I
“Mondo Candido”, un trio composto da Luisella alla voce, Simone
Marrucci alle chitarre e Alessandro Querci al basso, sono una
stimolante nuova realtà della scena musicale italiana che si inserisce
nel fiorente filone della lounge music. Esplosi quest’anno con il
cd “Moca”, sono in realtà titolari di vari single e hanno al loro
attivo perfino un accattivante video. Il loro sofisticato approccio al
patrimonio sonoro nazionale degli anni ’60 e ’70 ha una ossatura
melodica e ritmica tipicamente bossanovistica che ha attratto la
nostra attenzione e ci ha convinto ad affrontare con loro l’argomento
“lounge latina” e influenza brasileira. In fondo attraverso di loro si
riscopre con tutta evidenza che la musica nel nostro paese ha avuto da
sempre una sorta di affinità elettiva con il Brasile, e anche senza affrontare
direttamente standard di quella tradizione, è sempre stata coscientemente
e maliziosamente intrisa di umori lusoamericani.
Alessandro
Querci si è prestato al gioco dell’intervista nella veste
di portavoce del gruppo e ci offre qui di seguito un rapido sguardo al
“dietro le quinte” della band...
Ci
racconta come si è formato il gruppo e come siete arrivati prima ai vari
dischi singoli e poi al primo cd? Qual è il percorso di formazione, la
"storia sonora" dei componenti del trio?
Storie differenti per ognuno di noi: Luisella viene da un ambito
prevalentemente pop-rock e ascolta prevalentemente musica italiana;
Simone ha una solida formazione jazz essendosi diplomato al Musician
Institute di Los Angeles e ha subito intrapreso la strada del
professionismo. Il mio percorso è invece permeato di contaminazioni: ho
cominciato a suonare studiando musica classica, ho continuato da
autodidatta, ho fatto il dj, ho lavorato per molto tempo nel campo delle
arti visive. Io e Simone siamo amici di vecchia data e soltanto di recente
abbiamo preso la decisione di far qualcosa insieme, musicalmente parlando.
Così, tre anni fa, abbiamo messo su un trio strumentale, basso chitarra e
batteria. Il repertorio era composto sia da brani originali che
rielaborazioni di colonne sonore, repertori soul-jazz, latin, insomma una
dimensione molto jazzy-cocktail anni '60. Durante le esibizioni nei
club si sono avvicendati diversi ospiti e tra questi alcune cantanti. La
gente ha cominciato a interessarsi, sono arrivate proposte di produzione.
Il progetto ha progressivamente cambiato forma, si é aggiunta Luisella,
ci siamo interessati al repertorio italiano, fino a concretizzarsi in
Moca.
Il vostro rapporto col mondo
"latin" è filtrato da una gran varietà di esperienze,
dall'interpretazione della musica leggera e da film italiana e del pop e
jazz americano: come vedete la musica popular brasileira e la bossa-nova
in questo contesto? C'è qualche artista di questa cultura che vi colpisce
particolarmente?
Sono molto legato al mondo della bossa nova, ma mi ci sono avvicinato
attraverso gli intrerpreti e "traduttori" del jazz degli anni
'60. Lo stesso vale per Simone. Questo interesse è incentrato
prevalentemente attorno a una sola figura, ovviamente parlo di Jobim.
Negli ultimi anni ho molto apprezzato i lavori di Caetano Veloso, sia
nella contaminazione che nel repertorio più "tradizionale".
Contaminazione è probabilmente la parola chiave... penso ad artisti
diversi, da Eumir Deodato ad Arto Lindsay, Jan Pooley, Suba.
Poi c'è molta musica "leggera" degli anni '60 - '70, Mina, la
Vanoni con Vinicius, anche Fred Bongusto se vuoi, ma soprattutto le
colonne sonore, a partire da Morricone. Questa è senza dubbio la
prospettiva dalla quale guardiamo il mondo musicale brasiliano. Del resto
siamo amici e ammiratori di Barbara Casini, grandissima interprete della
bossa, e non potremmo mai competere con lei...
Cosa pensate del rapporto tra
materiale originale e interpretazione filtrata, se c'è un'elaborazione
consapevole, una "filosofia" precisa alla base del vostro
approccio musicale molto "meticcio" e citazionistico. Mi spiego
meglio: sto cercando di capire la strategia che guida non solo i vostri
arrangiamenti, ma anche la scelta di un repertorio sempre obliquo. Che so:
il Brasile attraverso Mina o Jan Pooley, l'India attraverso Talvin Singh e
il dancefloor...
Non c'è un disegno, una strategia precisa in questo lavoro. Potremmo
dire, semplificando un po', che il nostro obbiettivo (sia nel caso delle
cover che nei brani originali) sta nel creare un mix equilibrato fra suoni
ed atmosfere "retrò" e il mondo musicale attuale. Non vogliamo
fare del modernariato a tutti i costi né crogiolarci in un caleidoscopio
di citazioni per addetti ai lavori. C'è sicuramente una dose d'ironia nel
nostro lavoro ma anche e sopratutto una precisa e accorata adesione al
repertorio che abbiamo scelto, senza prenderne le distanze con un
sorrisino sornione e snob. Ti faccio un esempio: quando abbiamo deciso di
riarrangiare Fortissimo (canzone cantata da Rita Pavone in un vecchio e
"naiffissimo" film della Wertmuller), lo abbiamo fatto perché
quel brano ci appariva realmente bellissimo, al di là delle strizzatine
d'occhio furbescamente loungy. Temevamo di non reggere il confronto con la
luminosità di quell'interpretazione. Abbiamo cercato di riproporla nel
rispetto dell'originale, ma con un gusto, per così dire, contemporaneo.
Crediamo - senza falsa modestia - di essere riusciti nel nostro intento,
addirittura ti confesso che per me è uno dei punti più alti del disco.
Per ciò che riguarda l'aspetto "obliquo", non è frutto di una
ricerca fatta a tavolino, semmai una sorta di "predisposizione"
acquisita negli anni. Il frutto di ascolti e frequentazioni musicali assai
diverse fra loro.
E' vero, come si dice in giro, che
il lounge è già morto?
E' una voce messa in giro da Gianni Morandi che è notoriamente,
invidioso... o soltanto un'ennesima occasione per continuare (o
cominciare) a parlare di lounge. Ricordo che a metà degli anni 80 correva
voce che fosse morto il rap... poi arrivarono i Run Dmc. E che vogliamo
dire del jazz? Si pensava fosse morto assieme a Charlie Parker. Proprio
ieri sera mi sono casualmente imbattuto in un programma televisivo
incentrato sulla parola "vintage" nella moda, nel costume, nel
cinema. Hanno intervistato, tra gli altri, e dandogli molto spazio, il
direttore della rivista "il Giaguaro", vero e proprio manifesto
del lounge. Nei negozi di dischi fioccano come non mai compilation
raffazzonate come "Asian Lounge", "Lounge Cafè" e
altre. Negli stessi negozi, ma anche nei grandi magazzini, trovi
addirittura lo scaffale dedicato al lounge. Crediamo che il Lounge stia
semplicemente diventando più "popolare".
Avete intenzione di esplorare in
modo più diretto le commistioni storiche tra samba-bossanova e pop
italiano? Ci sarebbe molto materiale da ripescare al di là dei soliti
noti, e fa piacere vedere che non sono solo Fantastic Plastic Machine e
altri eminenti stranieri a tirare a lucido gioiellini come ad esempio
"In viaggio attraverso l'Australia" di Piero Piccioni. Ci può
parlare di qualche particolare progetto di recupero di vecchi classici che
avete in cantiere?
Adoro il lavoro di DJ Tanaka! Ricordo bene quel brano... e anche il film
dal quale è tratto. Per ciò che riguarda noi, come ho già detto non
vorremmo essere visti come quei saputelli che tirano fuori il coniglietto
dal cappello a cilindro per stupire, o meglio ancora lusingare, il palato
fine di qualche critico musicale dal piglio snob. Ci sono già altri che
lo fanno benissimo, lo dico con tutto il rispetto. Abbiamo molti brani
"nel cassetto", che non appartengono necessariamente a quel
filone. Stiamo riflettendo. C'è un po' di tutto, da Marino Barreto Jr. a
Marcella Bella, da Sergio Endrigo a Loredana Bertè. Il mondo potrebbe
essere pronto per una versione soft di "Self Control". Chissà,
magari non sapremo resistere alla tentazione di rispolverare qualche cosa
un po' nascosta di Micalizzi.
La bossa non ha di che temere, abbiamo già molti altri brani originali
che vanno in quella direzione, che in definitiva è quella che ci è più
congeniale, sopratutto a livello compositivo.
Quale futuro per il Mondo Candido?
Faremo una serie di concerti nei principali centri italiani nei mesi di
novembre e dicembre. E' inoltre
in uscita un'edizione di Moca molto particolare, si tratta di un doppio
vinile con un EP 12 pollici extra contenente quattro brani non inclusi nel
disco, tutte cover, due dei quali risalgono al primo periodo, quello
strumentale.
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