuetudini, a causa
della guerra. Nelle immediate retrovie, e anche a ridosso delle linee di
combattimento, ci fu convivenza tra abitanti e militari - che si
insediavano nelle case rimaste agibili -, che poi si tradusse in amicizia
od altro. I residenti erano spesso anziani o bambini, cosicché, nei mesi
di stasi del fronte, tra giovani stranieri delle truppe alleate e ragazze
del posto fiorirono relazioni d’affetto che, finita la guerra, spesso
sfociarono in matrimoni. Una quarantina solo nell’Appennino bolognese e
parecchie centinaia di migliaia dagli sbarchi in Sicilia nel 1943 alla
partenza delle truppe d’occupazione avvenuta nei primissimi anni ’50.
Questo particolare aspetto della guerra sotto casa, di converso, non
registra matrimoni con tedeschi i quali, benché dall’altra parte della
barricata, hanno trascorso nelle stesse zone analogo periodo di tempo.
Nell’ampio “campionario” straniero sono stati preferiti:
statunitensi (parecchi italoamericani), sudafricani, inglesi, polacchi,
brasiliani. Su
questo e altri argomenti relativi alla guerra, in Brasile furono scritte
canzoni. Oltre alla “Canção do Expedicionario” che parla, con
nostalgia, di quanto e cosa i soldati avevano lasciato a casa, abbiamo,
sempre in tema di matrimoni, la “Mia Gioconda” (Vicente Celestino) che
racconta la storia di un pracinha sposato in Italia che non ha
potuto portare a casa la moglie per ordine della Feb; sul dolore delle
madri, “Mãe Maria” ricorda, seduta sotto un albero, il figlio perso
in guerra, e cosi via. In
clima di festa ogni anno a Montese, unica città al mondo ad avere diversi
spazi dedicati al Brasile (una via, una piazza, due monumenti e una sala
del Museo Storico), arrivano brasiliani per partecipare alle
manifestazioni relative alla Liberazione. E oggi gli indigeni non offrono
più uova, ma questa è un’altra storia. Fonti Libri:
Hillgruber - "Storia della 2a Guerra Mondiale" - 2000 –
Laterza
Rui
Facò – "Brasile XX Secolo" - 1962 – Editori Riuniti
Rubem
Braga – "Cronicas da Guerra na Italia" - 1986 – Editora
Record
Montese
1943-1945 – "Testimonianze" - 1975 – Scuola Grafica
Salesiana Giornali:
L’Unità-Bologna – "Spose di guerra sull’Appennino" –
10.7.1994
Diario
– "I soldati con l’abacaxi" – 09.3.2001 Internet:
http://br.geocities.com/luirdf/aguerra.html//historiajf.vila.bol.com.br/f_e_b.htm http://www.segundaguerramundial.hpg.ig.com.br/feb.htm
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E a cobra fumou!
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Este
mês se comemora outro aniversário do fim da Segunda Guerra Mundial. Não
sei como serão as comemorações na Itália; no Brasil, alguém irá
depor flores e acender velas no “Monumento aos Pracinhas” da Praia do
Flamengo, no Rio de Janeiro, aqueles jovens brasileiros que, como tantos
outros estrangeiros, vieram morrer aqui. Com certeza, também no Apenino
Tosco-Emiliano será lembrada
a contribuição dos brasileiros à vitoria. As
autoridades americanas sabiam que, uma vez iniciada a guerra, o norte e o
nordeste do Brasil se
tornariam um ponto fundamental para a defesa do continente e também para
a movimentação das tropas para o norte da Africa, portanto, era mais do
que neccessário uma política de aproximação entre os dois países a
fim de tratar, inclusive, a construção de bases navais e aéreas
naquelas regiões. O
Brasil começou a se afastar diplomaticamente dos países do Eixo,
mantendo uma aparente posição de neutralidade, depois do ataque japones
a Pearl Harbour e da conseqüente entrada dos Estados Unidos na guerra. Sòmente
depois de terem sido torpedeados 35 navios mercantes brasileiros (com
cerca de 1000 mortos) da parte de submarinos alemães e italianos ocupados
em paralizar a navegação no Atlântico, o Brasil rompe oficialmente as
relações com esses países. Dia 31 de agosto de 1942 è declarada guerra
à Italia e Alemanha; com esta medida, o Brasil de Vargas abre os braços
as subvenções americanas (20 milhões de dolares) e também às ações
da chamada “quinta coluna”, organização de espias e sabotadores. Da-se
início a venda dos “bonus de guerra” com o fim de ajudar na aquisição
de quanto era necessário à campanha. As contribuições podiam ser
feitas por qualquer pessoa, mas era obrigatória para os funcionários públicos
(3% do salário). Nas grandes cidades do litoral como Rio de Janeiro (então
capital do Brasil), Recife, Salvador, por exêmplo, inicia o
‘blackout’ a fim de evitar possíveis bombardeamentos da parte dos
alemães. Nêsse
meio tempo, as vitórias aliadas no norte da Africa, em novembro de 1942,
reduzem consideravelmente a importância estratégica do nordeste do
Brasil e a Gran Bretanha inicia a fazer resistência
à presença de uma força brasileira no Mediterrâneo. Enquanto
isso acontecia, na Itália, a censura fascista
evitava dar informações sôbre
o torpedeamento de navios
brasileiros. A entrada do Brasil na guerra era ridicularizada com ataques,
não somente à atitude do govêrno, mas também ao povo brasileiro; para
alimentar a hostilidade davam
constantemente informações desastrosas sôbre a situação de milhões
de imigrantes italianos que – segundo o regime – sofriam nas prisões
e nos campos de concentração brasileiros. A máquina propagandistica de
Mussolini procurava incutir ódios e paixões guerreiras, proibindo a
verdade e espalhando mentiras. Os
nazi-fascistas das comunidades do sul do país (S.Paulo, Santa Catarina,
Paraná e Rio Grande do Sul), contrários à declaração de guerra,
procuravam de todos os modos minar a aliança feita com os EEUU.
Utilizavam para isso a Quinta Coluna, estrutura muito potente que chegou a
compreender os niveis máximos do poder nacional. O centro das operações de
espionagem estava na verdade representados pelas emprêsas aéreas LATI,
italiana, e CONDOR, alemã, as quais foram interditadas após a declaração
de guerra aos países do Eixo. Seus componentes, nazi-fascistas,
converteram-se, então, em sabotadores. As primeiras prisões de espiões
aconteceram em abril de 1942 no Rio de Janeiro, quando foi descoberta uma
central de radio equipada com modernos aparelhos alemães que passava
informações sôbre a rota dos navios que se dirigiam para o norte da
Africa. No mês de setembro foram descobertas bombas-relógio em pontos
estratégico da cidade com o fim de sabotar o desfile das Fôrças Armadas
no aniversário da Independência. As constantes ingerências das
comunidades italiana e alemã retardaram a partecipação efetiva dos
brasileiros na guerra, que só aconteceu dois anos mais tarde. Resultado:
a cobra fumou e, con Decreto Presidencial do dia 24/12/1942, foi criada a
“Força Expedicionaria Brasileira” (FEB), que foi fazer parte do IV
Corpo do V Exército Norte-americano e que integrava o XV Grupo do Exército
Aliado. Iniciam, então, os preparativos com a “chamada às armas” do
povo. A extração social dos componentes das tropas brasileiras (pracinhas),
formada principalmente por voluntários, era muito baixa; a composição
variava do desocupado ao pequeno comerciante, do camponês ao bancário.
Os militares de carreira, por sua vez, tiveram que cancelar o que tinham aprendido – segundo a
escola francesa – e recomeçar tudo de novo – segundo a tradição
americana. Dia
2 de Julho de 1944, os Pracinhas, em navios americanos, começam a partir
para a Itália. O primeiro escalão composto de mais de 5.000 homens
desembarca, totalmente desarmado, em Nápoles no dia 16 de julho e, sòmente
entre os dias 5 e 18 de agosto, a Tarquinia, receberiam seus armamentos e
os equipamentos necessários à missão. De Nápoles a Livorno são
transferidos em barcos LCI (Landing Craft Infantry) cada um levando
aproximadamente o efetivo de uma companhia ;
essa viagem durava 36 horas. Sobem
a peninsula para se concentrarem na
zona do Apenino Tosco-emiliano, ficando a maior parte do tempo ao longo de
18 km da Estrada Estadual 64, mais conhecida como “Porrettana”.
E’ porém dia 16 de setembro, em Monte Bastione, que foi atirada
a primeira bala por parte dos brasileiros contra o inimigo. O
segundo e o terceiro escalão de brasileiros, partem nos navios americanos
General Mann –que levava 5.075 homens- e General Meigs –com 5.239 –
no dia 22 de setembro e desembarcam em Nápoles dia 6 de outubro.
Sucessivamente partem, sempre de navio, outros dois grupos
com 4.591 e 8.002 componentes respectivamente; por via aérea
seguem sòmente 111 pessoas. A
Fôrça Aérea Brasileira (FAB) também partecipou das batalhas. O 1°
Grupo de Caça da FAB (Senta a Pua) embarcou para a Itália no navio
americano Colombie em setembro de 1944. Eram 199 Pracinhas, 168
sub-oficiais, 6 infermeiras e 75 oficiais, dos quais 41 eram pilotos.
Estabeleceram sua base em Pisa sob o 22° Comando Aéreo Tático
Americano, que dava suporte aéreo ao V Exército. Quando
os pracinhas chegaram no Apenino, totalmente despreparados inclusive ao
clima, muitos deles adoeceram de pulmonite e pleurite; o equipamento
fornecido pelos EEUU (roupas, accessórios, etc.) revelou-se inadequado e
os armamentos, pareciam fazer parte de um stock muito velho. Ainda mais,
encontraram, além dos alemães, outros dois inimigos: o frio (-20) e as
adversidades do terreno montanhoso. Os brasileiros, e não sòmente,
chegavam assim do outro lado do mundo para lutar por uma causa nota a
todos, mas contra a qual não tinham, além de tudo, uma verdadeira motivação
ideológica. Na
ordem, as vitórias da FEB foram: Camaiore no dia 18/09/1944, Monte Prano
dia 26/09, Monte Castelo dia 21/02/1945, Castelnuovo dia 05/03, Montese
dia 14/04, Zocca dia 20/04, Collecchio dia 26/04, Fornovo dia 28/04 e,
prosseguindo para Turim, ocuparam Alessandria. Dia 29 de abril foi dado o
ultimo tiro pelos pracinhas da FEB. Seguem depois para Susa, ja libertada,
onde estabelecem contacto com os franceses: dia 18 de Julho de 1945, o
navio Gal. Meigs os trás de volta ao Rio de Janeiro. Foram
exatamente 25.334 brasileiros mobilizados para o conflito, dos quais
15.069 combateram. As duas batalhas mais importantes, aquela de Monte
Castelo, entre as montanhas bolonhesas, e aquela da entrada de Montese, na
província de Modena, constituiram – não sòmente para os brasileiros-
o ultimo e decisivo combate entre tropas aliadas e o exército nazista.
Terminada a guerra, o balanço foi: 239 dias de batalha – de 6 de
setembro de 1944 até dia 2 de maio de 1945-; 457 mortos e desaparecidos
em combate, 16 dispersos, cêrca
de 2.720 feridos e 38 prisioneiros de guerra.
Em compensação, porém, fizeram 20.573 prisioneiros de guerra e
prenderam 80 canhões de diferentes calibres, 1.500 viaturas e 4.000
cavalos. A FEB travou combate com treze grandes unidades inimigas (tres
fascistas –Divisão Italia, Divisão Monte Rosa e Divisão San Marco- e
dez divisões alemãs). A FAB, em vez, naqueles poucos dias fez 1.738 vôos
sôbre territórios inimigos (Passo Brenner e sul da Austria,
principalmente), 445 missões e 2.456 decolagens para ofensivas. Os
pracinhas com a “cobra fumando” passaram por aldeias que nem se
encontram nos mapas, como: Ca Berna, Madona dell’Acero, Montilocco,
Mazzancana, Ca d’Orsino, Ronchi di Sopra, Bombiana, Guanella,
Vidiciatico, Cravullo, Castellaccio, Montaurigola, Gaiano, etc e
atravessaram cidadezinhas como
Lizzano in Belvedere, Gaggio Montano, Marano, Sassuolo, Vignola, S. Ilario
d’Enza, Montecchio, Neviano, etc.
Os habitantes daqueles lugares, naquele tempo, agradeciam como podiam, e
ofereciam… ovos. Certamente,
se fizermos uma comparação do número de partecipantes à guerra da
parte de países como os EEUU, a Gran Bretagna ou a União Soviética, a
contribuição do Brasil parece ínfima e, talvez porisso, não digna de
nota, mas não porisso os pracinhas deixaram de combater com grande
dignidade, aliás, se comportaram melhor do que seria lécito esperar. Examinando,
de um outro ponto de vista, a permanência das tropas aliadas naqueles
lugarejos, vamos notar que aconteceu, também, uma autêntica revolução
étnica, cultural e por muitos aspectos política. Esse longo contacto com
povos diferentes não levou sòmente destruição aqueles lugares, onde a
guerra tinha mudado o modo de vida, de trabalho, insuma, o dia-a-dia. Nas
retrovias e mesmo ao lado das linhas de combatimento, a convivência entre
habitantes e militares –uma vez que estes se estabeleciam nas casas que
não tinham sido derrubadas- levou ao nascimento de amizades e, em alguns
casos, de algo mais do que isso. Os homens que alí se encontravam eram,
ou idosos ou crianças, assim sendo, nos meses em que eram menores os números
de operações, entre jovens
estrangeiros e moças daqueles lugares nasceram relações de afeto que,
em certos casos, depois do fim da guerra, deram em casamento. Uns quarenta
só no Apenino bolonhes e muitas centenas de milhares desde o desembarque
dos Aliados na Sicilia em 1943 até a partida das tropas de ocupação no
início dos anos cinquenta. Este
aspecto particular da guerra, pelo contrário, não registra casamentos
com alemães, os quais, mesmo se do lado de lá da barricada,
transcorreram igual período de tempo na Itália. Na ampla “amostra”
de estrangeiros , os preferidos foram: norte-americanos (principalmente os
italo-americanos), sul-africanos, ingleses, poloneses e brasileiros. No
Brasil, até musicas foram feitas sôbre a guerra. Além da “Canção do
Expedicionário”, que falava, com saudade, daquilo que tinham deixado em
casa, tivemos também a “Mia Gioconda”, de Vicente Celestino, que
narrava a história de um pracinha que se casou na Itália mas não pode
trazer sua esposa para casa, por ordem do comando da FEB; sôbre a dor das
perdas, “Mãe Maria” lembra, sentada sob uma mangueira, o filho morto
na guerra, e assim por diante. Em
clima de festa, todos os anos em Montese, única cidade no mundo a ter vários
espaços dedicados ao Brasil (uma praça, uma rua, dois monumentos e uma
sala do Museu Histórico), chegam brasileiros para partecipar das comemorações
relativas à liberação. Hoje, aquele povo, não oferece mais ovos… mas
esta è outra história.
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