Recensioni
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Tales of High Fever |
Kaya N'gan Daya |
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Zuco 103
- "Tales of High Fever" Eccellente nuovo capitolo degli Zuco 103 questo "Tales of High Fever". Prima di tutto perché mostra come le band europee che hanno bagnato i panni nel Rio delle Amazzoni stanno diventando via via più sottili e aliene da certe ingenuità musicali, privilegiando il dialogo con l'altra sponda dell'Atlantico e lasciandosi ben consigliare da personalità autoctone (in questo caso dal buon Beco Dranoff director della Ziriguiboom, ma anche da Marcos Suzano e da Siba, presenti in più di una traccia). Secondo poi perché il talento vocale di Lilian Vieira, vocalist brasileira trapiantata ad Amsterdam dove ha incontrato i suoi compagni di batucadas elettroniche Stefan Schmidt e Stefan Kruger, sta crescendo a vista d'occhio e minaccia di farla ascendere al ruolo di vera e propria star del pop lusofono. La garota è capace di passare dai registri aspri e graffianti del soul e samba-rock alle malie vellutate della post-bossa davvero senza colpo ferire e a dispetto di chi pensa che un lavoro fortemente elettronico debba mancare di anima, classe e calda umanità. E' vero che nel nuovo lavoro degli Zuco la componente "Trip Hop" e Drum'n'Bass si è molto attenuata, volgendosi a lidi più strettamente afro ed etnici, ma pur sempre di dance altamente energetica si tratta. Dovendo esprimere delle perplessità mi riferirei piuttosto a una certa debolezza di scrittura musicale che affiora qua e là, ma non è il caso di fare troppo gli schizzinosi: questi Zuco sono già una bella realtà. Come nell'esordio di "Outro Lado", ci offrono un menu vario e stimolante, dall'immancabile rifacimento di Jorge Ben ("Bebete Vambora" al posto del precedente hit "O homem da gravata florida"), alle suggestioni nordestine ("Curso de Reclamaçao"), al samba violentemente digitalizzato ("Morro Elétrico"), allo suingue tinto di rock carioca ("Brasil 2000"). Per compiacere il mercato europeo e nordamericano vi sono alcune incursioni nell'inglese che strizzano l'occhio al soul più prettamente statunitense (la "Treasure" di apertura e "Get urself 2gether"), ma nel complesso si esce dall'ascolto davvero soddisfatti. Ce ne fossero di discoteche in cui si balla questa musica senza dover viaggiare fino ad Amsterdam…
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Gilberto
Gil - "Kaya N'gan Daya" Dopo il tributo, in studio e dal vivo, al repertorio di Luiz Gonzaga, Gilberto Gil si cimenta in un disco registrato nei leggendari Tuff Gong Studios di Kingston, Jamaica, e quasi interamente dedicato al repertorio di Robert Nesta Marley, la prima superstar terzomondista della musica pop. Quando il termine "world music" non era ancora stato coniato. Del resto, Gil è stato il primo, tra i grandi, a introdurre certe sonorità in Brasile; si ricordi ad esempio una versione di "No Woman, no cry", qui ripresa, già nel disco "Raça Humana". E così abbiamo, in sequenza, "Buffalo soldier", "One Drop" - con un banjo ad aprire le danze, accompagnate dai cori delle originali I-Three - , e poi ancora Waiting in vain, in cui le vibrazioni ultrabasse provengono da un surdo, piazzato proprio in apertura del brano, a fornire il bordone ritmico per tutta la durata del pezzo, che ha anche una coda di pagode, e Bob Marley ne sarebbe stato contento. Ci sono anche pezzi poco noti del repertorio di Marley, come Three Little Birds, un po' nordestina, con sanfona e triangulo; e poi, una nuova versione bilingue di "No Woman, No Cry", accompagnata dai Paralamas al completo, incluso Herbert Vianna. Da segnalare anche "Could you be loved" con la partecipazione dei "rhythm killers" Sly Dunbar e Robbie Shakespeare, nonché di Samuel Rosa e Henrique Portugal degli Skank. Ancora, una versione bilingue di Time Will Tell (Tempo sò), e Lively up Yourself, che diventa Eleve-se Alto No Céu, ambedue ancora con la sanfona di Cicero Assis. Il disco si chiude, e non poteva che essere così, con Lick Samba, con la partecipazione di Rita Marley, sia come solista che ai cori con le I-Three, e il pezzo diventa una bellissima fusione di reggae e partido alto. Tra i partecipanti, magari meno noti, segnalo anche Carlos Malta, che cura anche gli arrangiamenti degli ottoni, e si sente. Un disco molto ben suonato, ben inciso, begli arrangiamenti, rispettosi e anche creativi, ma con un appunto, purtroppo doloroso per chi, e non siamo pochi, ritiene che Gil, il Principe Negro, sia stato la figura più creativa della MPB degli ultimi 30 anni: la voce di Gilberto Gil, in più di un brano, mostra la corda, fatica ad arrivare in cima. Del resto, invecchiamo tutti, e allora godiamoci ancora una volta il genio e la classe di un mostro sacro, con ancora molto da dire.
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Jorge Vercilo -
"Elo "
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Dante Ozzetti -
"Ultrápassaro"
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Mondo Candido -
"Moca"
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Sergio
Mendes - "Equinox" Il gruppo Verve ha ristampato, in questi anni, diversi dischi del grande Sergio Mendes, come Look Around, o My Favourite Things. In questo Equinox, il suo secondo disco con i Brasil '66, prodotto, come il debutto, dal grande Herb Alpert,, ci sono tutti gli elementi distintivi di quello che, nelle note di copertina, viene chiamato a ragione "Mod Latin Jazz Sound", a partire dal pezzo di apertura, "Chove Chuva ( Constant Rain)", caratterizzata da un sitar che aggiunge un tocco exotic-lounge al pezzo di Jorge Ben. Del resto, il repertorio è più o meno quello tipico del periodo: MPB arrangiata per piacere anche al mercato nordamericano: Molto belli gli arrangiamenti di "Triste", e di "Night And Day". Un disco molto rappresentativo di un sound che, ancora oggi, raggiunge le più recondite zone erogene di molti DJ inglesi, e non solo.
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