MILANO,
7 maggio 2002
La mostra "Midia e Loucura" apertasi il 7 maggio
all'Ibrit (Istituto Brasile - Italia) riunisce le opere corali di Alessandro Jordão e
Kiko Sobrino. Ogni pezzo viene eseguito a 4 mani dai due artisti. Amici
d'infanzia, i due hanno studiato insieme e si sono uniti professionalmente
dopo aver fuso i rispettivi
atelier. L'intesa artistica è perfetta: nei quadri mutanti,
tappeti, murales e nelle morbide sculture da accarezzare che producono non
si riesce ad individuare tratti che caratterizzino l'uno o l'altro.
La
spontaneità e l'energia che emana da loro si trasferisce anche alle opere
esposte in questa mostra, che hanno un forte contenuto erotico, ma leggero,
non aggressivo, divertente. I quadri in stoffa dai colori vivaci che fanno da
cornici a cerniere e che scoprono strutture punteggiate rappresentano esplicitamente la vagina e il seme. Lo
spettatore vince l'imbarazzo iniziale e
coglie spontaneamente l'invito a esplorare, senza disagio, gli oggetti che
appaiono dinamici e rendono possibile l'interazione con chi li osserva,
potendoli modificare.
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La mostra intitolata “mãos” invita
insomma gli spettatori ad esplorare le sensuali forme coperte di tessuti vari: morbidi, lisci, ruvidi, con le
sue protuberanze e le sue profondità. Abbiamo rivolto ai due artisti
alcune domande.
Potreste descrivere il vostro percorso artistico?
Alessandro - Siamo nati a São Paulo nel 1973, ci siamo laureati alla
Faap (Fondazione Armando Alvares Penteado, ndr) e abbiamo cominciato a lavorare nello stesso atelier. Siamo amici d’infanzia e
appena terminati gli studi abbiamo ricevuto una proposta per sviluppare un lavoro insieme. Il primo
progetto si intitolava "Quattro Mani", ovvero un lavoro da
svolgere contemporaneamente sulla stessa opera d’arte. Anche se io ho uno stile e Kiko un altro,
quando pensiamo a un'opera insieme emerge un'idea unica, un unico concetto. Arriva
così a diventare una performance.
Quando avete iniziato a lavorare insieme?
Kiko - Abbiamo cominciato sette anni fa, ma il primo lavoro ufficiale
registrato insieme l’abbiamo prodotto nel 2000.
Alessandro - Abbiamo iniziato facendo forme figurative, ma ci conosciamo da quando eravamo
bambini. Kiko aveva un atelier e io un altro. Li abbiamo uniti.
Kiko - Alessandro aveva cose che io non avevo e viceversa. Ci siamo complimentati quasi involontariamente nel senso che l’idea non era
di fare un lavoro insieme, abbiamo cominciato separatamente e poi ci siamo unici senza renderci conto. Abbiamo creato il nuovo dal nuovo e non a partire dal vecchio. E poi
quando questa performance è diventata a quattro mani, abbiamo tolto questo pleonasmo
e l'abbiamo chiamata soltanto “mani”.
Quali tecniche utilizzate?
Kiko - Gli stili sono simili perché si tratta di arte contemporanea. Alessandro ha una
tecnica più classica e io una più moderna.
Le stiamo usando tutte e due per produrre qualcosa di nuovo. Il nostro obiettivo
è di fare un’arte perpetua. Non è un gioco, è un lavoro eterno che continuerà. Fare, fare, fare a quattro mani. Senza fine.
E’ una performance che nessuno vede. Magari potremo anche registrare mentre lo facciamo, e quella
è una performance. E' tutto molto veloce, creiamo 40, 50 opere in un tempo esiguo, cosa che sarebbe impossibile realizzare da
soli. Togliamo all’opera l'individualità.
Alessandro - Io preferisco chiamarla performance perché di solito la gente non capisce quale
sia l’anima delle opere. Se tu guardi un quadro di Van Gogh, Picasso, Matisse vedi
l'opera di una persona, prodotta dal sentimento di una persona. Invece le nostre opere sono fatte a quattro
mani e chi le osserva non capisce la loro anima. Ma poi, quando le persone capiscono il
concetto della performance artistica di due persone che arrivano insieme ad un
obiettivo, allora tutto diventa semplice.
Kiko - Nelle nostre opere non si capisce chi ha fatto che cosa.
Alessandro comincia a disegnare poi io continuo ma poi può succedere l’inverso. E’ una arte capiente,
è un concetto che arriva dell’arte pop. Puoi creare con autonomia. Usiamo tecniche che sono
industriali, le stesse che si usano per stampare libri, per creare vestiti. L’idea
è proprio questa. Usare tutto ciò che è industriale, metterlo dentro l’arte e realizzare in grande scala. Per
produrre in grande quantità, ma anche per lavorare in autonomia. Per poter lavorare
velocemente senza limite, non vogliamo spendere un mese lavorando insieme su un quadro.
Le vostre opere sono dinamiche: il pubblico interagisce con esse ed è invitato a toccare e
manipolare le vostre opere in modo tale che una mostra non finisce mai come comincia.
Kico - E' proprio questa la nostra intenzione. Non vogliamo
ricreare l'atmosfera della galleria d'arte, dove la gente ha paura delle opere. Le
nostre sono lì per essere vissute, toccate. Sono divertite. E’ un’opera che intrattiene, che interagisce, una opera che puoi usare e abusare. E’ un’arte non settaria, e’
globalizzata, appartiene a tutti.
Alessandro - Oltre ad essere un’arte divertita, che intrattiene, e’
però anche un’arte seria. A volte il pubblico fatica a intendere che una arte divertita non
vuol dire che sia soltanto un gioco.
Però non affrontate mai temi pesanti come la morte, il disagio.
Kiko - No, questa mostra tratta dell’elemento erotico. E’ piena di simboli che ritrattano la vagina ma
in modo molto divertente e leggero, anche se molto esplicito. I puntini all’interno delle vagine rappresentano il seme umano.
Rappresentano l’inizio della vita. Tutto è cominciato dai punti. La molecola,
la cellula, il mondo, l’acqua. Una linea nella pittura comincia da un punto, un quadrato
è costituito da diverse linee. Tutto inizia da un punto. Ci sono tanti concetti originati da una cosa semplice come il punto. E l’arte,
oggi, va in questa direzione. L’arte concettuale parte dalla semplicità.
Quando avete cominciato a apparire al pubblico e a diventare conosciuti?
Kiko - Nel 2000, quando abbiamo fatto una mostra individuale nel “Salone internazionale di arte decorativa” a
São Paulo. Erano lavori di dimensioni sproporzionate. Lavori enormi di 3 o 4 metri
impossibili da realizzare da soli. Erano forme figurative. Abbiamo voluto cominciare con il figurativo perché l’astratto
è una sequenza dell’arte. Si comincia con il figurativo per capire la proporzione, i colori dell’arte.
Alessandro - Abbiamo lavorato insieme anche quando io abitavo in California e lui in Brasile. Ci scambiavamo dei pezzi d’opera tramite corriere e alla fine abbiamo fatto una mostra insieme in California, lavorando
in remoto.
Kiko: E non c’era solo la nostra anima in quelle opere, ma quella di
tutti coloro che hanno contribuito alla loro creazione: dal sarto che ha cucito un pezzo di stoffa, al falegname che ha prodotto una cornice.
Essendo così giovani, quali difficoltà avete affrontato?
Alessandro - Molte. Abbiamo fatto una cosa nuova, non abbiamo usato un
marchant. Siamo andati noi stessi a proporre le nostre opere alle gallerie. Abbiamo preso tanti pesci in faccia e anche questo ha fatto parte della nostra arte. Alla fine siamo
riusciti tramite i nostri sforzi, a presentare il nostro lavoro in California, a New York, a Roma, a Milano e anche a Parigi. Andavamo di galleria e galleria, a volte neanche parlando bene la lingua locale,
presentando la nostra faccia.
Quale è l'intenzione di questo vostro tour?
Kiko - Fare conoscere la nostra opera all’estero e tornare in Brasile con un giudizio internazionale, perché in
Brasile si dà molta importanza a ciò che si dice all’estero. Vogliamo presentare il vostro lavoro alla critica internazionale anche per
facilitare il nostro inserimento in Brasile. L’Europa possiede più tradizioni
culturali del Brasile, che è ancora molto giovane se paragonato al vecchio continente. Il giudizio degli europei pesa molto in Brasile.
Quali sono stati i momenti difficili della vostra via crucis per
le gallerie d’Europa?
Kiko - Siamo stati in una galleria di Roma dove, dopo avere visionato
e elogiato il nostro catalogo, il direttore della galleria lo ha buttato nel cestino della spazzatura. Allora io ho preso la nostra telecamera e ho documentato
l'accaduto, raccontando ciò che era successo, come eravamo stati trattati. Allora il direttore quando ha visto la telecamera, le luci e io che raccontavo l’accaduto, ha
recuperato il nostro catalogo dal cestino e ha cominciato a sfogliarlo facendoci
un sacco di complimenti. Scusandosi e dicendo che questi brasiliani (cioè
noi) erano molto bravi.
Alessandro - Anche in Francia è stato molto difficile, lì le
gallerie sono settoriali: ci sono quelle per i latini, per gli indiani, per gli asiatici,
e così via.
Ma voi, immagino, non avrete rispettato questa regola.
Kiko - No. Bussavamo alle porte e entravamo. Ma anche in Francia abbiamo
avuto difficoltà. Anche a causa della lingua.
E in Brasile accade la stessa cosa?
Alessandro - No, in Brasile non possiamo utilizzare questo sistema perché rischiamo di restare segnati. C’è un gruppetto che controlla il mercato. Se sbagliamo una volta non riusciamo più a inserirci.
Allora in questo senso avete più libertà in Europa?
Kiko - Si, e' vero. Qui siamo sconosciuti e di passaggio. In un certo modo, ci sono anche meno pregiudizi
nei nostri confronti. E in più ci rendiamo conto possedere una spontaneità quasi sconosciuta da queste
parti, che causa anche curiosità da parte del pubblico.
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