Qual
è il segreto della musica o, per meglio dire, delle musiche del Brasile,
così eleganti ma allo stesso tempo così immediate da arrivare alla mente
e al cuore di un numero sempre maggiore di persone? Per scoprirlo è
necessario familiarizzare con il concetto di mescolanza, che spiega
l’essenza stessa del Brasile. Prendete la desolante miseria delle
favelas e mescolatela con il
misterioso mondo dei riti magici. L’esplosione del Carnevale con il
silenzio delle pianure desertiche. La ricchezza ineguagliabile delle coste
e della foresta con l’anima di un popolo e i mille colori che la
compongono. Prendete le enormi contraddizioni di un paese ricchissimo ma
in eterna lotta
contro la protervia di un potere che non concede nulla ai suoi milioni di
poveri, e mescolatelo con il sorriso di un bambino che per casa ha
soltanto la strada. Ne otterrete suoni dolcissimi e ritmi incessanti, e
strani brividi che non riuscirete a dimenticare.
Sentir
classificare la musica del Brasile come “musica latino-americana” è
alquanto generico, e sinonimo di scarsa competenza. Sarebbe come se
utilizzaste il termine mammifero per spiegare che in casa avete un cane.
Si tratta, per usare un eufemismo, di una definizione un po’ troppo
superficiale. Ogni paese latinoamericano nel corso degli anni ha maturato
una propria identità musicale differenziandosi dagli altri. Nel caso del
Brasile, che ad iniziare dalla sua “scoperta” è divenuto una fucina
di razze e culture, sono tre le principali componenti che hanno concorso a
questa maturazione: i ritmi africani portati degli schiavi per lo più
provenienti da Mozambico, Angola, Congo e dall’attuale Nigeria; le
tradizioni degli Indios
che fino al ‘500 erano gli unici abitanti del Brasile; la musica europea
degli stati che lo hanno dominato tra il ‘500 e il ‘700. Di queste tre
componenti, è quella africana ad aver maggiormente lasciato il segno,
mentre molto più labili sono rimaste le tracce di quella indigena, quasi
completamente cancellata dall’opera di evangelizzazione condotta prima
dai Gesuiti e successivamente dalla Chiesa Cattolica. Si potrebbe dire,
anche se si tratta di un’affermazione semplicistica, che la musica
brasiliana nasce soprattutto dall’incontro tra i ritmi africani come il lundu,
con la melodia e le tradizioni armoniche europee. In realtà una parte del
ritmo venne importato anche dall’Europa, per lo più dalla penisola
iberica, tramite il cembalo, uno strumento a percussione simile al
tamburello. Le influenze amerindie, legate all’uso di rudimentali
strumenti a fiato di legno, sono oggi quasi ovunque scomparse, ad
eccezione di alcune zone interne dell’Amazzonia. La prima musica
brasiliana a ritagliarsi una propria identità e ad essere riconosciuta
come tale è stato il Choro,
un genere musicale colto, complesso ed estremamente raffinato. Nacque
intorno alla fine dell’800 ed era composta da ritmi europei (valzer,
polka)
con altri autoctoni (tango,
maxixe,
xote,
baiao).
Parallelamente si andò affermando una scuola di musicisti che
introdussero nelle composizioni sinfoniche melodie e ritmi del folclore
brasiliano. Il più noto di loro è Heitor
Villa-Lobos (1887-1959), il quale meglio degli altri contribuì
a sintetizzare il gusto europeo della musica classica con la tradizione
musicale locale. Questa fase proseguì nei primi decenni del ‘900 fino
alla nascita di una sempre più marcata identità musicale. Ad iniziare da
questi anni le influenze europee rimasero sempre di più sullo sfondo a
vantaggio di una maturazione che portò a quella che viene
riconosciuta come musica popolare brasiliana. Un’evoluzione alla
quale contribuirono musicisti più colti della musica strumentale come Pixinguinha,
ecc , e cantori popolari come Noel
Rosa e Ary
Barroso. Una vena, quella popolare, che con gli anni si fece
strada sempre di più fino ad imporre, ad iniziare dalla fine degli anni
’50, compositori di fama internazionale come Tom
Jobim e Vinicius
de Moraes. Quest’ultimo periodo coincise con la nascita della
Bossa
Nova, un ritmo carioca che fondeva il samba al jazz
statunitense.
Un
discorso a parte merita proprio il samba, il genere più popolare al quale
spesso si associa la stessa immagine del Brasile. Una miscela esplosiva e
liberatoria di ritmi di derivazione africana e di sensualità portoghese
derivante dal maxixe,
che fu la prima danza urbana nata dalla fusione tra il ritmo sincopato
brasiliano, il tango argentino e l’habanera
cubana. Eseguito
fondamentalmente da strumenti ritmici, possiede un’etimologia legata
alla parola africana semba con la quale si usava denominare le congadas,
danze molto antiche eseguita in cerchio. E probabilmente proprio una di
esse, la umbigada,
(da umbigo, che in portoghese significa ombelico) eseguita da coppie di
danzatori che nelle loro movenze sensuali si sfioravano il ventre. Nella
dizione corrente brasiliana, sambar è diventato sinonimo di ballare. Sono
riconoscibili due forme fondamentali di samba: il samba
enredo tipico del carnevale e il samba
canção, quest’ultimo dalla forma più melodica e
predecessore della bossa nova. L’umbigada,
che può essere a ragione considerata la progenitrice del samba, fu a
lungo osteggiata in Brasile dalle classi alte, e soltanto in seguito
accettata ad iniziare dal ‘700 sotto forma di lundu,
una versione più edulcorata e meno sensuale, e più tardi nella sua
evoluzione di modinha. Alcune umbigadas sopravvivono nelle comunità nere
del Brasile sotto forma di derivazioni come il batuque
e il più noto samba da roda. Altra derivazione dell’umbigada
fu il maxixe,
un ritmo vagamente somigliante al tango e dalle movenze altrettanto
lascive del lundu, e per questo anch’esso inizialmente osteggiato. Con
il passare degli anni il samba acquisì
più importanza tanto da essere sempre più spesso associato
all’immagine del carnevale, di cui in seguito diventò la musica
“ufficiale”. La sua prima incisione su vinile risale al 1917 ad opera
di Ernesto
dos Santos detto Dunga,
con il brano “Pelo
telefone” che riscosse grande successo quell’anno durante
il carnevale. Durante i primi decenni del ‘900 la musica popolare andò
sempre più affermandosi in tutte le classi sociali, e ad iniziare dagli
anni ’30 la scena musicale registra il fiorire di una sempre più fitta
schiera di musicisti sempre più spesso autori dei testi oltre che delle
musiche delle loro canzoni. Ma fu soltanto intorno alla fine degli anni
’50, con l’esplosione del mercato discografico, che si impose un
genere musicale che fondeva la tradizione brasiliana rurale del cabaclo
con il jazz
nordamericano del quale anche in Brasile si era diffusa la
fama. Il termine bossa
nova, che letteralmente significa nuova onda, nacque
casualmente nel 1958 sotto forma di una canzone incisa in un LP a 78 giri
da Elizeth
Cardoso, musicata dal giovane compositore Tom
Jobim e il testo scritto dal poeta e diplomatico Vinicius
de Moraes. Il titolo era “Chega
de saudade” e segnò la svolta grazie alla quale la canzone e
questo nuovo ritmo fecero il giro del mondo imponendo all’attenzione
internazionale la musica brasiliana. E il talento di Joao
Gilberto, un musicista bahiano che con la sua tecnica
chitarristica e il suo singolare modo di cantare con un filo di voce
influenzò un’intera generazione di chitarristi, arrangiatori e
interpreti. A “Chega
de saudade”, che lo stesso Gilberto
aveva gia’ registrato tre anni prima, si affiancano altri brani firmati
dallo stesso Jobim,
come “Desafinado”,
che confermano la magia di un genere fondato sul divario tra
l’accompagnamento melodico sincopato e l’uso appena sussurrato della
voce, insieme alle impercettibili sfasature ritmiche tra canto e
accompagnamento che lo stesso Gilberto era uso imprimere alle proprie
esecuzioni. Il successo fu enorme e di portata internazionale: agli autori
di questo miracolo musicale in seguito si affiancarono in Brasile decine
di altri autori ed esecutori di grande talento, tra i quali principalmente
le cantanti Astrud
Gilberto, Nana
Caymmi, Elis
Regina e i musicisti Cesar
Camarco Mariano, Sergio
Mendes, Edu
Lobo, Baden
Powell e Luis
Bonfa. Per la prima volta dai tempi di Pixinguinha
la musica brasiliana varcò i propri confini, ma questa volta riscuotendo
un successo senza precedenti che vide fiorire collaborazioni tra i propri
musicisti e jazzisti nordamericani come nel caso della leggendaria
versione di “Desafinado”,
una delle più celebri composizioni di Jobim,
incisa nel ‘64 da Stan
Getz insieme a Jao
e Astrud
Gilberto. In Brasile, di contro, la bossa
nova
impiegò qualche anno prima di acquisire una certa popolarità. I motivi
sono essenzialmente legati alle sue
origini aristocratiche: proveniente dalla classe media urbana e bianca, fu
inizialmente vissuto come una sorta di rottura nei confronti della
tradizione ritmica del paese. Oltre che a differire notevolmente da questa
tradizione per la sua struttura musicale, si differenziava anche per la
caratteristica delle sedi dove veniva eseguito: a differenza del samba,
che essendo fondato sul ritmo e sul ballo predilige spazi ampi e aperti,
la più meditativa bossa
nova può essere suonata anche in un locale di un appartamento.
Verso la metà degli anni ’60 il Brasile visse un momento particolare
della sua storia, legato ad uno sviluppo economico di cui godettero i
benefici come sempre soltanto le classi più abbienti. Parallelamente a
tale sviluppo tutte le arti vivevano un periodo di effervescenza: da
quelle plastiche alla letteratura, dal teatro all’architettura e all’
urbanesimo, dallo sport della mitica seleçao
che per due volte consecutive (1968-1962) vinse i mondiali di calcio, al Cinema
Novo di de
Andrade, Pereira dos Santos e Rocha.
In questo clima culturale la nascita della bossa
nova, preannunciata all’inizio degli anni ’50 da alcune
incisioni di Johnny
Alf che si rifaceva al bebop e ad alcuni compositori
nordamericani come Gershwin
e Porter,
segnò una sorta di frattura con i ritmi più legati alla tradizione
popolare. Brani come “Garota
de Ipanema” e “Samba
de uma nota so”, anche per
i loro testi più intellettuali rispetto a quelli più immediati del
samba, rappresentavano una forte attrazione per i giovani universitari
della classe media dell’epoca, la cui ambizione era di avvicinare la
musica brasiliana agli standard dei dischi da loro importati dagli Usa.
Gli “inventori” della bossa
nova, però prendevano le distanze da questo atteggiamento: Jobim
arrivò a negare l’influenza jazzistica delle sue composizioni
precisando che aveva piuttosto fatto riferimento a compositori classici
come Chopin
e che caso mai sarebbe stata la bossa
nova ad influenzare il jazz. Gilberto per ricomporre questa
frattura chiese che anche la nuova musica venisse chiamata samba.
Sta di fatto che la svolta vi fu, ed evidente, e al seguito degli
innovatori fiorirono altri grandi compositori della statura di Marcos
Valle, Edu
Lobo, Chico
Buarque de
Hollanda, Caetano
Veloso, Gilberto
Gil e Paulinho
da Viola, presto considerati come gli eredi di questa svolta
musicale. Jobim,
Gilberto
e de
Moraes dovettero difendersi dalle accuse di intimismo e
antimusicalità che vennero loro mosse per questo modo di cantare
sussurrato con un’altra canzone scritta nel ‘62 che sarebbe diventata
famosa in tutto il mondo e simbolo stesso della musica brasiliana. Quella
“Garota
de Ipanema” che appariva ogni giorno a turbare le discussioni
di Tom
e Vinicius
al bar Velloso
che oggi è stato ribattezzato con il nome della canzone e che ha fatto la
fortuna di Helo
Pinheiro,
una delle innumerevoli bellezze femminili che frequentavano la vicina
spiaggia. Una sottolineatura va comunque dedicata alla profonda attrazione
reciproca che musica brasiliana e jazz espressero durante gli anni ’60 e
’70. Data di questo idillio può essere indicato l’inizio nel 1962,
con l’uscita di “Jazz
Samba”,
l’album registrato negli Usa da Stan
Getz e Charly
Byrd che fece
conoscere in tutto il mondo la bossanova.
Dopo la “rivouzione” introdotta da Gilberto
e Jobim,
furono musicisti come Baden
Powell, Sergio
Mendez e Eumir
Deodato a diffondere questo ritmo ripreso anche sotto forma di
“fusion” da jazzisti del calibro di Miles Davis, Herbie Hancock,
Chick
Corea,
Weather
Report,
Larry
Coryell.
Intanto il clima sociale e politico in Brasile stava rapidamente
cambiando, fino a quando nel 1964 il paese piombò in una dittatura
favorita dagli Usa per difendere gli
interessi delle proprie multinazionali, che lo ferì profondamente
gettandolo nell’angoscia e nell’isolamento. E le disquisizioni sul
presunto disimpegno sociale della bossa nova che nel frattempo si era
divisa in due correnti (una delle quali facente riferimento a Carlos
Lyra e Edu
Lobo e più sensibile alle problematiche sociali delle zone più
povere), furono interrotte dall’irrompere sulla scena musicale di una
generazione di musicisti che si opponevano alla dittatura e anche per
questo ne furono perseguitati. Anche il Brasile visse il suo Sessantotto
di protesta, ma fu costretto a viverlo sottotraccia, perché il regime
militare alzava continuamente il tiro della propria censura e repressione.
Il primo ad essere arrestato, torturato e mandato in esilio fu Geraldo
Vandré proprio
nel ’68, seguito dagli altri componenti di questo movimento chiamato Tropicalismo
che contrapponeva la cruda realtà brasiliana a quella internazionale
facendone emergere le forti contraddizioni. Anche in questo caso ci volle
del tempo prima che il movimento potesse essere recepito, perché
l’impatto con il passato era notevole. Sotto il profilo musicale lo
shock fu analogo a quello che vide l’elettrificazione del folk di Dylan
negli Usa trasformarsi in folk-rock. Anche in Brasile i baianos
del Tropicalismo
proponevano forme e contenuti musicali analoghi a quelli del rock ma
rivestiti da una forte connotazione locale. Il risultato era una musica
anarchica e irriverente che ben presto divenne bersaglio del regime.
Nel 1969 cominciarono a farne le spese Caetano
Veloso e Gilberto
Gil, i quali trovarono rifugio a Londra; più tardi anche Chico
Buarque insieme al suo chitarrista Toquinho
dovettero cercare rifugio in Italia, seguiti da decine di altri musicisti
e intellettuali. Ma i semi del Tropicalismo
erano stati gettati, e la cultura da esso derivante avrebbe contribuito
non poco, alcuni anni più tardi, alla caduta del regime, che durò
formalmente fino al 1985. Intanto in Brasile al lento declino della bossanova
si sostituì la crescita di nuove forme musicali, alcune delle quali, come
il rock, mutuate da tendenze internazionali già in voga; altre locali più
innovative e caratterizzate da un ritorno alle proprie radici culturali.
In Bahia, in particolare, nei primi anni ’80 la musica di estrazione
africana ritornò prepotentemente sulla scena grazie ad un processo di
rivitalizzazione compiuto dagli Afoxé,
danzatori della religione Candomblé
che contaminarono con i loro ritmi parte della musica popolare allora in
voga e in particolare di quella del carnevale. Parallelamente sia andavano
affermando anche i modelli musicali caraibici, mentre nel nord del paese
vi fu un interessante proliferare di nuovi ritmi tra i quali il Baiao,
uno stile musicale cui Luis
Gonzaga aveva contribuito alla diffusione fin dagli anni ’40,
e a cui seguirono i meno conosciuti
Xaxado,
Xote,
Coco,
Embolada,
Forrò,
Maracatù,
Frevo.
Quest’ultimo, in particolare, derivante dalla polka europea ed eseguito
da una piccola chitarra a quattro corde chiamata cavaquinho
già utilizzata per le esecuzioni del choro,
si caratterizzava per il ritmo frenetico con il quale veniva suonato
durante il carnevale di Recife,
capitale del Pernambuco.
Negli ultimi anni il fenomeno della contaminazione ha prodotto un nuovo
stile musicale che è la risultante della fusione tra rock, pop, samba,
reggae e funky: si tratta dell’Axé,
termine che vuol dire energia e che nella cultura afrobrasiliana suona
come saluto ed augurio. Nato intorno alla fine degli anni ’80, l’Axé
di cui Daniela
Mercury rappresenta oggi l’interprete più popolare consiste
in un suono molto ritmato che viene eseguito per lo all’aperto tramite
percussioni come pandeiro
e caxixi.
Vi è pure una versione derivante dal samba-reggae, altrettanto ritmata,
che riecheggia l’antica
tradizione del Batuque
eseguito dai blocchi afro. |