Tra le persone che più hanno contribuito a diffondere la cultura
brasiliana in Italia, vi è chi lo ha fatto lontano dagli ambienti
paludati della cultura ufficiale, dai tavoli delle conferenze, dai vernissage. Vi è chi ha preferito
iniziare dalle cose più immediate come
la semplicità della buona tavola e della buona musica, perché anche
queste sono cultura. Un modo di fare cultura che unisce invece di
allontanare, che incuriosisce invece di annoiare e arriva al cuore della
gente. Stiamo parlando di Luigi Cacace, conosciuto da qualcuno come Gigi,
ma certamente da tutti come Luisinho dal giorno che da pioniere decise di aprire uno dei primi ristoranti
"etnici" quando ancora non facevano tendenza. Si tratta del
Berimbau, il primo locale brasiliano
con musica dal vivo che in brevissimo tempo sarebbe diventato quel mitico
luogo d'incontro che ha un po' rivestito il ruolo di "ambasciata
popolare" presso cui sono transitati i nomi più importanti
della musica e della cultura brasiliana di passaggio nel Bel Paese.
Da
allora - sono trascorsi più di vent'anni - Luisinho con la semplicità di
una persona vera ha trascorso una parte della sua vita a far conoscere
musica e cultura del Brasile collaborando con istituzioni e enti brasiliani, mezzi d'informazione,
partecipando alla realizzazione delle prime edizioni del festival latino americano
di Milano. E, naturalmente, dedicandosi al suo mestiere di ristoratore,
salendo tra un conto e l'altro sulla pedana del suo locale per allietare i
propri clienti al ritmo di samba e bossanova.
Al Berimbau sono passati una marea di musicisti, calciatori, attori e
altri personaggi del mondo dello spettacolo, non solo brasiliani, tra cui Paulinho da
Viola, Jorge Ben con la Banda do Ze Pretinho, Toquinho,
Mestre Marcal, Nanà Vasconcelos, Raphael Rebelho,
Papete, Hermeto Pascoal, Geraldo Azevedo, Tania Maria, Moris Albert, Branco, Junior, Armando
Maradona, il regista Stanley Donen con gli attori Michelle Johnson e
Michael Caine interpreti dei film "La colpa di Rio". Tutti
attratti dalla sua cucina e anche un po' dalla suggestione di un locale
che era diventato una tappa d'obbligo per chi fosse in transito a
Milano.
Oggi
quel locale non c'è più, ma Luisinho continua ad amare il Brasile e
coltiva nuovi progetti, dividendosi tra Milano e la sua Liguria. In
partnership con una grande società brasiliana il titolare della Berimbau
Production sta preparando un ritorno in grande stile a Milano con un
progetto all'insegna di musica e gastronomia destinato a lasciare
nuovamente il segno. Come ai vecchi tempi, che gli abbiamo chiesto di
ricordare.
Lei si è fatto conoscere come titolare di un noto ristorante di Milano, il Berimbau, che negli anni '80 riscosse un certo successo tra gli appassionati di cultura e musica brasiliana. Cosa ha rappresentato per lei questo locale?
Il Berimbau è stato inaugurato nel settembre del 1982 . Il successo fu enorme: una caratteristica del ristorante era l’ottima cucina curata da personale altamente qualificato. Ne parlarono tutti i giornali anche in Brasile a seguito di una intervista che rilasciò Paulinho da Viola in occasione della sua
tournee in Italia.
La data ufficiale dell' inaugurazione del ristorante, che era Milano,
vicino all’aereoporto di Linate, era stata da me stesso fissata, volutamente, pochi giorni dopo la finale dei campionati mondiali di calcio del 1982.
Ideai una festa pre-inaugurale per la torcida della comunità brasiliana la sera stessa della finale Italia-Brasile con la preparazione di montagne di
fejoada, fiumi di caipirinha e molto samba, in previsione della grande vittoria del Brasile.
La mattina stessa della finale mi trovavo con amici del Loyd Brasileiro sulla "Celestino", una nave proveniente da Santos ormeggiata nel porto di Genova, per ritirare alcuni ingredienti allora introvabili: cacacha, cerveja, farina, carneseca,
e altri ingredienti. Su quella nave si avvertiva l'atmosfera tipica dei brasiliani in attesa di una finale di calcio.
Le
cose però andarono diversamente da come ci si aspettava...
Al mio rientro a Milano assistetti alla finale in casa di amici brasiliani
e ricordo che ebbi uno scatto spontaneo al momento del gol di Paolo Rossi, ricevendo
per tutta risposta un portacenere sulla fronte, per fortuna di plastica, lanciato dalla sorellina del padrone di casa,
che così mi apostrofò: ah,
Luisinho safado! (svergognato, ndr).
Per il Brasile finì come tutti sappiamo: fu lutto nazionale e per me
significò l'annullamento della pre-inaugurazione. Distribuii piatti di fejoada a tutto il condominio del
Berimbau, mentre gli italiani ballavano scatenati il samba davanti al ristorante,
alla sede della Varig e del Banco do Brasil. Rimasi in casa per qualche giorno pensando ai marinai della Celestino e rinviando al mese successivo la vera inaugurazione del
ristorante. In quella occasione alcuni brasiliani mi raccontarono che l'epidemia influenzale che si manifestò in quel periodo in Brasile fu chiamata "Paolo Rossi".
Insomma, questo locale ha rappresentato un periodo molto importante della mia
vita, insieme al piacere di frequentare i brasiliani con i loro pregi e difetti, ma
portatori di una filosofia esistenziale unica e positiva. Suonare quel tipo di musica è stato e continua ad
essere per me una grande soddisfazione.
L'esperienza del Berimbau fu replicata da altri locali pubblici?
Altroché. Dopo qualche anno in Italia iniziarono a vedersi altri
ristoranti del tutto simili al nostro, alcuni dei quali riprodussero
persino il nostro marchio. Oggi ve ne sono di fatto altri quatto o cinque che hanno questo nome, ma chi ha creato le premesse e
ha fatto scuola siamo stati noi. E a proposito della poca professionalità, correttezza e invidia, un altro locale brasiliano di Milano ebbe il coraggio e la spudoratezza di inviare, in occasione della sua inaugurazione, un giornalino pubblicitario nel quale dichiarava: “questo è l’unico locale
di Milano dove si possono vivere le più intense emozioni della gastronomia e della musica brasiliana più autentiche”.
Che coraggio! Intanto noi eravamo in tv su Italia 1 in un reportage sul “Berimbau”,
quello vero, presentato dalla Panicucci. Che figura! Comunque quello che è
accaduto da noi non si è più ripetuto in altri locali brasiliani. Forse l’unico che aveva
un'analoga atmosfera poteva essere il "Manuia" di Roma grazie alla bravura di
Jim Porto, grande musicista, e la grande professionalità di Sandro Melaranci, il proprietario, da cui certi signori dovrebbero imparare lo stile e la classe.
Ora però il Berimbau non esiste più. Per quale motivo?
Ha chiuso i battenti nel 1996, in piena attività. Non potendo più curarlo personalmente per
via di altri impegni artistici in varie parti d’Italia, ho preferito chiuderlo per non lasciarlo in mani estranee con il rischio di un declino immeritato, essendo una creatura legata alla mia presenza. Ma la “saudade” è tanta e posso annunciarvi in anteprima che la Berimbau Production ha in cantiere, in società con una delle più grandi e serie industrie brasiliane, una grande novità brasiliana per la Milano gastronomica e musicale mai accaduta in Italia, di cui è già a conoscenza il comune di Milano.
Come è iniziata la sua passione per la musica e per il Brasile?
La mia passione per la musica è nata il 27 Settembre di diversi anni fa, giorno della mia nascita. Infatti il mio primo vagito sembrava fosse già sincopato e con balanço. Naturalmente sto scherzando: credo la passione sia innata, come la musicalità é qualcosa che ti senti dentro, certamente un dono di madre natura. Verso i dodici anni ho sentito il bisogno di sviluppare questa passione con una chitarra che mi feci regalare con fatica dai miei genitori. Timorosi che potessi trascurare gli studi, fui severamente controllato, ma quando notarono che rinunciavo ai divertimenti per dedicarmi alla musica, furono loro stessi a farmi studiare chitarra classica
presso un docente del conservatorio, che fra l’altro era un ottimo musicista Jazz. Questo insegnante fece scattare in me la scintilla per lo swing, e cominciai ad ascoltare le orchestre americane con i vari solisti e interpreti di chitarra jazz, da Barney Kessel (che conobbi poi a Milano) a Wes Mongomery, finché un giorno uno strano personaggio mi fece drizzare le orecchie con un ritmo che mi contagiò
immediatamente. Questo musicista si chiamava Joao Gilberto da Silva.
E' stato quindi Gilberto a ispirarle la passione per la musica brasiliana?
Senza dubbio, e vorrei raccontare un aneddoto su João. Da ragazzo ne ero già attratto quando lo ascoltai dal vivo alla Bussola di Viareggio durante il suo primo spettacolo in Italia (allora
i concerti li facevano solo Segovia o Pollini). Il biglietto era costosissimo, ma riuscii comunque ad
averne uno. Nel corso dello spettacolo parte del pubblico e alcuni musicisti presenti si alzarono indignati, compreso il sottoscritto, imprecando verso i clienti del ristorante che fra il rumore di piatti e posate
chiacchieravano tranquillamente mentre Joao Gilberto cantava “Desafinado”.
Parlare mentre João canta è imperdonabile...
Infatti. Bernardini, proprietario della Bussola venne al Berimbau con Enzo Trapani, e dopo tanti anni si ricordò perfettamente del fatto. Giustificando il mio entusiasmo per
João, mi confermò già da allora la sua grande passione per il Brasile, dove stava nascendo la bossanova. A seguito di questo avvenimento musicale iniziai ad interessarmi alla cultura,
studiando la lingua, e a tutto ciò che in Brasile era musica e arte.
Il suo lavoro di ristoratore e musicista le ha dato modo di conoscere numerosi
artisti brasiliani. Può raccontarci qualcosa di questi suoi incontri ravvicinati?
Non dimenticherò mai quello che ebbi con Vinicius nel camerino di un teatro di Milano. Fui presentato da amici comuni che mi fecero conoscere il suo miglior amico: il whisky, che lui chiamava "cane in bottiglia".
Gli dichiarai subito la mia stessa simpatia per quel tipo di amico, e tra una risata e l'altra fu così che appresi che la bevanda nazionale di quasi tutti i musicisti brasiliani, a quei tempi, era il whisky e non la caipirinha.
L'incontro con Vinicius la segnò particolarmente?
Si. Fu in quell'occasione che nacque in me l’idea di raccontare un giorno la vita di questo
grande poeta in forma di piece teatrale, con le sue musiche. In questo periodo sto lavorando proprio alla
realizzazione di questa idea e alla possibile ristampa, in collaborazione
con l’editore Vallecchi, del libro “Poesie e Canzoni” di Vinicius con i testi tradotti da Sergio Bardotti.
Avrà conosciuto anche qualcuno dei tanti musicisti italiani appassionati di musica brasiliana...
Il Berimbau ha ospitato anche artisti filo-brasiliani come Fred Bongusto, nominato ufficialmente “Ambasciatore del samba” dal Console del Brasile a Milano nel corso di una serata dedicata alla trasmissione televisiva di Grillo “Te lo do io il Brasile”, a cui partecipai suonando con Fred e nella quale ebbi il piacere di conoscere e passare un'ora insieme a Tom Jobim, il figlio Paolo e Danilo Caymmi, figlio del grande
Dorival. Il mio fiuto brasileiro non sbagliò nemmeno quando ingaggiai tre musicisti italiani sconosciuti, ma con un cuore
incredibilmente brasiliano, che mi fecero letteralmente saltare sulla sedia quando li ascoltai per la prima volta al
Berimbau: erano i Balangandà di Beppe Fornaroli, Barbara Casini e del povero Giuseppe Bonaccorso, più conosciuto come "Naco".
Ricorda qualcosa dell'incontro con Jobim?
La moglie ci sorprese a bere una caipirinha dietro lo studio Rai e subito
ricordò a Tom il divieto di bere imposto dalla dieta ferrea che stava seguendo. Grazie alla mediazione del regista Enzo Trapani e alla mia traduzione in portoghese, furono chiarite alla signora Jobim le ragioni del cocktail organizzato dalla Rai. E il Maestro ne approfittò per ordinarsi immediatamente un bel whisky!
Ha conosciuto artisti brasiliani anche al di fuori della sua attività?
Un incontro che ricorderò sempre è lo spettacolo che tenne un famosissimo musicista brasiliano in uno squallido pomeriggio di un sabato all’idroscalo di Milano. Il musicista che si esibiva era il grande Paulinho da Viola insieme alla cantante dona Ivone Lara davanti a qualche mamma che passeggiava con la
carrozzina e a quattro gatti che ascoltavano. Durante l’intervallo parlai con Paulinho spiegandogli che l’atmosfera di un pomeriggio milanese non era la più adatta per uno spettacolo di musica brasiliana organizzata dal comune. E quasi scusandomi per la poca cultura di qualche assessore, invitai Paulinho e i suoi musicisti per una cena "in famiglia" al
Berimbau. Con mio grande piacere la replica dello show la sera successiva all’idroscalo ebbe un grande successo.
Ha mai avuto delusioni?
L’unica me la diede Chico Buarque che doveva presenziare insieme a Toquinho a una conferenza stampa al Berimbau in occasione di uno spettacolo serale in piazza Duomo a Milano. Furono tutti presenti: Toquinho, giornalisti, reporter. Mancava solo Chico, che si era addormentato in albergo.
E' ancora in contatto con alcuni di questi personaggi?
Si, poiché l’amicizia che ancora adesso mi lega a questi grandi artisti é fondata su un feeling e una sintonia musicale derivata in giovanissima età dal jazz, che ho praticato anche come bassista suonando con
svariati musicisti tra cui quello che sarebbe diventato il proprietario del Capolinea di Milano, passando al canto in
tv con la grande orchestra del maestro Gianni Ferio, perfezionando poi lo studio della chitarra e assimilando
la tecnica del "balanço" durante la mia permanenza in Brasile.
Cosa ha significato per lei il Brasile?
Tutto: filosofia di vita culturale e musicale, una benedizione avuta da una vera
Mãe de Santo per protezione della mia persona e il calore sincero di tanti amici. Unico mio desiderio: la salvezza per tutti i bambini abbandonati. Per ora è utopia, ma voglio continuare a crederci.
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