Jair
Oliveira - "Outro"
Trama - 2002
T005/583-2
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Eccolo qua l'atteso secondo lavoro solista dello Jairzinho nazionale. Da bambino prodigio nella Turma do Balao Magico a raffinato interprete Soul-Samba, e per sottolineare la raggiunta maturità artistica (a vent'anni!!) il cambio di nome. Jairzinho cresce e diviene Jair, come il padre, l'indimenticato crooner Jair Rodrigues. In realtà rispetto al precedente Disritmia (lavoro d'impatto maggiore a un primo ascolto) le novità non sono poi molte. Il sound è se possibile perfino più curato, il repertorio estremamente piacevole e il canto ancora una volta rilassato e convincente. Qualche spruzzata di fiati in più e la presenza onorevolissima di un Ed Motta sempre in ottima forma non sono certo innovazioni decisive. E tuttavia questa "stazionarietà" ricca di qualità ci rassicura: il giovane Jair ha ancora molto tempo e molta strada di fronte a sé. Il suo vocalismo caldo, morbido e sinuoso si impasta alla perfezione con questa miscela accattivante di groove neri e costituisce la punta di diamante della nuova generazione MPB ben più delle sincopi elettroniche del sopravvalutato Max De Castro. Tradizione e modernità convivono qui in modo naturale ed elegante, senza asprezze o forzature.
Tra i brani da segnalare "Bom Dia Anjo", "Falso Amor", "Saudade", "Minuto de Silencio" con 60 secondi di suggestiva sospensione rotta da un respiro sommesso e "Sao Paulo Fim do Dia" declamazione modernista del poeta José Domingos. L'eccellente "grooveria electroacustica" finale (come da note di copertina) ospita la voce altrettanto trendy della sorellina Luciana Mello e chiude in bellezza questo "outro" capitolo della rinascita del Brasile più "black". Tanto da farci dire: "Outro please, mr.
Oliveira"…
(Giangiacomo
Gandolfi)
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Celso
Fonseca/Ronaldo Bastos - "Juventude Slow Motio Bossa Nova"
Dubas/Universal - 2002
325912001802
**** Terzo
disco per la coppia, dopo gli ottimi “Sorte” e “Paradiso”, e
l’atmosfera vira decisamente, da una MPB di gran classe, verso quanto è
ben descritto dal titolo. In questo disco, infatti, i Nostri si
concentrano nell’esplorazione di questo stilema musicale che ha avuto
grande parte nella esistenza, agli occhi occidentali, della musica
brasiliana. Accompagnati dal solito parterre de roi (Celso Fonseca, oltre
ad essere un ambito produttore, accompagna abitualmente Gilberto Gil in
tournée, e Ronaldo Bastos faceva parte del giro “Clube da Esquina”
– che comprendeva Milton Nascimento, Nelson Angelo, Novelli e Lô Borges
-), i due declinano con grande raffinatezza filologica il paradigma
musicale bossanovistico, a partire dal primo brano “Samba è Tudo”,
che potrebbe essere il lato B di “Desde Que o Samba è Samba”, per
atmosfera e testi. Alcuni pezzi particolarmente ben riusciti, oltre al
brano d’apertura, sono la versione brasiliana di “Que restet-il de nos
amours”, già nota nella voce di João Gilberto, di cui rispetta
pienamente l’atmosfera; notevole anche “Ledusha Com Diamantes”,
soffice ma mai stucchevole, e una curiosa golosità: la cover di “La più
bella del mondo”, di Marino Marini, che si accoda a Bruno Martino e Fred
Bongusto, che già avevano ricevuto analogo trattamento da parte di Sua
Altezza João Gilberto. Musicisti come Daniel Jobim, Armando Marçal,
Jaques Morelenbaum, João Donato, Jussara Silveira, Márcio Montarroyos,
Marcos Suzano e Nivaldo Ornelas, contribuiscono da par loro alla riuscita
di questi esercizi di stile.
(Mauro
Montalbani)
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Paquito
D'Rivera - "Sons do Brasil"
West Wind - 2001
WW2247
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Molto
conosciuto ed ammirato da ormai vent’anni nella cerchia degli
appassionati del latin-jazz, il cubano Paquito D’Rivera è uno dei
grandi virtuosi contemporanei del sax e clarinetto. La sua produzione
estesa e onnivora esplora la musica sudamericana in tutte le sue possibili
forme e contaminazioni, dedicando naturalmente ampio spazio alla
componente brasiliana. Paquito è ormai divenuto una sorta di ambasciatore
ecumenico dell’america latina nel mondo, al pari del suo collega (e
collaboratore nel mitico supergruppo degli Irakere negli anni ’70)
Arturo Sandoval, che è a sua volta forse il più grande virtuoso della
tromba vivente. Compositore
di concerti classici, rovente session-man di stampo parkeriano, scrittore,
direttore di big band, sopraffino esecutore di musica da camera,
talent-scout dal fiuto eccezionale (il pianista panamense Danilo Perez e
lo straordinario trombettista carioca Claudio Roditi, tanto per fare due
esempi non da poco, si sono fatti le ossa nel suo combo): questo e molto
altro ancora nel suo biglietto da visita. In questa registrazione dal vivo
del 1994 pubblicata solo alla fine dello scorso anno dall’etichetta
tedesca West Wind, lo ritroviamo alle prese con un obliquo omaggio al
Brasile, costituito da brani per lo più originali eseguiti in compagnia
di alcuni dei suoi più stretti collaboratori degli ultimi anni,
dall’argentino Diego Urcola alla tromba a Mike Orta al piano a Jordi
Rossy alla batteria. Rispetto agli sfolgoranti lavori degli anni ’80
siamo qui in piena routine jazzistica, ma il disco è comunque gradevole e
lo smagliante clarinetto del leader ripaga ampiamente l’ascolto (vedi in
particolare l’espressivo e infuocato assolo in «I remember Dizzy»). Di
più stretto interesse per il brasiliofilo sono i brani “To Brenda with
Love”, ballad di repertorio dalle efficaci venature bossistiche, “Sons
do Brasil” e “Yelelé Candombé”, in cui il nostro tenta un ponte
musicale tra la discendenza Yoruba di Bahia e de La Habana, intrecciando
disinvoltamente Cuba e Brasile.
(Giangiacomo
Gandolfi)
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Lenine
- "Falange Canibal"
Bmg - 2002 (41'06'')
74321893512
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Il
titolo di questo quinto disco di Lenine fa riferimento a un locale di
Recife in cui, alla fine degli anni ottanta, si esibivano, lui compreso,
alcuni tra gli artisti più creativi dell’epoca. Una zona franca di
creazione spontanea, sperimentazione, di libero transito per tutte le
tendenze. Ricorda qualcosa? Potrebbe in effetti essere una metafora di
quanto è stato recepito nella poetica musicale di Lenine, una zona di
libero scambio, cui partecipano in questo disco, oltre ai soliti noti, Ani
Di Franco (che contribuisce al teso funk di “Umbigo”), Steve Turre
(che aggiunge le sue nuance, suonate con le conchiglie di mare – vera
musica di Jemanjá - alla ballata “Nem o sol, nem a lua, nem eu”), gli
Yerba Buena (che declinano al modo son “Rosebud – O Verbo e a Verba”,
già apparsa nel disco del vecchio sodale Lula Queiroga, “Aboiando a
vaca mecanica”), e infine i Living Colour al completo, che apportano il
loro scabro cemento funk
a “O Homem dos olhos de raio x”. Lenine è, al momento,
l’unico erede credibile dell’attitudine antropofaga dei “Dolci
Barbari (Caetano, Gil, Gal, Bethânia, Tom Zé)”. Una considerazione,
che non deve essere intesa come critica a quest’ottimo disco: dal
prossimo lavoro sarà lecito aspettarsi qualcosa di nuovo, per scongiurare
un’altrimenti inevitabile sensazione di “già sentito”. Per ora,
godiamoci ancora una volta la contaminazione globale di Lenine.
(Mauro
Montalbani)
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