L'"ultimo mondo" di Buscapé Esce in Brasile "Cidade de Deus", affresco della omonima favela di Rio
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“Se
correr o bicho pega, se ficar o bicho come”.
Se corri la bestia ti prende, se resti la bestia ti mangia. In
altre parole: non c’è via di scampo. Questo modo di dire molto comune
in Brasile è senz’altro la principale chiave di lettura del film "Cidade
de Deus", co-diretto dal pubblicitario paulista Fernando Meirelles
insieme alla regista Katia Lund, anche lei originaria di São Paulo
ma da tempo trasferitasi a Rio ove è diventata una profonda conoscitrice
del mondo delle favelas. La
sceneggiatura è tratta dal libro dello scrittore e sociologo Paulo
Lins e racconta gli ultimi trent’anni di storia della malavita della
favela Cidade de Deus, dove lo stesso Paulo Lins è nato e cresciuto. Il
film è un collage di personaggi ed eventi il cui filo conduttore è dato
dalla storia personale e dai racconti di Buscapé, un bambino che
diventa adulto coltivando la passione per la fotografia e il desiderio di
vivere la propria vita al di fuori del clima di violenza e miseria che
permea la quotidianità della favela. Buscapé
è una sorta di testimone involontario di quel mondo assolutamente a parte
che è la favela, un mondo che è un misto di arcaico tribalismo e di
modernità apparentemente “importata” dalla società civile
circostante. Il film non nasconde l’ambizione di essere una metafora
della storia recente della criminalità di Rio de Janeiro, la sua
evoluzione e professionalizzazione, coincidente con l'avvio del traffico
di droga, per arrivare all’attuale guerra di bande che insanguina morros
e favelas della Cidade Maravilhosa (le statistiche più recenti parlano di
cinquecento omicidi al mese nello stato di Rio, uno ogni ora e tre quarti
ma fino al luglio scorso si parlava di uno ogni ora). Il
racconto è suddiviso in tre periodi, contraddistinti da fotografia e da
montaggio differenti. La prima parte è relativa agli anni sessanta e
all’inizio del decennio successivo. In questa sezione la fotografia è
ricca di toni caldi, le scene inquadrate con rigore e il montaggio forbito
e lineare. Il periodo successivo, quello sugli anni settanta e i primi
anni ottanta, è caratterizzato da una fotografia più colorata, vagamente
psichedelica, dall'uso manuale della macchina da presa in alternativa al
carrello e dal montaggio un po’ meno lineare. L’ultima parte è invece
volutamente caotica e quasi destrutturata, con macchina da presa in
costante movimento, montaggio veloce e poco rigoroso, fotografia cruda e
apparentemente incurante del tipo e della qualità di illuminazione delle
scene. Una rappresentazione del caos indotto dalla cocaina, secondo il
regista. Nel
complesso l’estetica del film è fortemente influenzata dall’attuale
linguaggio televisivo e, per ciò che riguarda l’impostazione della
sceneggiatura, dalla cinematografia di Quentin Tarantino. Le
musiche ricalcano il periodo storico via via preso in esame dalla
narrazione e le citazioni spaziano da Cartola a Tim Maia,
ma tranne che in alcuni momenti non sono mai protagoniste, anzi
forse un po’ sottotono pur essendo di indiscutibile qualità. Per la
selezione del cast, in buona parte composta da attori non professionisti e
ragazzi che non hanno mai avuto esperienze di recitazione, è stata creata
un associazione con sede in centro città per raccogliere le candidature
di tutti coloro che erano intenzionati a partecipare al film. L'obiettivo
era di operare la selezione in un ambiente “neutro” e poter quindi
testare ragazzi provenienti da un po’ tutte le favelas di Rio senza
condizionamenti “ambientali” di qualsiasi tipo. In questo modo, ad
esempio, ragazzi provenienti da favelas dominate da bande rivali hanno
potuto lavorare insieme senza paura di rappresaglie e la produzione non ha
ricevuto pressioni eccessive. Alla fine il gruppo più numeroso è
risultato quello proveniente dalla favela del Vidigal, ove è attiva una
ottima e frequentatissima scuola e compagnia di teatro all’interno della
associazione culturale Nós Do Morro. E proprio in omaggio al contributo
dei Nós Do Morro
l’associazione istituita per il casting è stata chiamata Nós Do Cinéma,
è tuttora attiva e si è trasformata in una scuola di cinema soprattutto
per ragazzi che vivono in aree povere della città. Katia Lund è
l’instancabile anima di questa nuova comunità. L’attesa
per l’uscita del film in Brasile dopo il debutto a Cannes, dove ha
partecipato fuori concorso, era molto alta come testimoniato dalle lunghe
file al botteghino. La partecipazione nella produzione della Videofilmes
di Walter Salles ha senza dubbio facilitato la distribuzione ad opera
della Lumiere, la più forte società di distribuzione brasiliana, la
circolazione nelle numerose sale del circuito Unibanco, di proprietà
della famiglia Salles, e un’ottima campagna mediatica. Inoltre la
partecipazione a Cannes ha prodotto un contratto di distribuzione con la
Miramax che ha copertura mondiale e che, molto probabilmente, farà
concorrere il film per l’Oscar così come fece con “La vita è
bella” di Benigni. Il
soggetto controverso, con poliziotti palesemente accusati di connivenze
profonde con la criminalità, il battage mediatico e l’immagine proposta
al mondo di un Brasile un po’ rimosso dai brasiliani sono alcuni degli
ingredienti che da soli avrebbero comunque garantito un buon successo di
pubblico. Ma a questi va senz’altro aggiunto il taglio moderno e
suggestivo del racconto e le numerose altre qualità di quest’opera, ben
confezionata nel suo insieme. Nel “primo mondo” il marketing insisterà
verosimilmente sulla natura quasi documentaria di questo film fatto con
ragazzi di strada che raccontano il loro terribile “ultimo mondo”. In
questo senso è emblematica la frase di un personaggio che pur essendo
poco più che un bambino proclama la propria maturità: “Não sou criança, não. Fumo,
cheiro, matei, roubei. Sou sujeito-homem.” (Non
sono un bambino. Fumo, sniffo, ho ucciso, ho rubato. Sono un uomo.) Non
bisogna tuttavia dimenticare che si tratta di un prodotto di finzione, un
po’ come una storia di gangster in un film statunitense, e non un
documento sulla realtà. Per privilegiare gli aspetti più spettacolari o
forse per l’enormità delle problematiche in gioco sono stati esclusi
dal racconto molti elementi importanti, indispensabili per offrire un
quadro realistico del mondo raccontato. Gli attori principali sono quasi
tutti professionisti. La voce fuori campo di Buscapé viene a volte usata
per colmare i vuoti d’informazione più macroscopici, ma questa scelta
appare un po’ come una resa di fronte alla difficoltà di offrire una
storia completa attraverso il racconto filmico vero e proprio. Nel
film manca quell’universo di persone che compone la favela perché in
realtà banditi e malandri sono un’esigua minoranza immersa in
una società ben più ampia che nulla ha a che vedere col crimine. Si è
rinunciato anche a una visione sociologica obiettiva: se infatti è vero
che la società brasiliana rimuove l’esistenza delle favelas, è anche
vero che i loro abitanti e gli stessi trafficanti sono profondamente
influenzati da ciò che succede al di fuori, nelle mode come nella
struttura sociale e nella vita di tutti i giorni, mentre il film
rappresenta la favela come una specie di isola chiusa in se stessa. Lo
stesso traffico di droga non potrebbe esistere senza il mondo al di fuori
della favela e, in ultima analisi, le favelas stesse sono in realtà
prodotte dal mondo “al di fuori”. Inoltre è assente una visione storico politica indispensabile per spiegare certi fenomeni importantissimi e peculiari quali le grandi associazioni criminali che governano le stesse favelas e che nel film sono ignorate. Non che i singoli personaggi del film appaiano poco credibili: è la visione d’insieme che nella sua parzialità e, a tratti, superficialità offre un quadro sostanzialmente fuorviante e avulso dalla realtà, soprattutto a partire dalla seconda metà del racconto. Cidade de Deus non è che una delle centotrentasei favelas carioca dominate dal Comando Vermelho, un’entità ben più consistente, articolata e complessa di quella delle bande rappresentate nel film, tanto che la sua realizzazione è stata possibile solo grazie alla personale conoscenza della regista di alcuni trafficanti di alto livello, oltre che di rappresentanti politici della stessa favela.
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