L'infanzia negata dei meninos de rua Intervista a don Renato Chiera a cura di Laura Rebecchi |
Don
Renato Chiera è un prete di Mondovì che da anni opera in Brasile, a Rio
de Janeiro,
nella Baixada Fluminense, uno dei quartieri più poveri e pericolosi del Brasile.
Ha iniziato ospitando i bambini di strada in casa sua, per poi fondare la “Casa
do Menor”, che oggi accoglie circa 1200 bambini, ventidue comunità, tre
asili,
otto scuole, sedici officine professionali, otto case famiglia, tre mini
ambulatori e sei
case di passaggio. Ogni
giorno vive e lotta accanto ai bambini di strada, mettendo a rischio la
sua vita pur di
difenderli dagli squadroni della morte e dar loro un futuro. Perché
la strada? Che cosa rappresenta per i bambini? Forse la libertà, la
possibilità di scegliere? E’ la libertà dai bisogni: vivi in una baracca, in una fogna ed invece qui vivi dove vuoi, sulla spiaggia, tra i negozi. E’ una scelta forzata da una situazione terribile: i bambini non scelgono di vivere in strada, sono costretti dalla loro disastrosa situazione familiare e sociale; in questa situazione disastrosa, la strada rappresenta una buona scelta perché li aiuta, o almeno lo credono, ad uscire dalla miseria. Vanno in strada perché è più bello della realtà disumana a livello affettivo, morale ed economico in cui vivono, è spesso l’alternativa ad una vita di stenti. Quando parlo di ventre materno della strada, voglio dire che in una situazione dove la scuola non li accoglie, la famiglia li accoglie male, spesso con violenza, fanno la fame, non sono amati, la strada li accoglie invece come un ventre di una mamma che non li giudica. Nella strada, inoltre, incontrano altri bambini nella loro stessa condizione e lì si crea una relazione di fiducia, di sicurezza, di protezione. Allora
è meglio in strada piuttosto che in famiglia… No, assolutamente. Quando noi diamo loro una famiglia, loro dicono: “Qui
è molto più bello che in strada, dove ci sono molti pericoli, non sapevo
se avevo da mangiare, avevo freddo”. E quando arrivano, mangiano molto e
se gli si dice “non c’è bisogno di mangiare tutto così, perché
domani ce n’è ancora”, loro ti rispondono “ce n’è ancora
domani?”. Quando capiscono che la casa dove sono dà sicurezza, quando
trovano una casa normale, capiscono che la casa è meglio della strada,
che la casa offre un futuro anche per loro. La
grave situazione economica del Brasile ha sicuramente aggravato il
problema dei meninos de rua... In Brasile la situazione sociale ed economica è disastrosa e colpisce
soprattutto le famiglie meno abbienti, alla miseria materiale si unisce
così la miseria morale accompagnata dall’alcolismo, dalla violenza e
dalla solitudine. I bambini vogliono vivere e non trovano in famiglia la
vita, non si sentono accettati, non si sentono amati; non possono vivere
nella scuola, perché molti non hanno la possibilità di frequentare la
scuola, come non hanno possibilità di lavorare perché di lavoro ce n’è
poco ed il salario è bassissimo. La strada diventa l’unica alternativa
per vivere, l’alternativa alla disperazione. Comunque
l’andare in strada è sempre una loro scelta.. Non
sempre. A volte è il bambino che sceglie la strada, altre no: ad
esempio, incomincia ad andarci perché la mamma non è presente durante
tutto il giorno, per motivi di lavoro, allora lo lascia in strada a fare
qualche lavoretto, vendere caramelle o sigarette, chiedere l’elemosina,
lavare i vetri, pulire le scarpe; così incomincia a fare amicizie, a fare
gruppo. Quando
parla di miseria morale, intende anche il gravissimo problema della
disgregazione famigliare? Certamente, c’è un notevole aumento della violenza famigliare,
soprattutto sessuale, il patrigno che stupra la bambina, e la mamma deve
accettare questa situazione, per non rimanere da sola in un mondo crudele
con i più deboli. La famiglia, spesso, non è più in grado di
trasmettere valori e ciò porta velocemente alla disgregazione famigliare
e, più in generale, alla disgregazione sociale che genera i bambini di
strada. Non
mi sembra però che la strada rappresenti la soluzione ideale, per i
ragazzi che scappano da situazioni famigliari insostenibili. Non è come
cadere dalla padella alla brace? I bambini in strada si organizzano e trovano quella sicurezza che la loro
casa non gli offriva, si sentono forti, fanno gruppo e diventano spesso
violenti; ci sono delle regole da seguire, dei capi cui ubbidire, invidie
e vendette, poi incontrano la violenza della strada, perché la polizia li
bracca, li prende e li picchia. I meninos de rua diventano pericolosi per
la società, perché rubano, assaltano i turisti, ostacolano il commercio;
la società è in genere contro i bambini di strada, li vede come un
pericolo ed allora ecco la nascita degli squadroni della morte. A
questo punto, per i ragazzi, la strada si trasforma da ventre materno in
disperazione, fuga, luogo di morte. Che cosa resta loro da fare? Quando sentono che la strada è diventata cattiva, pericolosa, cercano
un’alternativa che risponda alla loro sete di vita. Loro vogliono essere
amati, accolti, perché non sono amati e chi non è amato non si stima,
non sente che ha un valore; per questo sono aggressivi, per gridare al
mondo che loro non sono amati, e per questo vogliono vendicarsi con tutto
il mondo per far sapere che anche loro esistono, che anche loro hanno
diritto ad avere qualcuno, una famiglia. Nella strada tentano di
riprodurre la famiglia, questi bambini, pur essendo fuggiti a causa della
loro triste realtà famigliare, hanno talmente sete di famiglia che anche
nella strada cercano di ricostruirla. Che
cosa rimane dell’infanzia in un bambino di strada? Il bambino di strada brasiliano, diventa adulto troppo in fretta, perché
deve pensare a cose cui noi pensiamo normalmente verso i venti,
venticinque anni. Spesso non c’è tempo per giocare, perché la realtà
non rispetta l’infanzia, uno degli slogan più gridati dai meninos de
rua, durante le manifestazioni di protesta dice: “Abbiamo il diritto
d’essere bambini”. Anche
la lotta, lo stare uno addosso all’altro può essere considerato un
gioco corporale.. E’ forte la necessità di toccarsi: è per sentirsi, per essere a
contatto con la pelle di un altro; spesso subentra la violenza e il
toccarsi si trasforma in lotta, anche in questo caso il gioco nasconde
delle altre valenze, c’è un bisogno innato di essere amati, anche per i
più grandi, perché non hanno mai vissuto la realtà del seno materno,
non sono mai stati presi in braccio, vogliono sentire il contatto con il
corpo. Occorre
puntare molto sull’importanza che il gioco corporale ha su questi
bambini, il teatro, ad esempio, riveste un’azione molto importante
sull’educazione del bambino: nel teatro loro buttano fuori quel che
hanno dentro e mentre fanno teatro dicono chi sono e rivivono le scene,
soprattutto quelle violente, che hanno vissuto in strada; in questo modo
si liberano, a questo punto è possibile iniziare con loro un cammino di
ricostruzione, dopo questa presa di coscienza. Sicuramente il modello consumistico occidentale è molto più forte dove
c’è povertà, piuttosto che dove c’è ricchezza, perché la maggior
parte della gente è esclusa da quel modello, non potrà mai raggiungerlo;
ma nelle telenovele il modello proposto è sempre quello, anche al bambino
piacciono le telenovele, perché lo fanno sognare. Alla domanda: “perché
in Brasile ci sono più televisori che frigoriferi?”, una donna rispose:
“che me ne faccio del frigo, se poi non ho niente da mangiare?" La
televisione per lo meno mi aiuta a sognare”. Per i meninos de rua non esiste il futuro, vivono il minuto, loro non
programmano niente perché il futuro è un’incognita; occorre dar loro
fiducia nel domani, insegnargli a sperare e creare per loro le condizioni
per costruire un futuro. Il bambino non vede un futuro per se stesso, il
futuro comincia a pensarlo e programmarlo quando vive un’altra realtà,
diversa dalla strada, quando c’è un progetto che lui accetta
consapevolmente; è un lavoro di ricostruzione della personalità, di
rafforzamento dell’autostima per far capire loro che hanno un valore,
un’importanza.
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