Mezza
camera, prezzo intero
Eccomi, finalmente a casa.
Nel senso che ho un letto, un bagno, una chiave, ma, soprattutto, la cosa più importante: un
indirizzo! Finalmente posso ricevere lettere, posso spedire una serie di
codici che, in sostanza, fanno dire a tutti: uei, Edu è in Italia! Non
più e non soltanto in transito, in viaggio,
“in... cazzeggio". Adesso è una cosa seria: lui ora abita là. Tutto assume una valenza più
forte, quanto soltanto ieri era così effimero, come d’incanto diventa patrimonio.
Ecco, sono di nuovo in contatto col mondo: posso essere raggiunto,
quindi… esisto!
Mah. A onor del vero, la mia non è una vera casa, nel senso che non è tutta intera, ma una mezza casa. No, mento,
è una mezza camera di un ottavo, toh, di casa. Insomma, è un letto in una camera. Punto.
Per di più, condivisa con un romano che deve averne già viste troppe in poco tempo per
aver ancora voglia di salutare. La cucina è intera, per quanto intere e
comunitarie siano tutte le cucine. A proposito di comunitaria: qui di cose
in comune c'è solo l’attrezzatura: guai ad aprire la porta dell’armadio non tua. Più semplice chiedere
lo zucchero per strada che al mio compagno di stanza.
Sparagnina anche la doccia: lo scaldabagno è regolato da un timer, di cui
la padrona di casa controlla minuziosamente l’eventuale manomissione. Due volte al giorno.
La storia del bagno è una costante dei miei viaggi… in quest'ultimo, il
più delle volte dormivo negli ostelli della gioventù -ottimi posti che consiglio a chiunque si metta in
cammino nelle mie “condizioni”-. Ma ogni volta che mi capitava di
potermi permettere l’albergo “serio”, constatavo che la camera costava tot, la doccia un altro tot.
Difficile a credersi, eh? Però è vero! Se vuoi dormire, paga un tot. Se vuoi dormire pulito,
paga due tot! Vai a capirlo… Comunque, tornando alla mia nuova casa, i divieti sono più delle
concessioni. Sarà la mia aria sudamericana. La padrona è tosta, ma la saprò conquistare.
Con l'andar del tempo, ho notato che tra noi viaggiatori temporaneamente in parcheggio, non ero neanche
di quelli messi peggio. A parte i soliti fortunati e i figli di papà, la maggior parte
di essi navigava in acque simili, se non
peggiori delle mie: uno mineiro, che veniva cioé dal Minas Gerais,
aveva la doccia in camera, ma non il cesso (vai a capire perché…). In più,
lui “abitava” al sesto piano, ma il cesso era al secondo, in corridoio. Una dozzina di camere per piano, e l’autogestione social-libertaria del pianeta-merda era compiuta.
Un altro, paranaense, (questa è più facile, eh? Avete indovinato,
veniva dal Paranà) “soggiornava” in un cantiere. Il capo-cantiere gli cedeva la baracca di notte, e
lui la mattina successiva doveva cercare di non far capire a nessuno che
era stato lì. La doccia (un tubo d’acqua), però, era abbondante.
Ghiacciata sì, ma a volontà.
Le case però sono uno spasso. La mia prima era un po’ fuori mano
rispetto al centro di Firenze, situata a Rifredi, e abbastanza "normale". Le altre, più centrali, erano un fumetto
dell'antichità: scale storte, anfratti dove appoggiare le torce, portoni enormi
dove però l'accesso è un quadratino dove anch’io, con il mio 1,65
scarso d'altezza, sbattevo la testa. Tubi fuori che facevano capolino
dalle pareti. Dal rubinetto alle maniglie, ai mobili, alle pareti spesse mezzo metro, tutto
era vecchio, tutto ti diceva che c’era già molto, molto prima di te. I padroni
che pensavano di rifilarti roba di scarto senza la consapevolezza che
proprio quelle cose erano una delle attrattive principali. Mobili antichi, ferro battuto, vecchie caffettiere su
antiche macchine del gas: proprio come in certi film italiani…
L’orologio-sveglia nel centro di Firenze è quanto di più superfluo vi possa essere.
La mia vecchia sveglia, acquistata a Madrid all’inizio del viaggio, così solerte nel ricordarmi di scendere
alla stazione giusta o di allontanarmi disinvoltamente da un posto prima che
arrivasse il padrone, giaceva dimenticata nello zaino. A Firenze, nelle ore
centrali, vige una gara di potenza fra le campane delle varie chiese. Vince chi riesce a rompere più timpani con
il maggior numero di rintocchi. Una delle “mie” case era in piazza San Marco, accanto
a una delle chiese concorrenti. Ma da lì sentivo le campane del duomo. Dopo un po’ non ci si
capiva più nulla. E meno che mai che ore sono. Per un periodino, sono stato
anche a Fiesole. Ah, finalmente lontano dalle campane? Nossignori. La chiesetta
accanto alla mia abitazione, a corto di campane, abbondava di altoparlanti e cassette registrate.
E metteva tutte le altre nel sacco!
Ma poi sono tutte strane, queste case. Innanzitutto, questo coso ingombrante
inchiodato alla parete, il termosifone. Ci ho messo un bel po’, e non prima che
arrivasse il freddo, a capire a cosa servisse. O meglio: teoricamente lo sai, poi un giorno
si mette a fare un freddo cane e devi minacciare la padrona per accenderlo, e allora
realizzi che non è uno scaffale. La disposizione dei locali, poi,
meriterebbe un capitolo a parte: entri, ma non sai mai dove sbuchi! Mica
li fanno squadrati, geometrici, regolari. Nossignori. Una volta oltrepassato il portone, cominci a girare per le scale,
e non è mica una cosa semplice: sali a destra. Poi a sinistra. Poi vai
dritto. Poi ancora a destra. Senza accorgerti passi nel palazzo accanto, e
devi sperare che dalla strada nessuno ti chieda mai di mostrargli la tua
finestra, altrimenti ti senti un perfetto imbecille nel rispondergli che
non hai la minima idea di dove affacci. Qui la civiltà viene da lontano, e dopo secoli di
unioni, separazioni, ristrutturazioni, accorpamenti, quando entri da un
portone non sai mai dove andrai a finire...
Non
vi dico quando si sbuca in un cortile: le case attorno fanno quadrato. E
in verità è la cosa più bella a vedersi di queste case: da noi, in
Brasile, le case in genere, o i palazzi, sono orientati dall’interno verso l’esterno: tutti gli appartamenti sono come
poggiati uno affianco all’altro, e si affacciano sulla strada. Qui è
quasi il contrario: le abitazioni ti proiettano all’interno dei loro
meandri, nei cortili, dentro la comunità. Quasi come a proteggerti, a
voler condividere. Spesso capita andando in giro di vedere tutte queste case brutte, con
le finestre chiuse, senza cortili, senza nessuno. Dove saranno finiti?
Ehilà, dove siete? Tutti dentro! E se ti spingi in profondità trovi giardini, cortili,
lo spazio, il verde! E i balconi sono
rivolti all'interno…
Il citofono, altro oggetto misterioso. Fuori dalle case c'è il cognome ma
non il numero civico. All’inizio, degli indirizzi che mi davano non badavo al
cognome: cercavo il numero, che non c’era mai. E allora non rimane che
metterti a cercarlo, questo numero. Sono attimi in cui ti senti un
interdetto. Poi finisci con il capire che non è il caso di chiedere il numero, perché basta il cognome.
Sul citofono, poi, per venirti in aiuto, i cognomi sono sempre disposti in rigoroso ordine sparso. O li leggi tutti, o
nisba. Per di più se non hai localizzato con certezza lo stabile,
hai il piacere di fare conoscenza con tutto il vicinato. E se per caso della persona
che stai cercando conosci solo il nome, o peggio, il soprannome (come si usa da noi), sei nei
guai seri: ti tocca chiedere a tutti quelli del rione se per caso conoscono Regina,
Paulão, Careca, Negão... proprio come da noi, insomma, dove quando
qualcuno bate palmas no portão (bussa al portone, ndr) c'è sempre un João da Silva
(in Brasile è il nome più comune, ndr) che
salta fuori. A volte per la verità non c’è nemmeno, il portão. C’e’ solo un
botão. Schiacci il pulsante, e viene fuori João. Semplice, no? Però
almeno quando la trovi, è "la casa di João". Mica come da noi
in Brasile dove la casa è il 389 di rua da Conceição dove, putacaso, abita
João. No, qui la casa
coincide con la persona. A Firenze, João è inchiodato nel piano regolatore
cittadino, altro che storie! Con tanto di nero su bianco nel documento.
Trovare casa (vabbé, insomma, un posto letto) non era un dramma. Di
abitazioni con il passaparola ne apparivano a vagonate. Lo scambio, e non
solo di informazioni, qui è la regola. Il problema, casomai, è il prezzo: ti
offrono mezza camera, mezzo gabinetto, mezza doccia, mezzo tutto, ma il prezzo
è sempre doppio rispetto a quello che ti aspetti. Io, ad esempio, pagavo 300mila lire al mese per la mia mezza camera. Eravamo in
sei e la proprietaria si prendeva un milione e 800mila vecchie lire quando
se avesse fatto le cose in regola le sarebbero toccate sì e no 400mila
lire. Per tutta la casa!!! Erano tempi di equocanone: roba sconosciuta,
per noi "viandanti", o quantomeno vietata. Accettavano solo
forestieri per fare in modo che nessuno sapesse che tu fossi lì. Figuriamoci
se rilasciavano ricevute o se ti fosse saltato in mente di chiedere la residenza:
li assaliva un delirio simile a quello che affligge i doganieri francesi alle prese con il passaporto brasiliano.
Tutto
ciò diventa però un dramma se devi fare i documenti: una situazione pirandelliana!
Avendo per fortuna la doppia cittadinanza, non rischiavo l’espulsione dopo i fatidici 3 mesi.
La fortuna però finisce qui. Giuridicamente, rientravo nella schiera dei
cosiddetti “italiani residenti all’estero”. In pratica, non avendo la residenza, non
potevo farmi rilasciare la carta d’identità, senza la quale non puoi
ottenere l’iscrizione al collocamento, senza la quale non hai
diritto alla tessera sanitaria. Insomma: lavori in nero. Se vuoi. Per non dire dell’assistenza
medico-sanitaria. Codice fiscale, tessera sanitaria... e chi le ha? Ah,
lei non le ha? Fuori di qua, allora… Tanto per farvi capire che non è uno scherzo,
ci ho messo un anno e mezzo per avere la residenza. E tutto il resto. Nel
frattempo: clandestino.
E, quel che è peggio, senza l’alone romantico alla Manu-Chao… ma del
lavoro vi parlerò in seguito.
Uso foresteria, please. Without pretese. Tornando alle case e, inevitabilmente, ai padroni, tanta furbizia prima o poi
si ritorce loro contro: finisce che prima o poi li si raggira. Ricordate
la mia "padrona", quella dello scaldabagno a ore? Teneva una stanza sempre chiusa a
chiave: metà ripostiglio, metà rifugio dalle magagne familiari. Dentro
c'erano tv, divano, e scorta di whisky. Beh, lì ci entravo quando volevo, e sovente
attingevo alla sua scorta etilica. E devo dire che la sua piccola tv mi ha fatto comodo,
più avanti, nelle altre case.
Una di queste era proprio
situata davanti al duomo, all’ultimo piano. E lì il padrone ti raccomandava rispetto per la piazza:
niente vestiti appesi, meglio non farsi vedere, molto silenzio, massimo
decoro. E quando il gruppetto di giapponesi vocianti, tutti uguali, là di sotto ti puntava la macchina
fotografica, gli mettevi il culo fuori dalla finestra. Così,
con nonchalance. Come si divertivano! Ogni tanto guardavo quelle cartoline finto-osé
che ti ammiccano fuori dai tabaccai, tra una Santa Maria Novella e un
piazzale Michelangelo, cercando di riconoscere il mio. Ma invano: mai
riuscito a vederlo in faccia, il mio culo.
Arredare casa a Firenze per fortuna non era un problema. Bastava
attendere il giorno del ritiro della roba usata, in cui tutti mettevano tutto sul marciapiede. Roba da non credere: tappeti, sedie, poltrone, radio, televisioni, persino frigoriferi. Una volta al mese
andavo a fare “shopping”. La roba migliore però bisognava conquistarsela
coi muscoli o, in assenza di questi, con la furbizia. Io, carente di
entrambi, preferivo starmene in branco. Come lupi, appena si scorgeva un divano o un lampadario che
poteva interessare, ci si piombava in quindici. A volte andava bene. La stanza spoglia,
insomma, non era un problema. Tempo un mese e armadio, frigorifero, cucina e tv erano
sistemati ognuno nel suo bravo angolo. Un signore, mi sentivo. In una
meravigliosa sensazione di stabile provvisorietà.
I compagni di stanza sono, a ben vedere, l’unico vero problema. Esistono
molti, differenti profili. C’e’ il puntiglioso. L’ombroso. L’esuberante.
Il comandino. Il bisognoso d’affetto. Ma con ciascuno di essi un modo di
startene in pace lo trovi sempre. Tranne che con uno, che purtroppo è un
profilo alquanto diffuso: il ladro. Non importa se ruba o meno qualcosa d’importante: basta che il pacco di pasta sia più leggero e
ti tocca chiudere tutto a chiave. Non dormi più, e allora ti tocca cambiare aria.
Ma in fondo queste piacevoli distrazioni sono comprese nel prezzo. Dopotutto, meglio
condividere mezza camera con uno sconosciuto che mezza vita con mamma e
papà…
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