CONVERSA NO QUINTAL Storia
della manioca, "pane della terra"
|
La
colonizzazione del Brasile da parte dei vari popoli che vi hanno
contribuito ha lasciato profonde tracce anche nella cucina tradizionale,
dall'Acre al Rio Grande do Sul, senza alcuna eccezione. Molti piatti e
alimenti di origine soprattutto europea e africana sono infatti stati
assorbiti nella dieta alimentare dei nostri antenati, soppiantandone molti
elementi originari. Da questa contaminazione è tuttavia rimasto abbastanza indenne il bacino del Rio Amazonas. I principali cibi consumati nelle grandi occasioni, e non solo, sono tutti di origine autoctona. Alimento basilare della cucina tipica di questa regione è ancora oggi la mandioca (manioca), ossia il "pane della terra" come la definì Padre José de Anchieta agli inizi del 1500. In verità, tutta l’America latina conosce e usa la manioca, che viene chiamata yuca. Cristoforo Colombo nel 1498 l'ha assaggiata quando si trovava nelle Antille e gli è talmente piaciuta che nel 1505 la portò nel continente africano. Ancora
quattro secoli dopo di loro, nel 1917, Von Martius, botanico
tedesco membro della missione bavaro-austriaca che in quell'anno visitò
il Brasile, descrive una serie di piante "straordinarie" trovate
in Amazzonia e le definisce "oriunde del giardino dell'Eden". In
cima al suo elenco, che includeva piante come il guaranà, il mais,
diverse varietà di patate, la goiaba, l'arachide, la papaia,
l'anacardio, la banana e tante altre, pose una pianta per lui mitica e
considerata la regina della flora locale, chiamata mandioca. La
radice di questa pianta viene utilizzata sia come alimento primario, sia
come materia prima per ricavare una serie di derivati quali la farinha,
il tucupì, la tapioca, l’amido, la fecola, e altri. Il
risultato si può verificare: la farofa, il tacacà, il beijù,
il mingau, il chibé, il caribé e tanti altri cibi,
impossibili da illustrare, ma molto particolari e gustosi. Questa
pianta si presenta in due varietà commestibili: amara e dolce. La mandioca
amarga, molto utilizzata in Amazzonia, con le sue
tre varietà - bianca, gialla e viola -, dà origine alla farinha
e ad altri derivati; la mandioca dôce invece - conosciuta anche
come macaxeira nel nord del Brasile oppure aipim negli stati
del sud - é quella che, oltre ai derivati che se ne ricavano, può essere
utilizzata, una volta cotta, come alimento primario. Nella composizione della mandioca troviamo una sensibile quantità di elementi importanti come la tiamina, il ferro, il calcio. E’ una pianta che si adatta bene ai terreni di bassa qualità per l’alto tenore di potassio che contiene. E’ questa infatti la ragione per cui la manioca impoverisce fortemente il suolo laddove piantata sistematicamente. La
cultura degli indios, che si basa tutt'oggi sulla trasmissione orale di
leggende, credenze e superstizioni, ha come elemento dominante la necessità
di giustificare (ossia fornire una spiegazione "fantasticamente
plausibile") ogni cosa o fenomeno che faccia parte della loro vita.
Il timore e il rispetto che gli indios coltivano nei confronti del
"soprannaturale" e delle sue manifestazioni nella natura ha
fatto sviluppare in loro una grande capacità inventiva e narrativa in tal
senso. Non può quindi mancare una serie di leggende indigene
sull’origine della mandioca. Fra le varie versioni – Mura,
Ketereko, Pariqui, Maues, e altre - abbiamo scelto la seguente. "All'interno
dell'Amazzonia viveva, tantissimi anni fa, il popolo Ipurinã. La
figlia del cacique (capo tribù, ndr) Cauré, di nome Saìra,
era la più bella delle ragazze ipurinatiba.
La natura le concedeva tanti onori: i passeri la svegliavano al mattino, i
fiori si piegavano al suo passaggio e le spine delle piante la evitavano. Un
giorno, però, rimase incinta senza che fosse stata data in sposa ad alcun
guerriero della tribù. Il dispiacere di Cauré fu immenso. Chiamò la
figlia e chiese notizie del padre della creatura. Saìra ammutolì. La
decisione di Caurè, a questo punto, fu inesorabile. Sarebbe stata bandita
dalla tribù e mandata a vivere in una oca (capanna di paglia,
ndr) in mezzo alla foresta. Sarebbe potuta uscire di lì soltanto dopo il
parto e la morte del "frutto proibito". I
parenti di Saìra
le portavano da mangiare e la curavano. Dopo varie lune,
quando le leggi della natura avevano già completato il proprio
ciclo, nacque una bambina: bianca, con i capelli biondi come il
mais e gli occhi azzurri come il più profondo dei cieli. Tutta la foresta
fu informata dell’evento. Cauré prese la sua canoa e, superando fiumi e
torrenti, si diresse verso il nascondiglio della figlia. Padre
e figlia furono entrambi affascinati dalla bellezza della bambina. Cauré,
anzi, rimane talmente colpito che se ne innamora e dimentica
immediatamente la sua volontà di ucciderla. Alla bambina viene dato il
nome di Manì, ed ella venne accolta con gioia nella tribù. Cauré
passava
ore a contemplare la bellezza radiosa della bambina. Passate
quattro stagioni delle piogge, Manì
divenne sempre più splendente. Però, una bella mattina di sole, in
cui i passeri, stranamente, erano silenziosi, morì senza nemmeno
ammalarsi. Caurè, disperato,
avrebbe dovuto cremare il corpo della nipote, come era costume della tribù
Ipurina, ma non ne trovò il coraggio. Non essendovi riuscito, ruppe la
tradizione: la seppellì davanti alla porta della sua oca. Saìra,
passava giorno e notte piangendo sulla terra dove era seppellita la sua
povera bimba. Dopo quattro
lune, in quel luogo nacque una pianta sconosciuta, che crebbe e fruttificò.
Caurè ritenne fosse inviata da Tupã per ricordare la nipotina. La tribù,
meravigliata per la nascita di quella nuova pianta, notò che i passeri ne
mangiavano i frutti e se ne ubriacavano. Passate
altre lune, la pianta appassì, perdendo tutte le foglie. Caurè, che
aveva pensato fosse eterna, si dispiacque vedendo la pianta morire. Decise
di sradicarla e vide così uscire grandi tubercoli a forma di corna, in
guisa di radici. Incuriositosi per quelle forme, decise di morderla, e si
accorse così che all'interno aveva lo stesso biancore della pelle
di Manì. Stupefatto ed emozionato per quella scoperta, si mise a
gridare: "manihuaca, manihuaca!" (corna di mani, ndr). Nacque
così, per il popolo Ipurina, in assonanza con quel grido, la mandioca".
L’interpretazione conferita dai cablocos dell’Amazzonia a questa leggenda è che la manioca significa la remissione del peccato d’amore di una india davanti alla morte prematura di sua figlia: viene pertanto dal cielo, dal paradiso. Il suo colore giallastro è ricondotto alla disperazione della madre nel momento tragico della morte della figlia. In questa interpretazione cabocla, si possono già scorgere i primi segni della religione cattolica.
/// |
CONVERSA NO QUINTAL Lenda da Mandioca, o pão da terra
|
A
colonização do Brasil da parte de nações diferentes, deixou
traços profundos também na cozinha tradicional desde o Acre até
o Rio Grande do Sul. Muitos pratos e alimentos, principlmente de origem
europeia e africana, foram absorvidos na dieta alimentar dos nossos
antepassados, suplantando
muitos elementos originais. Desta
contaminação, todavia, a bacia do Rio Amazonas ficou incolume. Os
principais alimentos consumados nas grandes ocasiões, e não somente, são
todos de origem autoctone. O alimento basilar da cozinha tipica desta região
continua sendo a mandioca, ou
seja o “pão da terra” como
a definiu o Padre José Anchieta no início de 1500. Cristovão Colombo em
1498, quando estava nas Antilhas, a provou e aprovou; em 1505, dizem,
levou-a consigo para o continente africano. Quatro
séculos depois, em 1917, Von Martius, botanico alemão membro da comissão
bavaro-austrica que naquele ano visitou o Brasil, descreveu uma série de
plantas “extraordinarias” encontradas na Amazônia definindo-as
“oriundas do jardim do Eden”. Encabeçando a sua lista que incluia o
guaraná, o milho, a goiaba, o mamão, vários tipos de batatas e tantas
outras frutas, estava a mandioca,
planta considerada mítica: a rainha da flora local. A
raiz desta planta é utilizada seja como alimento primário seja como matéria
prima para obtenção de uma série de outros produtos como a farinha, o
tucupí, a tapioca, o amido, etc. Os alimentos derivados são a farofa, o
tacacá, o beijù, o chibé, o mingau, o caribé e tantos outros muito
particulares e gostosos. Existem
duas variedades comestiveis: a mandioca amarga e aquela dôce. A amarga,
muito usada na Amazônia -com suas variedades branca, amarela e roxa-, dá
origem a farinha e outros derivados; aquela dôce em vez, conhecida também
como macaxeira, no norte e como
aipim nos outros estados, é
aquela que, depois de cozida, pode ser utilizada como alimento primário. Na
composição da mandioca encontram-se importantes elementos como a tiamina
(2.000mg), a riboflavina (1.25mg), a niacina (13,00mg), o ferro (15,00mg)
e o cálcio (500mg). E’ uma planta esgotante, daí sua capacidade de produção
até em lugares onde outras plantas jamais viçariam. O seu alto teor de
potássio explica o fato da sua adaptação em terras de baixa qualidade.
É este o motivo pelo qual a mandioca empobrece, fortemente, um solo que
é submetido, sistematicamente, ao seu cultivo. A
cultura dos indios, que se baseia até hoje na transmissão oral de lendas,
crenças, e supertições, tem como elemento dominante a necessidade de
justificar - dar uma explicação “fantasticamente plausivel”- todos
os fenômenos ou coisas que fazem parte da propria vida. O medo e o
respeito que os indios tem do sobrenatural e de suas manifestações na
natureza, fêz com que eles desenvolvessem uma grande capacidade inventiva
e narrativa em tal sentido. Assim sendo, não poderia faltar uma série di
lendas sôbre a origem desta planta; existem versões Mura, Ketereko,
Pariqui, Maués, etc. Eis aqui uma delas: “Muito
tempo atrás, vivia no interior da Amazônia, um povo chamado Ipurinã. A
filha do cacique Cauré, de nome Saíra,
era a mais bela das Ipurinãtiba. Os pássaros vinham acordá-la ao
amanhecer e as flores curvavam-se à sua passagem; os espinhos evitavam-na. Um
dia, porém, ela engravidou sem ter sido dada em casamento a nenhum
guerreiro. O desgosto de Cauré foi imenso! Chamou a filha Saíra e questionou-a sôbre o pai da criança. Saíra emudeceu. A decisão de Cauré
foi inexorável. Ela seria banida da tribo e viveria confinada em uma
oca no centro da mata, de onde só sairia após o parto e a morte do fruto
proibido. Os
parentes de Saíra, com pena
dela, levavam-lhe comida e tomavam conta da sua gravidez. Depois de varias
luas, quando a lei imutável da natureza completou o seu ciclo, nasceu uma
menina: pele alva, olhos azuis como o mais profundo céu, cabelos louros
como espigas de milho. A floresta inteira foi informada do acontecimento
que causava deslumbramento. Cauré pegou
sua canoa e, superando rios e igarapés, dirigiu-se ao esconderijo da
filha. Seja
Saíra que Cauré
ficaram fascinados pela beleza da criança. Êle se apaixona imediatamente
pela neta e esquece a vontade de mata-la. Deram-lhe o nome de Mani
e regressaram para a tribo onde foi acolhida com alegria. O velho cacique
ficava horas esquecidas em êxtase, contemplando a radiosa beleza da
netinha. Passaram-se
quatro épocas das chuvas e Mani crescia
cada vez mais esplendida. Uma
manhã de sol radioso quando, estranhamente, os passaros ficaram
silenciosos, Mani expirou, ante o desespero impotente de Cauré.
Era costume da tribo Ipurinã cremar seus mortos, mas Cauré,
desesperado, não encontrando coragem, quebrou a tradição e enterrou a
netinha na entrada da sua oca. Saíra
passava dia e noite chorando sôbre a terra onde tinham enterrado sua
filha Mani. Passaram-se quatro luas e daquela terra nasceu uma planta
desconhecida que cresceu tranquilamente
aos olhos de toda a tribo. Cauré
pensou fosse uma dadiva de Tupã para lembrar a netinha. Notava-se porém
que os passaros que comiam seus frutos se embriagavam. Depois
de algumas luas a planta começou a perder as folhas. Cauré
julgava que fosse eterna
e ficou triste pensando que a planta tinha morrido. Resolveu então arrancá-la;
ao fazê-lo, viu surgir, à guisa de raízes, grandes tubérculos que
pareciam chifres. Curioso, resolveu morde-los descobrindo assim que dentro
era branca como a pele de Mani,
maravilhado começou a gritar “manihuaca”, “manihuaca” (corna di
Mani). Nesce
desse modo, para o povo Ipurinã, a mandioca ” Na interpretação dos caboclos, a cor branco-amarelada da raiz significa o desespero da mãe no momento tragico da morte da filha; a morte prematura da criança significa a remissão do pecado de amor da india. E’ claro que esta interpretação ja contém o “virus” da religião catolica.
|