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Pedro Luis e a Parede
- "Zona e Progresso"
Universal Music - 2001
325912003552 3
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Pedro Luis e a Parede sono davvero una bella realtà della scena post-manguebeat (o manguebit) brasiliana, capace di imporsi all'attenzione del pubblico con un'energetica miscela percussiva e vocale tipicamente carioca (Rio non smette di essere uno dei centri di gravità permanente della MPB, anche di fronte alla forte specificità pernambucano-nordestina del genere inaugurato da Chico Science). Dal maracatu post-atomico alla batucada post-atomica il passo è breve: testi socialmente impegnati, chitarre meno heavy che nell'originale e tappeto ritmico travolgente si amalgamano in maniera convincente nel linguaggio peculiare del gruppo, con un'attitudine onnivora naturalmente attenta alla contaminazione. Questo terzo lavoro, che segue cronologicamente l'interlocutorio "Tudo um real" dopo il trascinante ma acerbo primo CD, ne risolve bene disomogeneità e incertezze di percorso. Si può anzi affermare che crescono le sottigliezze armoniche (anomale in un contesto così fortemente "fisico") e che si affina quel sound caratteristico che è ormai diventato il marchio di fabbrica dei PLAP. L'interessante voce tenorile e carica di soul (pur non viaggiando in territori soul) di Pedro Luis si concede perfino un classicissimo sambinha coadiuvato da un incisivo cavaquinho in primo piano ("Parte Coraçao") e i suoi compagni di navigazione si muovono con spigliatezza tra echi di balanço ("Nega de Obalaué"), cirande postmoderne ("Ciranda do mundo") e il rock di Lula Queiroga ("Morbidance") senza perdere leggerezza di tocco. Merita una particolare citazione la bella "Mao e luva" che suinga con toni malinconici su un testo dello stesso Pedro, in versione sentimental-piovosa. Una produzione di classe che ben sopporta ripetuti ascolti, ben rifinita anche nella veste discografica. Ora che ci penso: non sarà una contraddizione per rapazes che cantavano "Esse funk è tiro de canhao - Rajada de metralhadora que situaçao - esse pais na emboscada - e a mais injusta divisao - com a boca escancarada - faço esse protesto em forma de oraçao"?
(Giangiacomo
Gandolfi)
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Mestre Ambrósio
- "Terceiro Samba"
Chaos-Sony - 2001
2-495961
**** Mangue beat, chi era costui? I Mestre Ambrósio, nel loro terzo disco, sembrano allontanarsi dall'attitudine estetica che ne aveva fatto uno dei gruppi più interessanti per il crossover tra folklore e modernismo. Ciò non implica necessariamente un decadimento artistico, e anzi il disco è di livello, ma pare che i Mestre Ambrósio tendano sempre più a somigliare ai Pogues di Shane McGowan (chi se li ricorda?), nel rifarsi al folklore con attitudine punk, omettendone però la violenza e il nichilismo. Il suono di questo disco è come asciugato, essenziale, meno pop, con un ruolo ancora più centrale che in precedenza per la rabeca di Siba, quella specie di violino tipico del nordest . Tra i brani più interessanti, meritano una menzione "Vida", composta da Sérgio Cassiano così come Coqueiros, con la chitarra elettrica suonata da Siba che aggiunge un effetto "repentista" di lontananza e nostalgia. La stessa nostalgia che ritorna in "Fera", composta da Siba, che rende perfettamente, su una tenue base di Maracatu, un senso di sperdimento, anche letterario, per una donna di bellezza non comune. Da rilevare la prima incursione dei Mestre Ambrósio nei terreni del samba, con il pezzo "Saudade", composto da Sérgio Cassiano: certo, un samba sui generis, meticcio, molto bello; l'esperimento viene ripetuto con successo anche con "Lembrança da folha seca". Un disco sincero come pochi.
(Mauro
Montalbani)
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Nà Ozetti
- "Show"
Som Livre - 2001
2303 - 2
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E' giunto il tempo di annoverare nel gotha delle grande voci femminili brasiliane contemporanee, al fianco della Bethania, della Costa, di Marisa Monte e Zizi Possi, anche Nà Ozetti (che ha un colore timbrico simile a quest'ultima grande artista). Non si tratta di una caduca affermazione di iperbolica e episodica ammirazione, stupisce anzi che questo riconoscimento non sia giunto prima, visto che la cantante primeggia nella scena MPB da molti anni nell'opinione unanime dei critici. Il fatto è che nuoce alla Ozetti una stramba etichetta di "vocalista dello sperimentalismo paulista", restatale tenacemente incollata sin dagli esordi negli anni '80 e dovuta alla assidua frequentazione della succitata scuola locale (complice il fratello Dante, pregevole compositore e parceiro, un po' come Antonio Cicero con Marina Lima). E non aiuta la scarsa promozione della etichetta discografica che, oltre a non cercare di imporla sul palcoscenico internazionale, non riesce neanche a farla sfondare sul mercato interno.
Questo "Show" è l'ennesima conferma di un talento in costante ascesa che stavolta sceglie di confrontarsi con un repertorio di straordinaria purezza classica, con un nettissimo predominio di composizioni pre-bossanovistiche. Il risultato è un disco praticamente perfetto, arrangiato con felicissima semplicità e smagliante equilibrio strumentale, la cui unica pecca (nella prospettiva distorta del mercato discografico) è quella di non contenere alcun potenziale hit radiofonico. Le perle sono molte e un elenco dettagliato sarebbe troppo lungo; basti citare su tutte l'intramontabile "Adeus Batucada" di carmenmirandiana memoria, una vetrina della perfezione tecnica e interpretativa della Ozetti, che vi esibisce uno stupefacente controllo delle funamboliche modulazioni vocali, "Linda Flor", dolcissima e struggente ballata bahiana, e il recupero miracoloso di "Joao Valentao" di Caymmi, come non la si sentiva cantare da anni. Conclude il CD l'unica composizione moderna, quella che da' il titolo all'intero album, un bel pezzo di Luiz Tatit che non sfigura dopo la galleria di capolavori della "forma canzone" che l'artista paulista ha scelto per il godimento di orecchie indubbiamente raffinate.
(Giangiacomo
Gandolfi)
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Meirelles e os Copas
5 - "O som"
Dubas-Universal - 2001
325912001362
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Questa è la ristampa, curata dalla Dubas di Ronaldo Bastos, di un disco fondamentale per testimoniare la genesi dell'incrocio tra jazz e musica brasiliana, originariamente del 1964. I componenti del quintetto originali erano: J. T. Meirelles, sax e flauto, Manoel Gusmão, basso, Pedro Paulo, tromba, Luiz Carlos Vinhas, piano, e Dom Um Romão, batteria. Mai come in questo caso, i nomi parlano da soli. Come disse un critico, questo disco è la Stele di Rosetta del samba-jazz, la pietra di paragone di uno stile, di per sé già pronto fin dall'origine all'esportazione, seppure nella sua forma spuria, la bossanova. Chiedere ad esempio a Stan Getz, o a Charlie Byrd. Un disco di grande fluidità, eccezionali strumentisti, grande eleganza. Valga per tutte il brano "Nordeste", strutturato su una base di baião, o la successiva "Contemplação", rarefatta e meditativa. In questa edizione, vi sono anche tre bonus-tracks, di cui una già uscita per una compilation della Talkin' Loud di Gilles Peterson, dal loro secondo disco, "O Novo Som", dove Eumir Deodato sostituiva L.C. Vinhas, e Edison Machado Dom Um Romão, mentre si univano al gruppo anche Roberto Menescal e Waltel Branco: un bell'andare…
(Mauro
Montalbani)
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Marina Lima
- "Setembro"
Abril Music - 2001
1105025-2
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In un modo o nell'altro, la traiettoria nel firmamento rock di Marina Lima sembra sempre arrestarsi a un passo dalla compiutezza artistica e sonora, senza riuscire a innalzarsi più in alto di una certa quota. E comunque sempre a un livello inferiore a quello che resta probabilmente il suo capolavoro:
"Abrigo", uscito nel '97. Non fa eccezione questo "Setembro", perfettamente in linea con gli ultimi lavori, che privilegiano in maniera crescente il lato dark-elettronico della solista, sfiorando territori trip-hop e D'n'B. Non è facile capire il perché. Le produzioni della cantante carioca sono sempre molto ben curate e la sua voce sempre cool (sia pure senza particolari doti di potenza, flessibilità ed estensione vocale), ma il risultato suona invariabilmente sotto le potenzialità intraviste in "Abrigo". Forse non a caso si trattava in quella circostanza di un album essenzialmente interpretativo (e nel booklet Marina si schermiva riguardo alle sue doti di vocalist) e in tutti gli altri CD, come in quest'ultimo, di materiale prevalentemente uscito dalla sua penna.
Se questo non è sintomo di una vera e propria debolezza compositiva (molti momenti di "Setembro" sono felici anche sotto questo profilo), certamente si tratta di un indizio di perfettibilità e di discontinuo processo di maturazione di un'artista che molto ha dato e continua a dare all'universo della musica popolare brasiliana.
Ad ogni modo l'ascolto è gradevole e l'architettura sonora interessante, a volte generosa di sorprese. Si distaccano i due tormentoni radiofonici delle ultime settimane - il brano omonimo dell'album e "No escuro"- "Dois Duroes", sorta di electro-bossanova malinconica e "Me diga (Francisca)", tra hip-hop lento e speziature di sitar. Pur orfana delle trame digitali del compianto Suba (estremamente efficaci nel precedente "Pierrot"), Marina prosegue dunque sulla sua strada di sperimentazione, lasciandoci in attesa di un vero e proprio gioiellino rock.
(Giangiacomo
Gandolfi)
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