Recensioni

 

ZUCO 103

Tales of High Fever

GILBERTO GIL

Kaya N'gan Daya

JORGE VERCILO 

Elo

 

DANTE OZZETTI

 

Ultrápassaro

SERGIO MENDES

 Equinox

 MONDO CANDIDO

Moca

 

 

Zuco 103 - "Tales of High Fever"
Ziriguiboom/Crammed Discs - 2002
Zir 12
****

Eccellente nuovo capitolo degli Zuco 103 questo "Tales of High Fever". Prima di tutto perché mostra come le band europee che hanno bagnato i panni nel Rio delle Amazzoni stanno diventando via via più sottili e aliene da certe ingenuità musicali, privilegiando il dialogo con l'altra sponda dell'Atlantico e lasciandosi ben consigliare da personalità autoctone (in questo caso dal buon Beco Dranoff director della Ziriguiboom, ma anche da Marcos Suzano e da Siba, presenti in più di una traccia). Secondo poi perché il talento vocale di Lilian Vieira, vocalist brasileira trapiantata ad Amsterdam dove ha incontrato i suoi compagni di batucadas elettroniche Stefan Schmidt e Stefan Kruger, sta crescendo a vista d'occhio e minaccia di farla ascendere al ruolo di vera e propria star del pop lusofono. La garota è capace di passare dai registri aspri e graffianti del soul e samba-rock alle malie vellutate della post-bossa davvero senza colpo ferire e a dispetto di chi pensa che un lavoro fortemente elettronico debba mancare di anima, classe e calda umanità. E' vero che nel nuovo lavoro degli Zuco la componente "Trip Hop" e Drum'n'Bass si è molto attenuata, volgendosi a lidi più strettamente afro ed etnici, ma pur sempre di dance altamente energetica si tratta. Dovendo esprimere delle perplessità mi riferirei piuttosto a una certa debolezza di scrittura musicale che affiora qua e là, ma non è il caso di fare troppo gli schizzinosi: questi Zuco sono già una bella realtà. Come nell'esordio di "Outro Lado", ci offrono un menu vario e stimolante, dall'immancabile rifacimento di Jorge Ben ("Bebete Vambora" al posto del precedente hit "O homem da gravata florida"), alle suggestioni nordestine ("Curso de Reclamaçao"), al samba violentemente digitalizzato ("Morro Elétrico"), allo suingue tinto di rock carioca ("Brasil 2000"). Per compiacere il mercato europeo e nordamericano vi sono alcune incursioni nell'inglese che strizzano l'occhio al soul più prettamente statunitense (la "Treasure" di apertura e "Get urself 2gether"), ma nel complesso si esce dall'ascolto davvero soddisfatti. Ce ne fossero di discoteche in cui si balla questa musica senza dover viaggiare fino ad Amsterdam…

(Giangiacomo Gandolfi)

 

Gilberto Gil - "Kaya N'gan Daya" 
Wea - 2002
092742166-2 (70'07'')
****

Dopo il tributo, in studio e dal vivo, al repertorio di Luiz Gonzaga, Gilberto Gil si cimenta in un disco registrato nei leggendari Tuff Gong Studios di Kingston, Jamaica, e quasi interamente dedicato al repertorio di Robert Nesta Marley, la prima superstar terzomondista della musica pop. Quando il termine "world music" non era ancora stato coniato. Del resto, Gil è stato il primo, tra i grandi, a introdurre certe sonorità in Brasile; si ricordi ad esempio una versione di "No Woman, no cry", qui ripresa, già nel disco "Raça Humana". E così abbiamo, in sequenza, "Buffalo soldier", "One Drop" - con un banjo ad aprire le danze, accompagnate dai cori delle originali I-Three - , e poi ancora Waiting in vain, in cui le vibrazioni ultrabasse provengono da un surdo, piazzato proprio in apertura del brano, a fornire il bordone ritmico per tutta la durata del pezzo, che ha anche una coda di pagode, e Bob Marley ne sarebbe stato contento. Ci sono anche pezzi poco noti del repertorio di Marley, come Three Little Birds, un po' nordestina, con sanfona e triangulo; e poi, una nuova versione bilingue di "No Woman, No Cry", accompagnata dai Paralamas al completo, incluso Herbert Vianna. Da segnalare anche "Could you be loved" con la partecipazione dei "rhythm killers" Sly Dunbar e Robbie Shakespeare, nonché di Samuel Rosa e Henrique Portugal degli Skank. Ancora, una versione bilingue di Time Will Tell (Tempo sò), e Lively up Yourself, che diventa Eleve-se Alto No Céu, ambedue ancora con la sanfona di Cicero Assis. Il disco si chiude, e non poteva che essere così, con Lick Samba, con la partecipazione di Rita Marley, sia come solista che ai cori con le I-Three, e il pezzo diventa una bellissima fusione di reggae e partido alto. Tra i partecipanti, magari meno noti, segnalo anche Carlos Malta, che cura anche gli arrangiamenti degli ottoni, e si sente. Un disco molto ben suonato, ben inciso, begli arrangiamenti, rispettosi e anche creativi, ma con un appunto, purtroppo doloroso per chi, e non siamo pochi, ritiene che Gil, il Principe Negro, sia stato la figura più creativa della MPB degli ultimi 30 anni: la voce di Gilberto Gil, in più di un brano, mostra la corda, fatica ad arrivare in cima. Del resto, invecchiamo tutti, e allora godiamoci ancora una volta il genio e la classe di un mostro sacro, con ancora molto da dire. 

(Mauro Montalbani)

 

 

Jorge Vercilo - "Elo "
Emi Music - 2002
537304 2
** 


Cominciamo col precisare che, per quanto praticamente sconosciuto al pubblico italiano, Jorge Vercilo non è affatto un Carneade qualunque. In Brasile può vantare una larga comunità di fan, quattro CD di discreto successo e una lunga presenza in classifica lo scorso anno tra i dieci brani più gettonati con il brano "Em Orbita". Piace il "rapaz" nella terra del samba, e il motivo è presto detto: trattasi di un clone perfetto del Djavan d'annata, quello dell'epoca dell'americanofilo "Birds of Paradise" per intenderci. "O Clone", per citare il titolo di una fortunata serie televisiva che sta spopolando sulla Globo. Anche questo ultimo "Elo" offre un saggio a dir poco imbarazzante di questa transgenicità (peraltro riconosciuta, visto che Vercilo ha già duettato con l'artista di Maceiò e fa vanto della sua affinità elettiva). Il timbro è identico, i vezzi dello scat singer i medesimi, gli arrangiamenti formato fotocopia. Intendiamoci: il lavoro è piacevole, ben fatto e senza troppe sbavature; c'è la giusta dose di levadas funky e un pizzico di sano romanticismo che non guasta, ma quanto a personalità e originalità le tracce sono assai scarsine. Poco male, diranno alcuni, sotto un ombrellone o in un pub in riva al mare (meglio se vagamente tropicale) con la compagnia giusta è il genere ideale e non si può certo pretendere continuamente genialità e ricerca. Ragionamento ineccepibile, che ci rallegra durante l'ascolto dei vari "Homem Aranha", "Suave", "Suspense", "Celacanto" et similia, e che neanche sarà necessario ai Djavaniani doc (per i quali il disco è sicuramente a quattro stelle). Resta il fatto che per il vero conoscitore la copia carbone finisce invariabilmente per far rimpiangere e apprezzare sempre più l'originale…

(Giangiacomo Gandolfi)



 

Dante Ozzetti - "Ultrápassaro"
Gravadora Eldorado - 2001 
957036
**** 


Tra i nuovi nomi espressi dalla scena musicale paulistana, quello di Dante Ozzetti si rivela certamente come uno dei più interessanti. Con questa sua opera prima, "Ultrapássaro" , il chitarrista-compositore di São Paulo ha infatti conquistato il plauso della critica, e uno dei brani in esso contenuti - "Vão" - ha vinto la sezione del Prêmio Visa dedicata ai giovani compositori. Fratello della più nota cantante Ná Ozzetti, chitarrista schivo e non dotato di mezzi vocali trascendentali, Dante sembra farsi interprete delle più nuove tendenze metropolitane provenienti da São Paulo rispettando la tradizionale mistura di ritmi e modelli musicali, ma esasperandone gli accostamenti. Nel disco si possono infatti ascoltare inusuali mescolanze di generi quali choro e baião, e episodi in cui il trombone fa da contrappunto a un sottofondo di gafieira, il tutto a ritmi incalzanti e spesso ripetitivi. A un primo ascolto questa disinvoltura disorienta perché sembra evocare disordine e casualità, ma nelle tracce si avverte una minuziosa attenzione per gli arrangiamenti - curati dallo stesso autore - e una forza espressiva che finiscono per conquistare. Le lacune vocali di Ozzetti sono spesso superate optando per soluzioni corali nelle quali spicca la presenza, come voce solista, della stessa Ná Ozzetti, mentre l'autore riserva per sè brani più intimisti come la bella "Tardinha". Interessanti e mai banali anche i testi, la maggior parte dei quali scritti da Luis Tatit e contenenti allitterazioni e alcune originali soluzioni come il dialogo musicale tra le voci della Ozzetti e di Virgínia Rosa contenuto nella trascinante "Dentro e fora". Per chi ama il pop contemporaneo di estrazione urbana ed è stanco di ammiccamenti in carta patinata alla scena statunitense. 

(Fabio Germinario)

 

 

Mondo Candido - "Moca"
Santeria/AudioGlobe - 2002
San 013
** 


Appare sulla carta appetitoso il progetto di questo giovane gruppo toscano, ben prodotto e curato nei minimi particolari fin dalla copertina vagamente retro. Sì, d'accordo, il Brasile è solo uno degli ingredienti, e per giunta filtrato dalla lezione del nostro pop anni '60 e '70 (vengono in mente Mina e la Vanoni, le nuances samba e Bossanova di Vinicius e Chico Buarque mediterraneizzate da Sergio Endrigo, Gino Paoli, Ennio Morricone, Piero Piccioni, Piero Umiliani), ma la chiave elettronica-lounge sembrerebbe poter redimere la patina di polvere e allineare l'esplorazione sonora a quanto di più stimolante circola negli ultimi tempi in Europa e Giappone in tema di riletture jazzy. L'ascolto, purtroppo, ci riporta con i piedi per terra: al di là di un superficiale perfezionismo e di una indiscutibile professionalità da studio, i brani scorrono via leggeri, senza particolari appigli melodici… là dove la melodia dovrebbe essere il succo del progetto. Tutto scivola in una mediocrità easy listening qua e là spruzzata di momenti garbatamente piacevoli, come nella rivisitazione di "Meglio stasera" a firma Mancini Migliacci e Mercer o nella iniziale "Stupide Parole". Nulla di più. E tutto sommato l'originalità scarseggia visto che le stesse atmosfere, con qualche incanto aggiuntivo, le ritroviamo nel recente "Monaco '74" o nel precedente "Se telefonando" di un altro giovane gruppo di punta del panorama italiano, i Delta V. Ci sono margini di miglioramento con tutta evidenza, e il futuro dei Mondo Candido potrebbe anche riservarci qualche sorpresa se migliorerà la scrittura musicale o verranno affrontate cover di una certa consistenza. Per il momento bisogna accontentarsi di una "Moca" che assomiglia un po' troppo al nescafé…

(Giangiacomo Gandolfi)

 

Sergio Mendes - "Equinox"
UMG-Verve - 2001 - 25'35"
828394122-2
**** 

Il gruppo Verve ha ristampato, in questi anni, diversi dischi del grande Sergio Mendes, come Look Around, o My Favourite Things. In questo Equinox, il suo secondo disco con i Brasil '66, prodotto, come il debutto, dal grande Herb Alpert,, ci sono tutti gli elementi distintivi di quello che, nelle note di copertina, viene chiamato a ragione "Mod Latin Jazz Sound", a partire dal pezzo di apertura, "Chove Chuva ( Constant Rain)", caratterizzata da un sitar che aggiunge un tocco exotic-lounge al pezzo di Jorge Ben. Del resto, il repertorio è più o meno quello tipico del periodo: MPB arrangiata per piacere anche al mercato nordamericano: Molto belli gli arrangiamenti di "Triste", e di "Night And Day". Un disco molto rappresentativo di un sound che, ancora oggi, raggiunge le più recondite zone erogene di molti DJ inglesi, e non solo.

(Mauro Montalbani)