Recensioni CD & Cronache concerti

BAIXINHO

 

 

Fuzué

 

TUCAN

Tucan

 

VEREQUETE E GRUPO VIRAPURU'

 

 

 

 

 

 

Carimbò - Dance music from Parà

 

MARIO TAVARES

 

Quatro Composições

BARBARA CASINI

Uma voz para Caetano

 

CRONACHE CONCERTI

Marcio Faraco

Flora Purim/Airto Moreira

 


Baixinho "Fuzué"

distribuzione indipendente - 2002 - 41’19”' 
http://www.superlisaonline.com
****

Baixinho è un maestro di capoeira che opera prevalentemente a Milano. A differenza di altri prodotti del genere che l'hanno preceduto, questo progetto in due cd mostra un apprezzabile tentativo di affrancarsi alla pura tradizione del genere, che era un po' il limite di tanti suoi predecessori. Il senso di novità, stimolante per chi cerca soprattutto il messaggio musicale, si rivela anche nell'uso di una strumentazione a volte poco ortodossa, come il contrabbasso suonato con l'archetto nel bel brano di apertura "Palacio imperial", che ibrida gli stilemi della capoeira con un rap suburbano, con un effetto molto fresco, che ricorda alla lontana certe cose di Carlinhos Brown. E' altresì il caso di "Xique xique boi" (#2), con le trombe in sordina che intessono un dialogo molto interessante con il berimbau. Sarà un po' la voce sempre bassa di Baixinho ( ci si perdoni l'involontario gioco di parole), saranno i testi che spesso esprimono riflessioni più ampie rispetto al limitato campo della capoeira, ma in questo disco si sente anche una certa vena blues, che è comunque plausibile, perché i deportati negri americani e quelli brasiliani hanno viaggiato in parte sulle stesse navi negriere, e così le radici musicali. Tra gli ascendenti, in pezzi come "Capoeira ganhou espaço" (#9) si intuisce l'influenza di artisti come Lenine e Lula Queiroga, non è dato sapere se volontaria o meno. In sostanza un disco godibile anche per chi non è particolarmente interessato a ginga, benção, meia-lua armada, aù, e tutta la liturgia della nobile arte della capoeira. Il disco è corredato di un secondo cd con alcuni brani in versione remixata, con alcuni trattamenti molto godibili e altri meno.

(Mauro Montalbani)

 

 

Tucan - "Tucan"
Distribuzione indipendente - 2000 - 61'55" 

***

I Tucan sono un trio composto da Hagai Rehavin alla chitarra, Amir Milstein al flauto e voce, e Joca Perpignan alle percussioni. A giudicare dai nomi, pare di intuire che i nostri siano almeno per due terzi israeliani, ma brasiliani d'elezione, come tanti musicisti che in giro per il mondo non possono che arrendersi alla sfolgorante bellezza della ricchezza musicale brasiliana. I Tucan si muovono su quelle coordinate tra jazz e tradizione popolare brasiliana, già percorse da tanti prima di loro, come Toninho Horta, Nanà Vasconcelos, etc., ma nello specifico ricordano in particolare gruppi, certamente meno noti, come Agbeokuta, Raiz De Pedra, e via esplorando. Il disco si srotola tra composizioni originali e versioni di brani altrui, come l'apertura di "Bola de futebol", composta da Toninho Horta, o la deliziosa Bate Cosa (#4), composta originariamente da Marco Pereira - in questi giorni in tournèe in Italia -, per chitarra sola e qui riarrangiata per flauto, chitarra e percussioni. Tra i brani originali, si segnala "Choro para Guinga"(#5), omaggio a un artista tra i più importanti oggi in Brasile. Degno di nota anche il medley dedicato a Vinicius De Moraes, composto da "Como è duro trabalhar", "Tomara" e "A Felicidade" (#12), interpretato e arrangiato dalla chitarra solitaria di Hagai Rehavia. In definitiva, un disco dotato di grande eleganza e rispetto nel reinterpretare in maniera tutto sommato originale un repertorio scelto comunque con creatività e grande gusto, mentre i brani originali dimostrano l'alto livello dei gusti negli ascolti del trio.

(Mauro Montalbani)

 

 

 

 

 

 

Verequete e Grupo Virapurù - "Carimbò - Dance music from Parà"
Wergo - 2002 - 59'22''
SM-1532-2
****

Quando Augusto Gomes Rodrigues, ai più noto come Verequete, cammina per il mercato del pesce di Ver-o-Peso, a Belém, ostentando il suo stetson bianco e i suoi baffuti 86 anni da far invidia al Buena Vista Social Club, le venditrici di pesce lo apostrofano intonando almeno il ritornello del suo pezzo forse più famoso, "Chama Verequete", che apre anche questo disco. Verequete è l'ultimo dei grandi maestri e innovatori del carimbò, che negli anni '60 rinnovò e urbanizzò nello stile, introducendo il banjo, oramai imprescindibile nella duplice funzione armonica e percussiva, e strumenti a fiato come clarinetto e sassofono. Il repertorio del disco declina in modo molto suadente un allegro sferragliante casino, registrato completamente in presa diretta. I testi hanno un'importanza relativa, in questo disco, e trattano di semplici scene di vita quotidiana dei pescatori o delle bellezze naturali dell'isola di Marajò o del Parà in generale, mentre le voci fungono principalmente da contraltare melodico al forsennato e insinuante assalto ritmico, cui è veramente difficile resistere. All'interno del disco ci sono alcuni pezzi clamorosi, di cui si consiglia l'ascolto in cuffia per avere un'esperienza extrasensoriale, come il manifesto stilistico "O carimbò do Parà" (#2), o "A sereia do mar" (#4), "Ilha de Marajò" (#5). In particolare, si ascolti quest'ultimo pezzo per capire il raffinatissimo uso degli strumenti a fiato introdotto da Verequete, che sembrano avere una funzione quasi percussiva e melodica insieme. Un disco intossicante.

(Mauro Montalbani)

 

 

Mario Tavares - "Quatro Composições"
Soarmec Discos - 2002  
S016
****

Non parliamo spesso di musica "colta" brasiliana, e a torto, perché si tratta di un panorama di grande bellezza e peculiarità. La pubblicazione di un CD dedicato a Mario Tavares, un compositore poco frequentato anche dagli addetti a lavori, può essere una ghiotta occasione per toccare questo tema e soprattutto un'opportunità per quanti desiderino esplorare un genere che va ben al di là delle (conosciutissime) opere del grande Maestro Villa-Lobos. Tavares, che è qui presentato con quattro lavori del periodo 1959-1965, è tra l'altro un eccellente direttore e un'artista di grande sapienza nell'arte della coloritura orchestrale, con una carriera luminosa che lo ha portato a spiccare nello scenario per così dire "panamericano", tra il Perù, il Cile e gli Stati Uniti. Lo si ricorda, tra l'altro, per un brillante pezzo per fiati interpretato dal Quintetto Villa-Lobos e per una frequente interazione con la comunità MPB nelle vesti di arrangiatore/orchestratore di lusso. Splendido ad esempio il suo trattamento di "Cancao que Morre no Ar" nel meraviglioso album "Cantar" della prima Gal Costa. Grande amico di Radames Gnattali, molto legato alle armonie nordestine e ad una concezione quasi neoclassica della composizione, l'autore si può classificare come un erede della tradizione di Camargo Guarnieri più che di Guerra-Peixe di cui è conterraneo. In particolare le tessiture degli archi e l'uso della tavolozza armonica dei grandi organici sono il suo punto di forza, che si ritrova intatto ed ammirevole in "Potiguara" e nel "Concertino per Flauto, Fagotto e Corde", il punto più alto dell'intero CD per lievità cantabile e magistrale architettura contrappuntistica. Certo, non siamo in presenza di un grande innovatore o di un audace sperimentatore, ma di un artigiano raffinato, sempre estremamente gradevole e ben ancorato alla tradizione europea e nazionale, poco interessato a tentare strade atonali o dodecafoniche come fecero lo stesso Guerra Peixe e Santoro sulla scia di Koelreutter. Di un certo interesse è la "Sonata No. 1 per Violoncello e Piano", esplicitamente reminiscente del corpus di sonate di Guarnieri, mentre "Rio, a epopeia do Morro", brano per coro e grande orchestra sinfonica, è un pezzo piuttosto datato e discutibile, in cui il samba exaltaçao (la cui stagione è ormai agli sgoccioli) si trasforma in poema sinfonico "exaltaçao" con pretese di commento sociale. Il risultato è inutilmente pomposo e magniloquente, con il compositore abile nel controllo del materiale magmatico e imponente ma sterile nella sue pretese di titanismo sinfonico, come un esotico Mendelsonn o Franck di provincia. Eccellenti l'orchestra da camera della radio MEC e tutti i solisti.

(Giangiacomo Gandolfi)

 

Barbara Casini - "Uma Voz para Caetano"
Philology - 2003
W232.2
*****

I CD di Barbara Casini sono ormai veri e propri "eventi" della scena italo-brasiliana, quel territorio fertile in cui le due culture si incontrano rispecchiando felicemente le affinità, le complicità e la gioia di fare e assorbire musica che sono alle radici dello stesso progetto Musibrasil. E' quindi con massima euforia che vi segnalo il suo nuovo eccellente lavoro, questo "Uma Voz para Caetano" che è un importante omaggio della grande cantante a una figura brasiliana ormai leggendaria. La voce della Casini, quella voce calda dalla perfetta pronuncia portoghese, ammalia come sempre e si ripresenta al pubblico dopo una collaborazione prestigiosa dal vivo (a Roma questa estate) nientepopodimenoche con il divino Guinga. Si tratta insomma di una artista che è ormai un punto di riferimento internazionale, sia nell'ambito jazz che in quello brasiliano, e che ben raramente delude l'ascoltatore.
Anche in questo lavoro l'equilibrio tra i due generi è ammirevole: la sezione ritmica di Gibellini, Petreni e Pareti funziona alla perfezione, distillando dolcezze intense quanto discrete, l'armonica di Max Aloe (cromatica e thielmannsiana) avvince con i suoi commenti sensuali e nostalgici. L'interpretazione della Casini è variegata e estremamente coinvolgente: tocca con rigore bossanovistico temi molto ascoltati come "Saudosismo" e "Coraçao vagabundo", ma confeziona anche momenti sottilmente cool swingando su "Luz do Sol" e "Minha Voz, Minha Vida". Stupende ed economiche le riletture di "capolavori minori" come "Branquinha" e "Pra Ninguem", ineccepibili le mezzetinte di "Lindeza" e il pathos di "O Ciume", così distante così vicina dal clima jazz della registrazione.
Resta solo da chiedersi perche' la nostra nuova "Musa del Brasile" non venga scritturata e promossa da case discografiche maggiori e meglio distribuite, soprattutto dopo l'enorme successo dell'uscita francese con la Label Bleu. Domanda vana probabilmente, qui da noi i discografici non hanno le idee molto chiare sulla qualità e sul profondo rinnovamento estetico di Jazz e MPB in Italia e Brasile. Nel frattempo facciamo i migliori auguri e formuliamo i migliori auspici per la carriera della Casini, invitando i nostri lettori ad entrare nel mondo ricco e delicato di una grande artista che il mondo ci invidia. 

(Giangiacomo Gandolfi)

 

 

 

Marcio Faraco

Club La Palma - Roma - 9 Febbraio 2003

Uno dei piu’ quotati e interessanti nuovi ambasciatori della MPB in Europa, il nordestino Marcio Faraco, arriva a presentare lo showcase del suo ultimo CD “Interior” nella cornice intima, raccolta e ormai di culto del Jazz Club La Palma. 

Arrivato al secondo lavoro, registrato a Parigi che e’ sempre stata meta accogliente per gli esuli e i giramondo sudamericani, Faraco non si distacca dalla sua linea soft e neobossistica, con abbondanti incursioni nella tradizione nordestina. Il concerto e’ fedele testimonianza del suo percorso e si lascia apprezzare anche per la qualita’ della tecnica chitarristica. Viene da pensare naturalmente a Vinicius Cantuaria per la delicatezza ritmico-armonica dei ricami di voce e violao, ben supportati dalle sei corde del francese compagno di palco, ma anche alla MPB elegante di Joao Bosco.

Nessuna grande sorpresa insomma, ma un flusso continuo, quasi ipnotico, di musica discreta e avvolgente, di sicura personalita’. Espliciti numi tutelari della sua produzione sono Chico Buarque e Wagner Tiso, che lo incoraggiano e seguono nella carriera artistica, certificando il buon gusto e la classe di un compositore-strumentista che potrebbe maturare ulteriormente e regalarci in futuro album importanti.

Il set, breve e rilassato, segue abbastanza fedelmente la scaletta di “Interior” e si conclude, con il rumoroso apprezzamento del pubblico, sugli accordi di “Berimbau”. Lo spirito di Baden Powell assiste dall’alto, sorridente, e approva, “com certeza”.

(Giangiacomo Gandolfi)

 

 

Flora Purim e Airto Moreira

Teatro Ambra Jovinelli - Roma - 10 Febbraio 2003

Una serata gradevole, nonostante le riserve di partenza. Flora e Airto sono una coppia storica del Jazz brasiliano, trapiantata ormai da decenni negli Stati Uniti, dove volenti o nolenti alternano una innata e indiscutibile musicalita’ (apprezzata tra gli altri da Miles Davis, Chick Corea e Weather Report) a episodi soporiferi e commerciali da “cartolina turistica” esotica. Le loro ultime esibizioni a Roma (un bel po’ di anni fa) lasciavano parecchio a desiderare sul piano del progetto (fusion delle piu’ bieche e furbesche) e dei compagni di palco (mestieranti senza spessore). La stessa Flora, vista una decina d’anni fa in tournee con la United Nation Orchestra del compianto Dizzy Gillespie, mostrava interamente la corda del suo vocalismo, ormai fuori misura e inadeguato dal punto di vista dell’intonazione.

Lo show si e’ invece rivelato migliore del previsto, grazie a una band di rodati professionisti (Gary Meek al sax, Marcos Silva alle tastiere e Gary Brown al basso) e ad un Airto straripante, batterista e percussionista in piena forma ancora in grado di dare lezioni ritmiche alle nuove generazioni con il suo drive inimitabile e travolgente.

Il suo assolo, realmente da antologia, conferma lo spessore di assoluto gigante dell’artista dopo un periodo di appannamento, ricordandoci che nel mondo delle percussioni brasiliane solo Nana Vasconcelos resta al suo livello. Percussioni usate come un organismo pulsante, corpo usato come elemento naturalmente percussivo: Airto passa dall’Africa profonda alla estroversione del pandeiro carioca in un lunghissimo momento magico.

Quanto al resto, lo si puo’ definire piacevole routine jazzistica, con arrangiamenti convincenti ma non geniali, pregevoli sequenze di assoli, spesso virtuosistici, e qualche biasimevole incursione nel samba appunto da cartolina.

 Flora appare in lento miglioramento, anche se i tempi dei Return to Forever di Chick Corea restano distanti anni-luce: qualche scat coinvolgente, una spruzzatina occasionale di portoghese che emerge dall’inglese da esportazione dominante e ancora troppo poco spessore emotivo per una voce che ha bene o male lasciato un segno nella storia del latin-jazz.

(Giangiacomo Gandolfi)