La Seleção va in Giappone in cerca di se stessa A quattro mesi dai mondiali il Brasile continua a non convincere
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La qualificazione è afferrata. Con affanni, sudore, polemica e basso rendimento. Il Mondiale è raggiunto. Senza allegria. Il Giappone chiama, il Brasile risponde. Con poca voce e molte incertezze. Ma la kermesse di giugno non vacillerà: la Seleção timbra il cartellino e la macchina del business può avanzare tranquilla. La Fifa respiri: la grande paura è slittata. E respiri anche Scolari: il ct è confermato, la panchina è blindata. Per ora. Non c'è bocciatura, ma neppure assoluzione. La Coppa del Mondo dirà, giudicherà, sentenzierà. Felipão guadagna gli esami d'estate, ma l'opinione della gente non rinfranca il morale. Le critiche pesano, la contestazione corrode. Il Brasile non sembra neppure più il Brasile: crisi di identità, si chiama. Che è la crisi del gioco e dell'organizzazione che si industria - male - attorno ad esso. Sintomi di recessione: e non solo economica. Difetta il talento che una volta debordava. E quando il talento appare, scappa. Altrove: Europa, possibilmente. Potere del dollaro. E di un campionato, quello nazionale, che non piace e non attira. Che non si evolve e non lascia evolvere. Che rischia di sfarinarsi nuovamente, definitivamente. Non è un caso: il chiacchierato patto dei tredici club più rappresentativi del Paese perde un pezzo pregiato. Il Flamengo attacca la mancanza di trasparenza nelle decisioni intraprese dal consiglio direttivo della lega e non concorda con le strategie politiche adottate. "Il Club dei 13 - fa sapere il presidente rubro-negro - non ha dimostrato interesse nel difendere gli affiliati, toccati nei più sacri diritti statutari". Il Mengão saluta, potrebbe farlo anche il Santos, molto presto. Il problema, sembra di capire, è però soprattutto tecnico. La qualità di base resta buona, ma non appare inattaccabile. E se lo stagionato e intramontabile Romário pretende un posto in Giappone, qualcosa significa. Nonostante la carta d'identità che lascia pensare. E, forse, anche sorridere. Eppure Scolari ci crede. La Seleção si abbatte sulla Bolivia, in amichevole, e il dissenso si assopisce appena. Il primo test post-qualificazione è superato agevolmente: sei gol servono a guadagnare fiducia. E a ritrovarsi: con la testa, più che con i piedi. Probabilmente, però, non basta. Sicuramente occorre altro. Giugno è troppo vicino per non temere il fallimento del progetto. Juninho Paulista non abusa della diplomazia e difende il gruppo: "Abbiamo zittito i tifosi, sì. Quando giochiamo, non possono reclamare. A Goiânia, contro la Bolivia, l'abbiamo fatto, e la gente ha sostenuto la Seleção". Ma, dalle arquibancadas del "Serra Dourada", la torcida mugugna ugualmente, invocando la convocazione di Romário. Trovando Washington, che non gradisce il clima e risponde segnando: "La gente chiede un attaccante che faccia gol e io sono qui". Messaggio inviato. Il tecnico preserva la propria libertà, sono giorni duri: "Ho il diritto di pensare alla nazionale nella maniera che ritengo più corretta. Rimango fedele alle mie idee e, quando vorrò modificare qualcosa, lo farò". Chiaro e limpido: la tempra di gaúcho non cede. Magari, confida. In Ronaldo, perchè no. Felipão lo osserverà attentamente, decodificandone i margini di recupero. Attendendo, monitorando. Consigliando: "Vorrei che Ronaldo si curi in Brasile. Anzi, glielo consiglio". Si rassegni Moratti. Si adegui Hector Cúper, si tranquillizzi l'Inter: Ronaldo, del resto, è già sintonizzato. La sfilata al centro del Sambodromo, poi, gli servirà psicologicamente: e poi il carnevale non può attendere. Il secondo test, in Arabia Saudita, rafforza intanto le incertezze e riscopre la coppia del reparto avanzato, offuscandone i progressi. Cose del calcio. A marzo il match con la Colombia: per capire, tracciare il punto, correggere. Sorrisi radi. L'attrito è ammorbidito solo dal vento impetuoso del marketing. La novità si chiama divisa ufficiale. La Seleção muta il look. I colori rimangono quelli di sempre, ed è già qualcosa. Il disegno è uno schiaffo alla tradizione, al mito. Segno dei tempi che cambiano. Meglio: che sono cambiati. L'esigenza di modernizzarsi coinvolge e stravolge, come sempre. L'importante è che il commercio renda: centonovantotto reais possono bastare, e ognuno potrà esibire la nuova maglia griffata. Nessuna paura, però: la Nike proporrà una seconda versione del prodotto, non propriamente originale, che giustifica lo sconto. Centodieci reais, il problema è risolto. La catena di montaggio della Coppa del Mondo funziona splendidamente.
Maurizio Mazzacane è nato a Taranto nel 1965 e risiede in provincia di Bari, a Castellana Grotte. Giornalista pubblicista dal 1986, attualmente collabora con il Corriere del Giorno di Taranto e la Gazzetta del Sud di Messina, ricoprendo il ruolo di coordinatore del settimanale sportivo "Corriere Rossoblù
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