Il Palmeiras affoga in "Segundona"

Triste epilogo del campionato brasiliano per la squadra
che ha visto giocatori come Altafini, Julinho e Careca

 

 

di Maurizio Mazzacane

  Affondato e impaurito. Retrocesso e osteggiato. Il Palmeiras affoga a Bahia e atterra in serie B: per la prima volta. Una macchia, un disastro. Il Brasileirão 2002, spietato e insensibile al fascino del blasone, sentenzia, condanna. Quattro titoli nazionali, molta gloria nei campionati estaduais, troppa storia da difendere e onorare: quello è il passato. La vergogna del declassamento: questo è il presente. Un posto assicurato in Segundona: questo è il futuro. Rincorsa inutile: approccio assai difettoso, sconfitte puntuali, poi una flebile reazione e una speranza diventata vana. Terz’ultima posizione, ventisette punti, caduta secca: il disegno di Levir Culpi, chiamato in corsa a guidare una squadra palesemente zoppicante, si scolorisce in una sera di novembre. Il ritorno a São Paulo è sofferto e grigio: all’aereoporto si apre una porta di servizio e la comitiva evita la tifoseria infuriata. “La gente ti ama oppure ti odia”, fa sapere il tecnico. Più terrena la seconda ipotesi, meglio svicolare. “Ci siamo svegliati tardi”: ma il Palmeiras, quest’anno, è un caso. Spinoso. Ademir da Guia, Altafini, Djalma Santos, Julinho e Careca sono passati da qui. Il cuore italiano del Verdão ha contribuito a creare storia e successi di uno dei club più seguiti, perché più affermati. No, il Palmeiras non è un vessillo comune. E la retrocessione non è un fatto qualunque. E’ la conferma di un calcio che si trasforma: e che, sempre più spesso, non riconosce le sue leggende. Di un calcio stritolato da scelte, condizionamenti e ingaggi, appiattito nei valori, sanguinante. La São Paulo calcistica che domina si congeda dal Palmeiras e anche dalla Portuguesa: il Brasileirão ha punito anche a Lusa.

Ventitreesimo posto, insufficiente per agganciarsi alla zona salvezza: un punto in meno del Paraná, due in meno dell’Internacional di Porto Alegre e del Paysandu di Belém. E un affronto consumatosi con rudezza proprio all’ultimo chilometro, sul rettilineo finale. E fatale. Anche per il Botafogo: sì, perché pure Rio perde un pezzo pregiato. Sì, il Botafogo che fu di Garrincha e Didi, di Niton Santos e Jairzinho. A estrela solitária caiu: rovinosamente. Ultimo posto assoluto, venticinque punti: responso che stordisce, per nulla attenuato dalla faticosa campanha del Flamengo (diciottesimo) o di quella del Vasco (quindicesimo). Rebaixamento avvilente, che edifica polemiche. Interne, consequenziali. Ed esterne: “Il prossimo anno disputeremo la serie B se lo faranno anche il Fluminense e il Bahia, che dal 2000 stanno partecipando al campionato senza averne il diritto, perché precedentemente retrocesse, ma ammesse al Brasileirão in qualità di club invitati dalla Cbf. Non possono esserci due pesi e due misure. E se così non sarà, ricorreremo”: Renato Lourenço Jorge, presidente ad interim del Fogão, annuncia battaglia legale. Confidando sul prestigio e sul peso specifico del club dei tredici: del quale il Botafogo continua a far parte. Ma, soprattutto, sullo spessore di un regolamento poroso e duttile che pochi comprendono e rispettano.

Però il Brasileirão 2002 è la voce del Santos e del Corinthians, le due facce di una finale tutta paulista per il titolo. Impressiona il cammino della giovane e irriverente formazione di Emerson Leão: partita per agganciare la salvezza, entra prepotentemente nel club degli otto ammessi alla lotteria dei playoff, rischia di terminare la regular season in testa al girone unico, subisce una flessione pericolosa proprio in coincidenza delle ultime interpretazioni, poi gestisce bene lo sprint e s’impadronisce dell’ultima posizione utile per passare il turno, vincendo al foto-finish la battaglia contro il Cruzeiro. Ai quarti di finale, il Santos trova il São Paulo, favorito ufficiale del torneo: due vittorie e passaggio in semifinale, dove attende il Grêmio. Vittoria in casa e sconfitta di misura a Porto Alegre: quanto basta per accedere alla decisão. Il passo del Corinthians è più regolare: terzo posto nella regular-season, poi facile affermazione -ai quarti- sull’Atlético Mineiro. La semifinale è più incerta, ma la Fluminense è piegata ugualmente.

L’ultimo capitolo è questione che si sbriga al Morumbi, la casa del São Paulo, terreno neutro di prestigio. La prima manche è del Santos: due a zero secco. Il Corinthians, il quindici dicembre, deve recuperare: basta vincere, con qualsiasi punteggio. Altrimenti, il titolo arriva sul litorale. Per la prima volta. Cioè, esattamente quello che accade. La gioventù santista è smaliziata: Robinho, nel corso del primo tempo, si guadagna e trasforma il penalty che indirizza la gara di ritorno e il campionato. Il Timão, a questo punto, può sopravvivere solo replicando con tre reti: quelle di Deivid e Anderson non bastano. Anche perchè, proprio nel finale, il Santos si rianima, pareggiando con Léo e imponendosi con Elano, complice l'ispirazione di Robinho. Il successo nella doppia sfida è insindacabile: e i diciotto anni di digiuno assoluto entrano nella galleria dei ricordi meno amati.