Viaggio alle radici del sapore

Si è tenuta a Roma la Settimana gastronomica brasiliana, con
una conferenza di Patrizia Giancotti e i piatti di Cesar Santos

 

di Silvia Zingaropoli

 

    A titolo di "assaggio" - ci sembra questo il termine più appropriato per definirlo, dato il tema - della Settimana gastronomica brasiliana, il 17 febbraio scorso si è tenuta a Roma, presso Palazzo Barberini, una conferenza dal titolo "Il sapore del rito, alimentazione e identità in Brasile". Relatrice dell'incontro l'antropologa Patrizia Giancotti, che, accompagnata dalle sue eloquenti diapositive, ha regalato al pubblico il frutto di anni di studio vissuti a contatto con il mondo del candomblé di Bahia attraverso una brillante analisi dell'alimentazione brasiliana in relazione ai suoi aspetti rituali. 

Tre giorni più tardi, il 20 febbraio, nella splendida cornice serale di via Borgognona, in pieno centro di Roma, si è tenuta l'inaugurazione della rassegna gastronomica brasiliana presso il raffinato Café Romano, annesso allo storico Hotel d'Inghilterra, e condotta dallo chef Cesar Santos. La rassegna si è aperta in occasione dell'inizio del Carnevale e in concomitanza con le mostre del pittore Carlo Moratti e dei ritratti fotografici di Sebastião Salgado, negli attigui saloni di palazzo Torlonia. Quest'ultima esposizione sostiene il progetto di riforestazione di un'ampia area della foresta Atlantica nella regione del Rio Dulce. All'evento hanno preso parte personalità del mondo della cultura e dei media, il tutto accompagnato dalle atmosfere musicali afrobrasiliane di Umberto Vitello, che ha eseguito un vasto repertorio di samba e bossa nova. Entrambe le manifestazioni, di cui qui di seguito vi diamo conto, sono state patrocinate dall'Ambasciata del Brasile.

 

 

Quanti simboli nascosti in quei cibi

 

«In Italia come in Brasile - ha affermato la Giancotti - il cibo è soprattutto comunicazione: comunicazione tra chi lo prepara e i commensali, ma anche tra i morti e i vivi, tra Dio e l'uomo». E ogni alimento, in Brasile come in Italia, cela sempre un valore simbolico, un mito, una storia, che gli conferiscono vita propria: è questo, ad esempio, il caso della mandioca, un tubero inizialmente velenoso ma che in seguito a un trattamento di spremitura ed essiccazione diventa farina, sostituendo il pane e costituendo l'alimento base della cucina brasiliana. Legata a numerosi miti indigeni, il più famoso è quello che ne fa risalire il nome alla storia di una bambina chiamata Mani, morta a un anno dalla nascita in circostanze misteriose. Questo mito racconta che la terra in cui venne seppellita la bambina cominciò a spaccarsi, lasciando intravedere una radice che riprendeva la sua sagoma: da qui il nome manioca, che significa "casa di Mani". Nel corso del tempo gli elementi indigeni andarono mano a mano fondendosi con la ricchezza simbolica africana e l'arte culinaria portoghese, che portava con sé la cultura dell'olio d'oliva e del pesce. «Come la lingua portoghese diventava più dolce con l'apporto dell'elemento africano e indigeno, così l'alimentazione portoghese con l'apporto africano diventava più dolce, più accattivante», ha osservato la relatrice.

Tra gli amanti più sfrenati della frutta brasiliana troviamo lo scrittore Jorge Amado che, mediante la sua letteratura, ha fatto conoscere al mondo le meraviglie di questo universo di profumi e colori: grazie ai suoi romanzi riusciamo a percepire la sensualità della cucina brasiliana nella quale l'arte culinaria si identifica con quella amorosa. A proposito di questa sensualità dei cibi, lo scrittore ci ha fatto notare che nella lingua yoruba "mangiare" e "sposare" vengono espressi con un unico termine, così come nel portoghese la parola "comer" significa sia "avere rapporti sessuali" che "mangiare". Del resto, anche in italiano si usa dire "consumare un matrimonio" e "consumare un pasto".

Per un europeo compiere un viaggio in Amazzonia significa ripercorrere le scoperte dell'infanzia. Perché i nostri frutti sono molto diversi, e i nostri palati chiusi entro confini che improvvisamente cadono, ci portano in un mondo di sapori mai conosciuti. Tutto é avvolto da una sorta di poeticità, sia nell'esposizione di questi frutti, definiti da Giancotti «eleganti bouquet avvolti nei loro fogli di giornale», che per i nomi indimenticabili con cui vengono battezzati. L'incredibile varietà di frutta e verdura va dalle circa venti specie di peperoncino al cajú, dallo xuxú (che è un legume) alla jaca, che può misurare fino a mezzo metro di un diametro e un metro di lunghezza. Jorge Amado ci eterna nel suo romanzo una descrizione meravigliosa di questo frutto, capace di distogliere dalle pene d'amore due rivali in amore. Poi troviamo il cacao, che pochi conoscono nella sua forma originaria, i cui semi vengono tostati, mentre la polpa diventa un succo tra i più deliziosi, freschissimo e profumatissimo: nelle zone dove viene coltivata questa pianta si sente l'inebriante fragranza dei "frutti d'oro", come li definiva Amado. La sapienza di questa cucina consiste proprio nel saper armonizzare questi sapori tropicali nella preparazione delle pietanze. «La sensualità, l'appagamento, il livello di consolazione dato dalla frutta tropicale al popolo brasiliano - ha aggiunto Giancotti -  è molto alto: una consolazione data dalla natura e un certo senso di appartenenza. È come se il diaframma, il confine tra l'essere umano e la natura che lo circonda, attraverso questo caleidoscopio di frutti, questa ricchezza, questa esuberanza si attutisca, diminuisca. L'uomo entra a far parte della natura». 

Durante la conferenza, l'antropologa ha mostrato le suggestive immagini di due cerimonie cui ha assistito, nelle quali si percepisce l'importanza del ruolo della donna nel candomblé di Bahia, vera e propria nutrice degli dei. «Avviciniamoci ora al candomblé, religione portata a Bahia dagli schiavi africani, che ancora oggi conta più di 4000 luoghi di culto: grazie ad alcune strategie di penetrazione sociale (tra le quali al primo posto metterei proprio l'alimentazione) si è insinuato nel corpo del Brasile stesso, fino ad arrivare a noi per mezzo di pietanze che trovano origine proprio nel luogo di culto del candomblé», ha spiegato l'antropologa. Questa religione ha come scopo quello di mettere in contatto le divinità - o meglio la parte sacra che è all'interno dell'uomo - con l'uomo stesso. Si abbatterebbe quindi una barriera, costruita dalle divinità in seguito a un errore di culto commesso dall'uomo. Anticamente il mondo degli dei e il mondo degli uomini erano in comunicazione permanente. In seguito a una manchevolezza compiuta dall'uomo, Olorum, dio supremo, separò i due mondi. Entrambe le parti divise avvertirono una grande saudade, soffrendo violentemente per il dolore dato dalla separazione: gli dei avevano nostalgia del corpo, nostalgia dell'umano, nostalgia del cibo, nostalgia della danza. Una leggenda yoruba ci spiega che le cerimonie di candomblé servono a ricongiungere i mondi e a matar a saudade, offrendo agli dei la possibilità di fondersi al corpo degli uomini e poter così danzare e mangiare. Secondo il candomblé di Bahia, ogni persona ha una sorta di alter ego divino, e questa corrispondenza riflette il desiderio, prima africano e poi brasiliano, di individuare la vera identità della persona: tale identità viene preservata nel candomblé nutrendo quella dell'orixá personale. 

Mostrando le immagini di una cerimonia di purificazione dedicata ad Oxum (l'orixá della femminilità, la divinità delle acque e della fertilità), officiata nella foresta del Pirajá nei pressi di Bahia, ai piedi di una cascata - simbolo di unificazione tra il cielo e la terra -, la relatrice ha sottolineato l'importanza rituale di ogni singolo gesto apparentemente quotidiano. Tutta la preparazione, dal taglio allo smaltimento dei rifiuti, dalla vestizione all'uccisione degli animali, viene eseguita secondo un rituale determinato; tutto diventa simbolo, tutto è sacro, tutto cela un messaggio diretto al divino. Per la festa di Iemanjá, molto importante a Bahia - città di mare - l'alimentazione è estremamente importante. Si tratta della festa in cui si celebra la dea del mare, alla quale vengono offerti cibi, fiori, profumi, merletti e tutti i simboli della sua femminilità. Il mare dona a Bahia la fonte prima di sostentamento e l'uomo, tramite questi riti, cerca di sdebitarsi nutrendolo a sua volta.

Ogni cerimonia ha un suo tema, e ogni orixá ha un suo cibo prediletto e tramite cui viene identificato, così come si identifica con un determinato colore, una determinata forza della natura. Questo o quel sapore rappresentano una divinità, per cui l'orixá Ogum, dio della guerra e del ferro, maschile e forte, non poteva che immedesimarsi nella poderosa feijoada brasileira, così come il cocco è l'alimento di Oxalá, divinità il cui colore è, appunto, il bianco. Il cibo svolge dunque un ruolo importantissimo: anello di congiunzione tre le due società e ha reso possibile questa penetrazione culturale della cultura africana all'interno della società brasiliana.

 

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Una passione venuta da lontano

 

La settimana gastronomica brasiliana è stata presieduta dal celeberrimo chef Cesar Santos, del ristorante "Oficina do Sabor". «La mia passione per la cucina - ci ha spiegato - è nata tanto tempo fa, quando ero bambino. Mia mamma faceva la domestica e io l'aiutavo spesso nelle faccende di casa: in particolare stavo con lei mentre cucinava. Da mia madre, grande cuoca, ho imparato molte cose, e grazie a lei è sbocciato in me questo sconfinato amore per la cucina. E' a lei che devo tutto». La cucina di Santos è infatti il prodotto della sua regione, presentato in modo più delicato e sofisticato. E i suoi piatti, basati essenzialmente su frutti tropicali e frutti di mare, conservano il vero sapore degli alimenti. Dopo dieci anni di pratica nei quali ha raggiunto il successo ed è riuscito a farsi un nome, il suo locale è diventato una tappa obbligatoria. «Chi va in Pernambuco non può non farci un salto - sottolinea lo chef -: la gente ama le combinazioni di sapori che ho creato attingendo dalla cucina pernambucana». 

Santos tuttavia non disdegna anche quella italiana. «Anzi, la adoro - confessa -, e credo che sia una delle più raffinate e ricche del mondo, unica nei suoi sapori e combinazioni". E allora ha pensato ad aprire un ristorante? «Mi piacerebbe moltissimo - ha risposto -, ma per il momento sono troppo occupato con il mio locale di Olinda, e per di più sto per aprirne un altro a Recife che si chiamerà "Açucar". Il menù della serata, composto da piatti prelibati, è stato preparato su una commistione di elementi africani, indigeni e portoghesi, specchio della realtà brasiliana, il tutto sapientemente elaborato dalla maestria dello chef. Empadinhas de camarão, fileizinhos de peixe ao verde mar, carne de sol do brasil, beijos com caviar sono solo alcuni tra i favolosi piatti serviti nel corso della splendida serata, immersa nella magica atmosfera scaturita dalla fusione delle meraviglie della cultura brasiliana con il fascino della notte romana.