"Porto la capoeira nella società italiana" Intervista a Mestre Baixinho, uno dei primi insegnanti
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Luiz Martins de Oliveira, in arte "Baixinho", nasce nello stato brasiliano del Paraíba nel 1961. Diventa istruttore di capoeira nel 1982 specializzandosi nell'insegnamento ai bambini. Nel 1987 si stabilisce a Milano dove fonda l'"Associazione Italiana di Capoeira Filho di São Bento Grande". E' tra i primissimi insegnanti di capoeira a essere approdato in Italia, e la sua scuola milanese di capoeira una delle più importanti nel nostro paese. Un sabato pomeriggio, giorno in cui i suoi allievi si dedicano alla "roda" ci ha ricevuto nella sua sede situata nel quartiere dell'Isola. E ci ha parlato della sua esperienza, della capoeira, ma anche un po' della sua personale concezione del mondo. Grazie ai suoi studi sul legame tra la capoeira e le dinamiche della personalità oltre alla sua collaborazione con la facoltà di Psicologia dell'università di Padova, Baixinho può essere considerato anche un autentico maestro di vita.
Com'erano i tempi in cui in Italia la capoeira era quasi sconosciuta? Ora abbiamo 600 allievi, alcuni con noi dal 1986, ma quando sono arrivato in Italia, nel 1985, il Brasile era associato soltanto ai neri e al samba. In seguito l'immagine del Brasile ha evocato soprattutto quella dei "viados". Soltanto dagli anni novanta, con l'arrivo delle tournée di Gilberto Gil, Chico Buarque, Toquinho e altri musicisti, il Brasile comincia ad essere associato alla musica e ad altre culture. Dove ha cominciato ad insegnare? Era molto difficile trovare palestre dove poterci esercitare, perché nessuno sapeva cos'era la capoeira. Ricordo che all'inizio rimasi da solo in palestra tre mesi a fare capoeira senza alcun allievo. A me piace molto lavorare con i bambini, ho cominciato così in Brasile, ma qui ho dovuto cominciare con gli adulti perché all'inizio nessuno si fidava. Adesso invece inizia a prendere forza il nostro gruppetto per i piccoli. Ma allora non c'erano capoeiristi brasiliani sperduti in Italia che cercavano di allenarsi? No, i brasiliani in Italia raramente fanno capoeira. I miei allievi sono quasi tutti italiani. Nel nostro gruppo abbiamo soltanto un brasiliano che sta con noi da 5 anni. I brasiliani di solito non hanno tempo di fare capoeira perché hanno altre priorità: devono lavorare duro, farsi una vita qua. E poi è accaduto che alcuni brasiliani pretendessero di essere trattati diversamente soltanto per il fatto che erano nati in Brasile, e questo è inammissibile. I miei allievi vengono trattati ugualmente senza distinzione. Ci sono anche quei brasiliani che credono di essere migliori degli italiani, e pensano che a loro manchi la "ginga" (specie di flessibilità, furbizia nel muoversi, ndr). E' vero, gli manca perché nessuno glie l'ha insegnata. Ma si impara, tutti sono capaci di apprenderla. Attualmente ci sono due grandi correnti di capoeira, la tradizionale "angola" e la più moderna "regional". La "regional" potrebbe avere avuto influenze da parte degli indios brasiliani? La capoeira è l'eredità del nero, ed è ciò che io porto in Italia. È questo soprattutto che i miei allievi imparano. La capoeira va oltre il Brasile, comincia dall'Africa. La capoeira "regional" è quella moderna, che ha incorporato altri elementi. L'"angola" è quella originale, ed è molto più rigida. L'obiettivo della capoeira "angola" è studiare, cercare le radici, non le tecniche, ma la cultura, la psicologia della capoeira. I fondamenti della capoeira che determinano uno stile di vita. Io qua insegno soltanto "angola". Qua non si può giocare capoeira senza camicia, e neppure scalzi. Come vede la diffusione dei corsi di capoeira nelle palestre, spesso affiancati a quelli di fitness? Spesso in queste palestre vi sono insegnanti che hanno fatto soltanto cinque anni di capoeira. In così poco tempo non si ha ancora sufficiente dimestichezza con la capoeira, e se loro non la posseggono, come fanno a insegnarla agli altri? Io penso che dopo questo "boom" di palestre di capoeira, la moda passerà, e dopo potrà continuare a insegnarla soltanto chi la conosce a fondo. Chi non l'ha frequentata abbastanza passerà alla moda successiva. È successo così anche con la lambada: ai tempi in cui era diventata una moda la si insegnava dappertutto. Dopo a dare lezioni sono rimasti soltanto i veri ballerini, gli altri sono spariti. Non pensa che con l'istituzione di una federazione, inesistente oggi in Italia, si potrebbe disciplinarne la pratica e l'insegnamento? Penso che presto possa nascere una federazione, e sono sicuro che in Italia funzionerà, contrariamente a quanto accade in Brasile dove alcuni problemi hanno impedito fino ad ora la creazione di una federazione unica che disciplini la capoeira. Questo è un argomento molto delicato, perché la capoeira è nata anche come forma di libertà. La capoeira non è di nessuno. Non è facile arrivare a un accordo che possa soddisfare tutti. La federazione deve avere uno statuto in grado di proteggere la capoeira ma anche le sue radici. Le faccio un esempio. Il maestro di capoeira dovrebbe conoscere il portoghese, altrimenti si perde molto del contesto della capoeira. Nella pratica di questa disciplina è necessario capire i segni che arrivano dall'esterno, così come le parole delle canzoni sono un importante messaggio che spesso sostiene la lotta. Perciò è essenziale comprendere le parole e saper cantare i brani adeguati a un momento specifico del combattimento. E' mia intenzione inserire la capoeira nella società italiana. In Brasile questo non succede, perché questa disciplina è praticamente rimasta dove è nata. Non appartiene a tutte le classi sociali. Non è vero che sia stata inserita nella società brasiliana, è ancora una disciplina che vive ai margini di essa. Io non voglio che ciò succeda in Italia. Desidero che in questo paese la capoeira trovi la sua giusta collocazione. Ma cosa rappresenta, per lei, la capoeira? Ho cominciato a insegnare capoeira quando avevo 20 anni, e da dieci lavoro molto con i suoi aspetti psicologici. Collaboro con la facoltà di Psicologia dell'università di Padova partecipando a dibattiti nei quali porto la mia esperienza psicologica accumulata nella pratica della capoeira. Jorge Amado diceva che in oriente esiste lo zen, in occidente la psicanalisi e in Brasile la capoeira. Io aggiungo che la "roda di capoeira" (cerchio dove si pratica la capoeira circondati dagli altri partecipanti) è come una madre che abbraccia tutti i suoi figli; il berimbau è invece il padre che li sgrida. È lui, il padre, che apre la porta ed è sempre lui che la chiude. Nella simbologia della capoeira il berimbau equivale al fallo. Nel vuoto della "roda di capoeira" c'è il mondo. E ogni persona immersa nella "roda" è nuda. C'è chi si vergogna, c'è chi odia esporsi, c'è chi si deve svegliare, c'è chi invece deve darsi una calmata, c'è infine chi ha bisogno dell'energia degli altri. La capoeira è la pratica del futuro perché intreccia tutto: psicologia, gioco, danza, lotta e acrobazia. Qual è la principale sfida per chi la pratica? La capoeira è una terapia di gruppo. Tutti noi siamo diversi nel corpo, ma unici nella mente. Perché l'obiettivo è uno solo: fare capoeira. È molto più difficile insegnare lo spirito, la furbizia della capoeira che la sua tecnica. Oltre al versante psicologico, qual è tecnicamente l'aspetto più difficile dell'insegnamento della capoeira? Non posso nascondere la verità: la capoeira è una lotta, e questo non va dimenticato. Coloro che la praticano devono essere svegli, altrimenti possono subirne i colpi. Certo, avvertiamo il pericolo dei colpi, ma alcune persone imparano a schivarli soltanto dopo averli subiti. E io, come maestro, devo fare capire loro la verità della capoeira, perché il giorno che la giocheranno fuori di qui dovranno confrontarsi con la realtà. Io non posso insegnare la finzione. Devo anche insegnare loro la furbizia della capoeira, perché a volte, ci sono cose vicine a noi che non riusciamo a vedere. Prenda le nostre sopracciglia, ad esempio: sono vicinissime ai nostri occhi, ma non riusciamo a scorgerle che davanti allo specchio. E la medesima cosa vale per la roda di capoeira. Ma allora non è vero che gli italiani hanno meno "ginga" dei brasiliani? Io dico che la "ginga" delle persone è laddove hanno perso la "vergogna". Nelle brasiliane la "ginga" è nel sedere, quella delle italiane invece è nel torace, nel petto. In Brasile non usa il topless, diversamente dall'Italia. Ma chi è interessato si apre. E l'italiano è molto furbo e impara tutto. I suoi allievi vanno qualche volta in Brasile? La formazione dei maestri è sempre in Brasile. Adesso ne formerò 3. Personalmente ci vado ogni 2 o 3 anni. Perché è importante che lo studente di capoeira vada in Brasile per confrontarsi con gli altri maestri. E chi ci va in genere torna con un'altra testa. Io in Italia ho cambiato la testa di molte persone. Da noi vediamo venire anche gente che sta male. La capoeira funziona benissimo come terapia di gruppo. Recentemente lei ha anche inciso un cd dal titolo Fuzuê, che in portoghese vuol dire confusione. Ce ne vuole parlare? Il mio disco racconta la storia della mia vita. Ogni brano parla di cose che mi sono accadute, o rispecchia le mie opinioni su svariati argomenti. E lei come ha appreso la capoeira? C'era qualcuno nella sua famiglia che la praticava? No, la mia famiglia è molto umile: da mio padre ho preso solo l'indole, che però nella capoeira è essenziale. Come vede l'integrazione dei brasiliani in Italia? Sono contento che i brasiliani non formino un "ghetto". Io a Milano mi sono integrato completamente, e la mia vita qua non è in funzione del Brasile. L'individuo che si "ghettizza" non cresce. E l'uomo è un animale che si adatta, un camaleonte. A me piace molto quando vedo che altre culture si integrano con quella locale. Mi piace quando vedo i macellai arabi che non vendono soltanto per i loro connazionali ma anche per gli italiani. Oltre all'insegnamento in questa sede, che altri lavori sviluppa con la capoeira? Collaboro con licei, insegnando e parlando di capoeira ai ragazzi, ed anche con l'università di Padova, come le dicevo. Ora sto lavorando a un progetto in collaborazione con il carcere minorile. E poi sono in contatto con svariate associazioni di capoeira all'estero. Potrebbe parlarci delle sue collaborazioni con l'estero? A Fortaleza stiamo creando un centro di informatica per i bambini. Abbiamo costruito una casa dove posizionare dieci computer che mi hanno regalato per insegnare informatica ai bambini e per dare loro la possibilità di accedere a tutte le informazioni disponibili su Internet. Sono anche molto soddisfatto del lavoro bellissimo lavoro che abbiamo realizzato in Angola: una scuola di capoeira per togliere i bambini della strada. Abbiamo creato una struttura che ho lottato molto per avere. Poco tempo fa ho ricevuto delle foto che testimoniano di come i membri di questa comunità abbiano proseguito il lavoro ricostruendosi la vita in questo centro di capoeira. E per me è stato molto gratificante vedere ciò che la capoeira è stata in grado di fare per loro.
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