IL TACCUINO DI MAX

Quella volta che fui ospite di Alceu

 

di Max De Tomassi

    Nel 1982 il Brasile era per me un desiderio che si stava realizzando. Dopo anni di fantasie e racconti, finalmente, era arrivato anche per me il momento di prendere quel volo che mi avrebbe portato in quella terra esuberante e misteriosa. Non vi racconterò stavolta le emozioni del primo viaggio che rimando ad una prossima occasione, piuttosto vorrei parlarvi degli incontri avuti con alcuni artisti brasiliani, non tanto per rivelare inedite curiosità che possono interessare noi fans, quanto per scoprire, attraverso queste esperienze, la profonda umanità della gente del Brasile, questo loro voler condividere il tanto o il nulla che hanno, la disponibilità, il sorriso, il piacere di dare una mano. 

Jorge Ben Jor, che negli Anni '80 era ancora Jorge Ben, fu il primo grande artista brasiliano che conobbi. Lo incontrai a Roma, all’epoca dei «Lunedi del Sistina», concerti organizzati dall’impresario Franco Fontana. Io non parlavo il portoghese, ma Jorge era sempre gentile con tutti i suoi estimatori. Gli parlavo della mia ammirazione per la sua arte, per quelle canzoni consegnate alla storia della musica pop mondiale come "Zazueira", "Chove chuva", "Taj Mahal", "Fio Maravilha", "Mas que Nada", "Pais Tropical"... Lui, felice, ricambiava gli elogi deliziandoci nella hall degli alberghi con improvvisate esibizioni per la nostra gioia e di quella delle immancabili sue amiche-accompagnatrici, presenti in ogni città in cui si esibiva...

Arrivai in Brasile per la prima volta nel novembre del 1982. Riuscii a rintracciarlo attraverso un'amica comune. Jorge si ricordò di me, il che mi sembrò un miracolo, e mi invitò una sera a fare un giro per Rio. Ci incontrammo a Ipanema; aveva una macchina che in Brasile era considerato un bolide di gran lusso: una Fiat 127 nera con bande laterali arancio, modificata e pronta per un gran premio! Stavo vivendo un sogno: io, un italiano perfetto sconosciuto, fan della musica brasiliana, che a Rio viene scorrazzato niente meno che da Jorge Ben! Le prospettive, per chi come me sarebbe restato lì tre mesi cercando di capire la musica del posto, erano entusiasmanti. Capii dove mi trovavo e quante erano le differenze con la realtà che si vive da noi. All’epoca i nostri Lucio Dalla, Venditti, Pino Daniele, De Gregori ed altri, erano le grandi star della musica italiana. Vivevano blindati al riparo dei loro fans che al contrario erano desiderosi di parlare e confrontarsi con loro: i cantanti dall’alto del loro podio, ma sempre più distanti dalla gente che su quel podio ce li aveva messi. 

A Rio come a Bahia e nelle altre grandi città brasiliane, gli artisti si confondono con il popolo, frequentandolo senza paranoie o divismi. A Rio, per esempio, nel quartiere di Leblon, una zona chiamata Baixo era, all’epoca, punto d’incontro dei grandi astri della Mpb (Musica popular brasileira). Gente come Gal Costa, Caetano Veloso, Cazuza, Bebel Gilberto, Gilberto Gil e tanti altri erano lì, seduti accanto al tuo tavolo, ordinando allo stesso cameriere, chiedendoti fuoco per le loro sigarette, sorridendo ai clienti del tavolo di fronte. Come può un diciannovenne che adora la musica brasiliana, non restare folgorato da questa realtà così spontanea e non volere fermamente che tutto ciò faccia parte del suo mondo, per sempre? E questo è successo a me. 

E’ bello toccare con mano questa sensibilità tipica della maggior parte degli artisti brasiliani, quelli che scrivono le stesse melodie e le poesie che entrano così fortemente a far parte della nostra vita. Le loro canzoni, legate ai momenti più importanti della nostra esistenza, danno un significato e un colore ai nostri stati d’animo. Ancor più toccante è scoprire, attraverso di loro, l’animo del popolo che loro stessi cantano: è gente dal cuore sensibile e dalle braccia sempre aperte, orgogliosa del loro Brasile, della ricchezza morale ed estetica che sono in grado di offrire, ed è soprattutto la gente più umile custode di queste autentiche qualità...

Nel secondo mio viaggio in Brasile, a Rio de Janeiro, conosco uno dei più rappresentativi autori nordestini, Alceu Valença. In quegli anni sue canzoni come "Morena Tropicana" e "Anunciação", suonavano in tutto il Paese. Ci incontrammo, nemmeno a dirlo, al Baixo Leblon, in una di queste serate in cui, con
il pretesto di bere una birra ci si trovava, in mezzo alla strada, fra artisti importanti, nuove promesse e gente comune; nel nostro ambiente, insomma. Appoggiati a tavolini improvvisati si sorseggiava una gelada stuzzicando qualche salatino. Con Alceu, parlando di musica, siamo diventati amici. Io già lavoravo in radio qui in Italia e avrei voluto intervistarlo. Mi invitò a passare un po’ di giorni a casa sua, un antico palazzetto di Olinda, cittadina a pochi minuti da Recife, capitale dello stato di Pernambuco, nordest brasiliano. La sua cittadina, con questa sua architettura coloniale, racconta un Brasile d’altri tempi; fondata nel 1535 è stata dichiarata patrimonio storico dell’umanità dall’Unesco. Alceu mi disse semplicemente di andarlo a trovare ad Olinda, niente di più. Forse un po’ incoscientemente presi un volo da Rio per Recife senza pensarci su. Lo avevo avvertito tempo prima del mio arrivo e, in una epoca in cui di telefono cellulare non si sentiva nemmeno parlare, mi auguravo di trovarlo a casa. 

Arrivai all’aeroporto di Recife verso sera; non aveva ancora fatto buio e uscii dall’aeroporto con lo zaino in spalla chiedendo alla gente che si trovava alla fermata dell’autobus, come avrei potuto raggiungere Olinda. Il mio portoghese non era dei migliori e riuscivo a spiegarmi a malapena. Comprendevo loro nella stessa misura ma mi aiutò la loro gentilezza, il voler collaborare, collettivamente, alla buona riuscita del mio breve viaggio. Mi indicarono la direzione da seguire avvertendomi che sarei dovuto scendere in un determinato punto per poi prendere un altro mezzo. Durante questa prima fase del tragitto mi chiedevano da dove venivo, dove ero diretto; quando dissi che la mia destinazione finale era casa di Alceu Valenca, sentii nei passeggeri a me vicini un sentimento di meraviglia ed orgoglio. Alceu era il loro cantante, il portavoce della musica del Nordest influenzata dal rock e dai suoni più moderni. Era un idolo per loro, così come Camaron lo è per i gitani di Spagna e Cesaria Evora per i capoverdiani. Un mito contemporaneo che sceglieva di restare a vivere nella sua terra di origine, concedendosi per facilitare il lavoro, brevi periodi a Rio de Janeiro. 

Arrivato il momento di cambiare vettura scesi alla fermata indicata ricevendo pacche sulle spalle e saluti amichevoli. Mi trovavo solo in una grande città, ero straniero in mezzo alla gente e tutti erano con me gentili e premurosi. Scesi accompagnato da un passeggero che attese con me il bus per Olinda. Altri 15 minuti e sarei arrivato. Era già notte quando la vettura fermò nella piazza ai piedi della antica cittadina, già colonizzata in passato dagli Olandesi. Il mio temporaneo compagno di viaggio chiese all’autista di attendere per poco e scese insieme a me. Parlò con un vecchietto del posto al quale spiegò dove ero diretto. Mi salutò e risalì sul bus che continuò la sua corsa verso nord. Il tipo mi affidò a sua volta ad un giovane che mi chiese come mai non ero arrivato prima, per il carnevale... Ebbi il tempo di guardarmi intorno e rendermi conto di essere stato trasportato in un altra epoca: di fronte a me una ripida salita ben illuminata da quella luce calda che avevamo anni fa nei nostri paesotti di provincia, mi introduceva nel cuore di questa bellissima perla del Brasile storico. 

Le case, i palazzi e le chiese raccontavano, e lo fanno ancora, quello che fu la città un tempo, la sua ricchezza commerciale, il legame con la religione cattolica. Dopo pochi metri mi trovai all’inizio della Rua de Sao Bento, dove abitava Alceu. Il ragazzo chiamò dalla strada il nome del cantante; da un balconcino in ferro battuto si affacciò un suo amico musicista e successivamente Alceu, tutti in bermuda e t-shirt, tutti felici dell’arrivo di questo gringo, pronti a mostrarmi le bellezze della loro città e della regione. Alceu disse: «Italiano! Benvenuto». E mi invitò a salire. Salutai il mio accompagnatore ed entrai. Il primo ricordo di Olinda fu il vento caldo che soffiava sul balconcino di casa, la luce della luna piena tra due palme da cocco, l’argento dell’oceano increspato. Alceu mi disse di sistemare lo zaino vicino all’amaca sulla quale avrei dormito e di prepararmi per la cena. L’indomani avremmo raggiunto l’isola di Itamaracà per fare un po’di mare e divertirci. Ma questa, amici di Musibrasil.net, è ancora un altra storia...