AVVENTURE DI UN BRASILIANO PER LO STIVALE Scusi, dove fica il duomo? (seconda puntata)
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Documenti, prego! Il
viaggio prevedeva la tratta Lisbona – Barcellona, e da lì Firenze. Comunque,
una figata. E risolve parecchi problemi di pernottamento… Ma
è in Francia dove si capisce fino in fondo la differenza tra un
passaporto comunitario e uno "extra-comunitario". Oh,
logicamente, svizzeri, australiani e americani non sono considerati
extra-comunitari. A dire il vero, anche canadesi e neo-zelandesi sembrano
essere immuni a questa “malattia”. Gli
altri passaporti, in
particolar modo quelli sudamericani, provocano una strana reazione
allergica sui poliziotti francesi, che a grosso modo presentava questi
sintomi: ·
Improvviso
sproloquio ad alta voce totalmente privo di senso, seguito da un grosso
articolare di domande senza la minima intenzione di ottenere risposte. ·
Spasmi
muscolari incontrollati sulla mano che tiene il passaporto con forte
propensione a sbatterlo sull’altra mano o, in alternativa, sulla testa
del proprietario. ·
Incontrollabile
pulsione a sfrucugliare valigie (meglio se disfando tutto e
togliendo tutto il contenuto), tasche, e… capelli. Non si capisce cosa
cerchino, dal che si desume che codesti gorilla si rifacciano a qualche
rito ancestrale, come la ricerca di pidocchi. Naturalmente è un chiaro
segno d’amicizia. Viaggiando
insieme ai sudamericani, ma con passaporto italiano, ci si sente una
specie d’alieno. Tanto da voler rivendicare identico trattamento. E pensavo:
alla prossima glielo metto in mano. Il passaporto brasiliano, intendo. Ma
l’essere sudamericano ci insegna anche a non fare gli stupidi. Il
poliziotto, da noi, più basso di grado è, più casini ti combina. Ma
tutto ciò provoca una strana frustrazione. Non
mi capita spesso di sentirmi così codardo, e i francesi riescono persino
a farmi vergognare del doppio passaporto. Siamo tutti lì, pronti a
mettere mano alla parete e a farci perquisire, che mi sento male quando
capisco che mi basta il colore rosso comunitario della copertina per farmi
riavere. Non
è mica una questione di look, sapete. Arrivavo da 3 mesi in Marocco, e
tutto ero tranne che uno con l’aspetto rassicurante. Ma
tanto sarebbe stato lo stesso: per i poliziotti francesi, la sudamericità
è una malattia. Contagiosa.
Beh,
in un anno d'Europa la “questione soggiorno” proprio non mi è mai
stata posta. Tranne che in Marocco, ma i marocchini sono particolari. Altra
testa. Comunque,
ben presto ‘sto benedetto passaporto avrebbe fatto vedere i suoi
limiti… “Atensciòn,
frontiérr, passports, si vus pléé” Ok. Ventimiglia. Che
cavolo di nome è? “Twenty
miles from here”… Sa
il cavolo, appunto. Non
mi ricordo il giorno, ma era un sabato pomeriggio. Italia, terra del sole
e del mare, e… una pioggia della madonna. Tutti
giù, gridano i francesi. E noi scendiamo. Anzi, a dire il vero, sono
l’unico che fermano. Tutti gli altri si avviano. La
solita dogana, la solita doppia fila, “comunitari”, “stranieri”,
e… no: “stranieri” e “italiani”. Adesso
dove vado, cazzo? Il
passaporto è italiano. Io no, ma… ma sì, in coda con gli italiani. Sono
a casa. O
almeno sembra. Tanto basta… Ma,
dico, avete mai guardato bene l’uniforme dei carabinieri? Giuro, dei
cappelli così li avevo visti solo nei film sulla Seconda guerra. Ma li
indossavano i gerarchi tedeschi. Per
dire che il bel tipo col cappello non mi faceva proprio una bella
impressione. Mi
guarda, vede la “famosa” copertina rossa del passaporto che mi dava
“carta bianca” ovunque, e... mi indica, seccato, l’altra fila. Protesto,
invano, quello è inflessibile. O almeno lo è il suo dito. Dritto ritto
inflessibile nella fila degli stranieri. Non capisco, ma obbedisco.
Eccomi, sto andando, calma, non vorremo guastare la mia visita già al
portone d’ingresso, no? Cinque
o sei soldati per ogni “entrante”, alcuni che somigliavano alle SS e
altri a soldati comuni. Sempre tedeschi, per me. Più tardi seppi che
erano finanzieri. Ma la mente, allora, andava ai film di guerra, e non mi
vedevo dalla parte dei fortunati… Eccheccazzo, proprio qui mi
fanno storie? Arrivo,
finalmente. Il
soldato semplice apre il mio zaino senza tanti complimenti e
s’incaponisce nel cercare qualcosa di nascosto nella jlaba (mantello
marocchino col cappuccio a punta che sono faticosamente riuscito a
comprare dopo una trattativa di un pomeriggio). L’ufficiale
delle SS mi chiede, in perfetto inglese, il passaporto. Glielo
dò. Lo guarda. Me lo restituisce. E mi chiede il passaporto.
Glielo dò. Bel giochino, eh? Quando finisce? Ecco,
vedo che quello che provoca il passaporto sudamericano ai francesi,
provoca quello italiano agli italiani. Valli a capire. Mentre
continua a parlare in modo incomprensibile (ueh, ma non parlavi
inglese?), continua a chiedere il passaporto. Dettaglio:
non sapevo una mazza di italiano, ma non ero mica nato ieri! Se il
passaporto sudamericano fa incazzare i francesi, magari con
questi… e gli metto in mano quello brasiliano. Miracolo!
S’è ricordato di parlare inglese. Adesso capisco cosa dice, ma, giuro,
una non capisco una mazza di quello che vuole: cazzo, mi chiede:
“dov’e’ il timbro di entrata in Francia?”, e anche: “da
dove sono entrato in francia?” Beh, da Barcellona. E, prima,
Lisbona. Mica
contento, il tenentino della SS, voleva i timbri. Ma
quale cazzo di timbro, dico io, ho usato tutto il tempo questo
passaporto bello rosso comunitario con scritto repubblica italiana qua!!! E
che, uno se la cava così? Manco per niente. Tenentino e soldato semplice
mi scortano “gentilmente” fino a una stanzetta dove posso, finalmente,
passare un bel po’ di tempo a ammirare la pittura scrostata dalle
pareti. Sicuramente Leonardo o Michelangelo… Dopo
un po’, no, che dico, un bel po’, arriva il tenentino con uno che
sembrava il tenentone. Aveva il cappello un po’ più alto. I gradi forse
si misurano così, vallo a sapere. Mi restituisce i due passaporti, mi
chiede di accompagnarlo (ueh, i tenentoni parlano inglese), e poi mi
congeda. Lasciandomi in coda esattamente alla stessa fila per
stranieri di prima. Dai,
che non è venuta bene la prima, il tenentone non ha partecipato,
rifacciamo tutto il giro!!! Sapete,
essere brasiliano ti dà certi vantaggi. Come uno spiccato sarcasmo. Che,
qui, credevo stesse per crollare davanti al capolavoro sarcastico del
tenentino e del tenentone. Arrivo.
“May i have your passport, please”?, E ora quale cazzo
gli do? Béccati tutt’e due, allora, deciditi, cazzo... uela, si
è deciso, posso andare avanti, finalmente… dove? Strike,
mister. Strike. Welcome
in Italy. Fanculo tu e il tuo inglese...! Sorridente,
of course.
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