"Chi è stato nel Pará, si è fermato
Se ha bevuto l'açaí, è rimasto".
Viaggiando lungo i fiumi dell'Amazzonia è frequente vedere palme lunghe, sottili e, alle volte, sinuose, che possono arrivare anche
a un'altezza di 30 metri. Si tratta dell'Açaizeiro, palma caratteristica dello Stato del Pará, tipica dell'estuario del Rio delle
Amazzoni, conosciuta in altri stati brasiliani anche con il nome di jussara.
Di questa palma, nell'Amazzonia continentale, si trovano circa 50 specie, delle quali: 19 in Colombia, 9 in Brasile, 8 nel Venezuela, 3 in Bolivia e, negli altri paesi variano da una a due specie. Di tutte, però, nessuna supera la qualità di quella che
nasce nel Parà, ossia
l'Euterpe Oleracea.
Il suo piccolo frutto açaí dà il nome a una bibita di sapore particolare e molto gradevole. La sua particolarità, tuttavia, non consta solo nel gusto, ma anche nelle sue proprietà, poiché tale frutto è un alimento di alta qualità, con un valore nutritivo superiore
a quello del latte. Ricco di ferro, calcio, potassio, vitamine B1, B2 e C, è considerato un alimento completo, essenzialmente energetico. La quantità che esso contiene di
antocianina (sostanza antiossidante che aiuta a combattere il colesterolo ed i radicali liberi) è di 33 volte superiore a quella dell'uva. Dopo la
castanha do Pará (noce brasiliana), l'açaí è considerato uno dei frutti più
nutrienti dell'Amazzonia, tanto che per secoli ha costituito il "pranzo dei poveri".
Girando per le vie della città di Belém, capitale dello stato del Parà, si può notare, a fine mattina, una piccola bandiera di colore rosso-violaceo appesa sulla porta di alcune case o a qualche palo della luce: è il segnale usato per avvisare che lì vi è una rivendita (o
quitanda) in cui l'açaí è già pronto per la vendita. Con questo inizia il rituale
mediante il quale il paraense beve l'açaí. Prima di tutto, il liquido deve essere
servito in una cuia (recipiente ottenuto da una pianta), al fine di non produrre acidità.
Per questo motivo è sempre consigliabile bere acqua nella "cuia" stessa, ancora sporca di açaí.
La bevanda può essere consumata con zucchero o senza, con farina di manioca o tapioca
e anche insieme a carne secca, gamberi o pesce fritto (piramutaba o pirarucù).
Il vino di açaí è conosciuto non soltanto nel nord del Brasile, anche
se in altri stati il suo uso è molto diverso. Nelle palestre, ad esempio,
ne consigliano il consumo mescolato al guaraná o a altri prodotti energetici.
Questa palma fornisce anche il palmito, prodotto a basso tenore di calorie, senza grassi, ideale per una dieta moderna. L'estrazione del
"cuore" della palma ne comporta la morte, poiché esso viene tolto dalla base della foglia nuova, mentre sta nascendo. L'abbattimento sfrenato delle palme per l'estrazione del palmito ne ha quasi causato l'estinzione. La pressione degli ambientalisti ha portato alla coltivazione razionale,
e oggi l'estrazione non è più considerata un'attività nociva poiché è stato reso obbligatorio il rimboschimento sistematico delle palme. L'area occupata dalle piantagioni è di circa 7.000 ettari con una produzione di oltre 115.000 tonnellate. La raccolta del palmito è una attività artigianale, svolta dalla popolazione locale durante tutto l'arco dell'anno, con l'approvazione delle autorità
ambientali. Il palmito in conserva prodotto in Pará nel 1998 ha
costituito circa il 90% dell'offerta nazionale.
Dell'açaizeiro si utilizza tutto: è la palma delle mille e una utilità. Il fusto, oltre a servire come materia prima per fare carta da imballaggio, carta pergamena, carta carbone, ecc., viene utilizzato in edilizia per ricavarne travi, assi, puntelli, rincalzi, pavimenti e pareti rustiche, staccionate, nonché isolamento termico. Le foglie
essiccate vengono utilizzate per coprire baracche, per chiudere pareti provvisorie e servono anche per fare ceste;
quelle ancora verdi, come cibo per animali oppure, dopo la loro decomposizione, costituiscono un eccellente concime organico per ortaggi.
I noccioli, dopo l'estrazione del vino di açaí, vengono usati per
trasformarli in bigiotteria; una volta decomposti, vengono anch'essi utilizzati come concime organico per piante ornamentali.
L'amazzonide
(abitante dell'Amazzonia, ndr) conosce da sempre queste utilizzazioni
e ha sempre costruito le proprie capanne usando soltanto l'açaizeiro. Perfino per le scope, veniva utilizzato ciò che rimaneva del grappolo dopo aver fatto il vino di açaí.
Questa palma fruttifica durante tutto l'anno, anche se il periodo di maggiore produttività va da luglio a dicembre, quando le piogge sono meno frequenti. Attualmente, è molto cresciuta la coltivazione razionale viste le eccellenti prospettive del
mercato non solo brasiliano, ma anche internazionale. Una volta sceso nelle vene del popolo, l'açaí sfocia nell'arte. Di fatto viene spesso
citato nei brani dei musicisti più popolari (Caetano Veloso, Djavan, Nilson Chaves),
ma è anche oggetto di poesie e perfino balli folcloristici, nonché
utilizzato anche come motivo ornamentale nelle opere di molti artisti plastici (Antonio Salles Barreto, Edmundo da Silva Oliveira, etc).
Il nome comune di questa palma deriva dal termine tupí yasa'i, che significa
"palma che piange" e gli indios così ne raccontano la nascita:
"Secoli fa, quando la città di Belém non era ancora stata fondata dai portoghesi, viveva
in quel territorio una tribù indigena molto numerosa e prolifica. La scarsità di alimenti, però, rendeva sempre più difficile trovare da mangiare a sufficienza per tutti i suoi componenti; i tempi necessari alla raccolta di frutti e alla caccia nella foresta erano, a causa della sempre
maggior distanza da percorrere, ogni giorno più lunghi.
Poiché la tribù, fertile com'era, aumentava ogni giorno, il cacique (capo tribù) Itaki riunì il suo popolo per spiegare loro la criticità della situazione. Non trovò però ascolto, e la tribù continuò ad
aumentare. Allora, insieme ai vecchi guerrieri ed ai pajè (stregone-medico), si trovò costretto a prendere la decisione crudele di sacrificare ogni bambino che
fosse nato da quel giorno in poi. L'effetto di tale minaccia si manifestò subito, poiché passarono molte lune senza che nascesse alcun bambino. Un giorno, però, Iaça, la figlia del cacique Itaki, diede alla luce una bella bambina. La tribù accolse l'evento con stupore e preoccupazione. Non molto tempo dopo, infatti, il
consiglio tribale, riunitosi, chiese come previsto il sacrificio della figlia di Iaça. Suo padre, guerriero di parola, non esitò a far eseguire l'ordine.
Appena avuta conferma della sorte della sua bambina, Iaça implorò il padre affinché salvasse quella piccola vita, che era anche sangue del suo sangue: i campi erano già verdeggianti e la caccia sarebbe presto potuta ricominciare nei pressi del villaggio. Il cacique Itaki però, non le diede
ascolto: mantenne la parola data e la bambina venne sacrificata.
Iaça, distrutta, si ritirò nella sua tenda, rimanendo per giorni inginocchiata a pregare
Tupan. Chiedeva al suo Dio di suggerire a suo padre un modo meno crudele per salvare la tribù dalla fame, cosicché non fosse necessario ripetere il sacrificio di altri innocenti. A tarda notte Iaça
sentì il pianto di un bambino, cosa non possibile, poiché non ne esistevano più nella tribù. Si
affacciò alla porta della sua tenda e vide sua figlia, felice, ai piedi di una palma sinuosa e sconosciuta. Iaça
fu felice, ma anche meravigliata e spaventata. Dopo un primo stordimento,
corse verso la bambina per abbracciarla, scontrandosi invece con la palma poiché sua figlia, nel frattempo, era misteriosamente scomparsa. Iaça
scoppiò a piangere disperatamente, finché non svenne. Il giorno dopo il suo corpo
venne trovato abbracciato alla palma. Era morta, ma il suo viso, sereno e felice,
mostrava soddisfazione; allo stesso tempo i suoi grandi occhi neri, inerti, fissavano l'alto della palma.
La tribù in lacrime chiamò Itaki e insieme si misero a osservare la palma sconosciuta. Tutti
guardarono in alto cercando di capire cosa stesse osservando Iaça. Il cacique, notando che in alto c'era un grappolo di piccoli frutti neri, diede ordine di raccoglierli. Tutti
avrebbero voluto assaggiarli, ma egli ordinò che quei frutti venissero messi in un contenitore e
pigiati, ottenendone un succo viola scuro, il cui sapore gradevole piacque a tutti.
Itaki ringraziò Tupan per quel dono che era venuto a rinvigorire le future generazioni di guerrieri e, invertendo il nome di sua figlia Iaça, battezzò quello strano liquido con il nome di Açaí, ossia "palma che
piange". Poi cancellò la crudele regola imposta al suo popolo.
OOO
SABOR AÇAÍ
(Nilson Chaves e Joãozinho Gomes)
E pra que tu foi plantado
E pra que tu que foi plantada
Pra invadir a nossa mesa
E abastar a nossa casa
Teu destino foi traçado
Pelas mãos da mãe do mato
Mãos prendadas de uma deusa
Mãos de toque abençoado
És a planta que alimenta
A paixão do nosso povo
Macho fêmea das touceiras
Onde Oxossi faz seu posto
A mais magra das palmeiras
Mas mulher de sangue grosso
E homem do sangue vasto
Tu te entrega até o caroço
E a tua fruta vai rolando
Para os nossos alguidares
E se entrega ao sacrificio
Fruta santa fruta martir
Tens o dom de seres muito
Onde muitos não tem nada
Uns te chamam açaizeiro
Outros te chamam jussara
Põe tapioca põe farinha d'água
Põe açucar não põe nada
Ou me bebe como um suco
Que eu sou muito mais que um fruto
Sou sabor marajoara
Sou sabor marajoara
Sou sabor…
Fonti:
Enciclopedia da Amazônia
Revistas - Nosso Pará, Ver-o-Pará, Amazon View.
Jornais - O Liberal, Troppo.
Internet: www.cdpara.pa.gov.br/cultura/lendas/len_acai.html
(em
portugues)
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Quem vai ao Parà, parou
Tomou açaí, ficou
Viajando pelos rios da Amazônia é comum ver umas palmeiras de espique alto e esguio, às vezes sinuoso que chegam a medir atè 30 metros de altura. Trata-se do Açaizeiro, palmeira característica do Estado do Pará, tipica do estuario do Rio Amazonas, também conhecida, nos outros estados com o nome de Jussara.
Desta palmeira, na Amazônia continental se encontram 50 variedades, das quais: 19 na Colombia, 9 no Brasil, 8 na Venezuela, 3 na Bolivia e em outros países variam de uma a duas espécies. De todas elas, entretanto, nenhuma supera a qualidade da Euterpe Oleracea que nasce no Estado do Pará.
Seu pequeno fruto - Açaí - da nome a uma bebida de sabor muito particular e agradável chamada "vinho de açaí". Sua particularidade, todavia, não fica apenas no sabor, mas também em suas propriedades, pois seu fruto é um alimento de alta qualidade, com valor calorífico superior ao do leite. Rico em ferro, cálcio, potassio, vitaminas B1, B2 e C, é considerado um alimento completo, essencialmente energetico. A quantidade de antocianina (uma substância antioxidante que ajuda no combate ao colesterol e aos radicais livres) que contém é 33 vezes superior a da uva. Depois da Castanha do Pará, o Açaí é considerado uma das frutas mais nutritivas da Amazônia.
Andando pelas ruas da cidade, antes da hora do almoço, nota-se uma bandeirinha vermelha-arroxeada pendurada na porta de algumas casas (antigamente, eram quitandas) ou no poste fronteiriço: é sinal que tem açaí à venda. Com isso começa o ritual que é para o Paraense, beber açaí. Antes de tudo o açaí toma-se em cuias e, para que não dê azia, deve-se beber água logo depois na mesma vasilha. Pode ser tomado com ou sem açucar e misturado com farinha de mandioca ou de tapioca. O pirão de açaí, que também pode ser saboreado com a carne sêca, camarão e peixe (pirarucú ou piramutaba ) frito, foi o almoço do pobre por muito tempo.
Atualmente o vinho de Açaí é conhecido também fora da região Norte, mas seu uso é completamente diferente. Nas academias de ginástica è aconselhado misturar com guaraná ou outros produtos energéticos.
Um outro produto obtido do Açaizeiro, e muito apreciado no exterior, è o palmito, que com seu baixo teor de calorias e a falta de gordura, é ideal para a dieta moderna. A extração do "coração" da palmeira, leva-a a morte porque é retirado da folha enquanto ela está nascendo. Houve tempo em que o abate desenfreado dos açaizais da região quase o levou a extinção. Hoje não é mais considerada atividade predatoria ja que há um reflorestamento sistemático e obrigatório das palmeiras. A pressão ambientalista motivou a adequação do manejo e o cultivo racional para aliviar o extrativismo desordenado. Hoje a área plantada é de quase 7.000 hectares com uma produção de mais de 115.000 toneladas. A exploração do palmito é uma atividade artesanal que ocupa grande quantidade de mão-de-obra e é feita pela população local durante o ano inteiro, com o conhecimento e aprovação das autoridades ambientais. A indústria do palmito em conserva passou a utilizar o açaizeiros para sustentar a condição do Pará de maior produtor com cerca de 90% da oferta nacional em 1998.
Do Açaizeiro se utiliza tudo, é a palmeira das "mil e uma" utilidades. O caule, além de servir como matéria prima para fazer papel de embrulho, pergaminho, carbono, etc, é utilizado na construção como esteio, ripas para cercados, soalhos, caibros, paredes rústicas e muito mais, inclusive isolamento térmico. As folhas são utilizadas para cobrir barracas, fechar paredes provisórias, fazer cestas, tapetes, chapéu, esteiras; ainda verdes, como ração para animais e, após sua decomposição constitue excelente adubo orgânico para hortifrutigranjeiros.
O caboclo já há muito fizera as suas próprias descobertas; sempre construiu sua palhoça usando sòmente o açaizeiro. Até as vassouras são feitas com os cachos depois de ter tirado o vinho de açaí, transformando depois os caroços em aterro.
Hoje os seus caroços, depois da extração do vinho, são usadas, também, para fazer bijoterias e, após decomposição, é largamente empregado como matéria orgânica, sendo considerado ótimo adubo para cultivo de plantas ornamentais.
Esta palmeira dá fruta o ano inteiro embora o periodo de maior abundância vá de julho a dezembro, quando as chuvas são menos freqüentes. Atualmente o seu cultivo racional está crescendo inclusive pelas excelentes perspecivas existentes, não só no Brasil, mas no exterior também.
O açaí, depois de escorrer nas veias do povo, desemboca na arte. Ja serviu de fonte de inspiração para compositores ( Caetano Veloso, Djavan, Nilson Chaves), poetas e também de motivo para obras de muitos artistas plásticos (Antonio Salles Barreto, Edmundo da Silva Oliveira, etc.).
O nome comum da palmeira deriva do Tupi "Yasa'i" que quer dizer "palma que chora" e os índios contam como ela apareceu, do seguinte modo:
"Muitos séculos atrás, quando ainda não tinha nem sido fundada a cidade de Belém, vivia alí uma tribo de índios muito numerosa. Devido a escassez de alimentos era sempre mais dificil encontrar comida para todos; o tempo necessario para colher as frutas e para caçar na floresta, era cada vez maior por causa da distância, cada dia mais comprida.
Como a tribo era muito fértil e aumentava dia-a-dia, o cacique Itaki resolveu reunir seu povo para explicar o motivo das dificuldades que estavam atravessando. Não lhe deram ouvidos e a tribo continuou a aumentar; então, juntamente com os velhos guerreiros e os pajés, tomou uma decisão cruel, ou seja, proibiu a reprodução humana resolvendo sacrificar toda criança que nascesse a partir daquele dia.
A medida surtiu efeito pois passaram-se muitas luas sem nenhuma nativa conceber. Porém, um certo dia, proprio a filha do cacique Itaki, deu a luz uma linda criança. A tribo inteira ficou abismada com a notícia e começaram a se preocupar. Não demorou muito, de fato, para o Conselho Tribal se reunir e pedir o sacrifício da filha de Iaça. Seu pai, guerreiro de uma palavra so, não hesitou em dar cumprimento à ordem.
Ao saber da sorte de seu rebento, Iaça implorou o pai que poupasse a vida da filha pois os campos estavam verdejantes e a caça não tardaria a abundar na região. O cacique Itaki não lhe deu atenção, manteve sua palavra e a criança foi sacrificada.
Iaça enclausurou-se em sua oca, ficando alí dias e dias ajoelhada rogando a Tupã que mostrasse a seu pai uma maneira pela qual não fosse preciso repetir o sacrifício de inocentes. Alta hora da noite, porém, ouviu um choro de criança; achou estranho pois não existiam mais crianças pequenas na tribo.
Aproximou-se da porta da oca e então viu sua filha sorridente ao pé de uma esbelta palmeira. A principio ficou estática, mas passado o primeiro impacto, ela, em correria louca, lançou-se em direção à filha para abraça-la, mas deparou-se com a palmeira pois, misteriosamente, a criança desaparecera. Iaça, inconsolável, chorou copiosamente até desfalecer.
No dia seguinte o seu corpo foi encontrado ainda abraçado à palmeira. Estava morta, mas seu semblante risonho irradiava satisfação; ao mesmo tempo, seus grandes olhos negros, inertes, fitavam o alto da palmeira.
A tribo chorando, chama Itaki.e juntos examinam aquela palmeira desconhecida. Todos olharam para cima procurando o que Iaça fitava. O cacique Itaki notou que a palmeira tinha um cacho de frutinhas pretas. Ordenou que fosse apanhado e amassado em um alguidar, obtendo assim, um vinho denso e de cor arroxeada. Todos quiseram provar e gostaram.
Itaki agradeceu Tupã por aquela dádiva que tinha vindo fortalecer as futuras gerações de guerreiros e, invertendo o nome da sua filha Iaça, batizou o estranho vinho com o nome de Açaí, ou seja "palmeira che chora", suspendendo em seguida a limitação imposta ao seu povo.
SABOR AÇAÍ
(Nilson Chaves e Joãozinho Gomes)
E pra que tu foi plantado
E pra que tu que foi plantada
Pra invadir a nossa mesa
E abastar a nossa casa
Teu destino foi traçado
Pelas mãos da mãe do mato
Mãos prendadas de uma deusa
Mãos de toque abençoado
És a planta que alimenta
A paixão do nosso povo
Macho fêmea das touceiras
Onde Oxossi faz seu posto
A mais magra das palmeiras
Mas mulher de sangue grosso
E homem do sangue vasto
Tu te entrega até o caroço
E a tua fruta vai rolando
Para os nossos alguidares
E se entrega ao sacrificio
Fruta santa fruta martir
Tens o dom de seres muito
Onde muitos não tem nada
Uns te chamam açaizeiro
Outros te chamam jussara
Põe tapioca põe farinha d'água
Põe açucar não põe nada
Ou me bebe como um suco
Que eu sou muito mais que um fruto
Sou sabor marajoara
Sou sabor marajoara
Sou sabor…
Fontes:
Enciclopedia da Amazônia
Revistas - Nosso Pará, Ver-o-Pará, Amazon View.
Jornais - O Liberal, Troppo.
Internet: www.cdpara.pa.gov.br/cultura/lendas/len_acai.html
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