L'inutile riapertura del processo Senna

A sei anni dall'assoluzione la Corte di cassazione ha annullato
la sentenza e ora si rischia di riaprire un dibattimento inutile 

 

di Marina Beccuti

 

 

   La tentazione principale è di pensare: lasciatelo in pace dov’è ora. Sono passati quasi nove anni dall’incidente che costò la vita al più grande campione di Formula Uno della storia, Ayrton Senna, e ancora si riparla di aprire il processo conclusosi il 16 novembre 1997 - quasi sei anni fa - con l'assoluzione di tutti gli imputati. Dell’inchiesta, del processo non si è mai venuti a capo di nulla, se non che il povero Senna non poté più calcare le piste di F1 lasciando lo scettro a Schumacher che ha fatto incetta di mondiali perché nessuno ha saputo imporsi al suo cospetto. Nelle ultime settimane si è parlato seriamente della possibile riapertura del processo, perché l’assoluzione precedente della Williams, il team per cui correva Ayrton, non convince la Corte di cassazione. La quale, su ricorso della Procura generale di Bologna, ha annullato la sentenza con cui la Corte d'appello del capoluogo emiliano aveva assolto, «perchè il fatto non sussiste», i vertici della scuderia britannica Williams dall' accusa di omicidio colposo in relazione alla morte del campione brasiliano. Secondo la legislazione sportiva inglese i team non sono perseguibili in caso d’incidente, perché il guasto tecnico fa parte del gioco. Per la legge italiana invece una squadra può essere condannata nel caso i cui si accerti che è stato un errore di progettazione. 

La Williams fu ritenuta colpevole in primo grado, ma in appello fu assolta. Se davvero si riaprirà il processo non sarà certamente per dare finalmente una motivazione certa ad uno degli incidenti più gravi della storia della F1 - tanto più che per evitare inutili polemiche la famiglia Senna non ha mai fatto ricorso -, ma per una mera questione di denaro, di quali assicurazioni devono pagare e quali invece essere a loro volta risarcite. Il punto da risolvere rimane sempre il famoso piantone dello sterzo, che secondo varie ricostruzioni dell’incidente, si sarebbe rotto prima dell’impatto e questo avrebbe causato la terribile uscita di pista conclusa con il botto al muro del Tamburello. Parliamoci chiaramente, però. Non è per difendere il team inglese e l’allora capo progettista Adrian Newey, ora alla McLaren: la rottura dello sterzo è un fatto non comune ma possibile, essendo capitato più volte nel corso della storia della F1 senza peraltro aver causato danni irreparabili. Se la presunta rottura del piantone fu all’origine dell’incidente, l’impatto violento e assassino contro il muro del Tamburello fu la vera causa del decesso. Le piste devono essere progettate per evitare impatti violenti contro ostacoli duri in caso di cedimento meccanico, fatto molto comune durante le corse. Imola nel ’94 non era attrezzata per tale pericolo: quel fatidico muretto fu già causa di numerosi altri gravi impatti, come quello di Berger nell’88 in cui prese fuoco con la sua Ferrari. E pochi anni prima si stampò anche un altro campione brasiliano, Nelson Piquet, anch’egli con la Williams, anche se nell'impatto riportò “solo” un trauma cranico. 

Nessuno prese mai in considerazione che quella curva-rettilineo molto veloce poteva essere assassina, fino a che non ci scappò la vittima illustre. Nel ’95 fu modificata e resa meno pericolosa, perdendo il suo fascino originale, ma aumentando in sicurezza. Oltre tutto non si poteva lasciare un muretto praticamente nudo, senza almeno tre file di barriere di gomme, utili ad attutire il colpo. Non ci sembra giusto a questo punto continuare a ferire Ayrton, che riposa in pace ormai da molti anni nel cimitero di Morumbi a San Paolo. Processi o polemiche non lo riguardano più da tempo. L’attuale F1 certamente non gli piacerebbe, perché Ayrton è sempre stato più umano che tecnico, mettendo in campo la sua dote naturale e quell’estrema forza di volontà che lo rendeva invincibile. Nessun processo potrà ridarci Senna, che pur non avendo vinto cinque o sei mondiali rimane il più grande, perché l’amore della gente nei suoi confronti non vale nessuna classifica o statistica. Ayrton sarà sempre in mezzo a noi, perché ha raggiunto quell’immortalità che solo gli eroi riescono a conquistarsi.