Recensioni |
Love songs/A quem me faz feliz |
Olha pra mim |
Cantada |
Amigo Baden |
Musica para dançar |
Café Brasil 2 |
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Ivan
Lins - "Love songs / A quem me faz feliz" Cuore, passione musicale e sensibilità interpretativa. Se il pubblico italiano non fosse così distrattamente anglofilo, avrebbe modo di affinare i propri gusti musicali ascoltando il compositore e interprete brasiliano più apprezzato fuori dai confini del proprio paese. Invece Ivan Lins è quasi sconosciuto in Italia, dove finora ha potuto fare solo fugaci apparizioni. L'occasione giusta per colmare questa lacuna la fornisce un disco uscito da pochi giorni anche nel Belpaese e destinato al mercato internazionale con un occhio anche al nostro ma soprattutto a quello statunitense, a cominciare dal titolo. Quattordici "Love Songs" che l'autore ha selezionato spigolando tra brani a cui è sinceramente legato e cover adeguate alle sue corde, come "Insensatez" di Jobim, "She" di Aznavour e "Love" di John Lennon. Ma il disco, dedicato all'artista brasiliano recentemente scomparso, Mario Lago, è tutt'altro che una fredda e manierosa sequela di evergreen come l'elegante confezione lascerebbe supporre: da musicista sensibile e appassionato quale è, Lins ci dispensa alcuni "effetti speciali" come un'eccellente versione di "Esta tarde vi llover" del cantautore messicano Armando Manzanero, oltre alla riproposizione in lingua italiana della sua "Te amo" (tradotta da Max De Tomassi). Ma i vertici si toccano in un memorabile duetto con l'inarrivabile Jane Monheit nell'elegante interpretazione di "Love dance", scritta dallo stesso Lins insieme a Paul Williams. Sussulti e emozioni assicurati anche ascoltando l'altro duetto del disco con Wanda Sà in "Plus fort que nous", classico di Francis Lai, così anche con "Ex-amor", samba "cheio de saudade" di Martinho da Vila. L'autore non manca di deliziarci con qualche suo brano come "A quem me faz feliz" che completa il titolo all'album, scritto con Abel Silva, con "Fogueiras", composto con il suo "antico" paroliere Vitor Martins, e soprattutto con "Visionarios", che reca un nuovo testo "cinematografico" del compositore Celso Viàfora, miglior paroliere oggi in Brasile, a nostro avviso. Disco da amare svisceratamente e a cui abbandonarsi, in vena di tenerezze, davanti a uno scoppiettante camino.
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Altra produzione Universal Music, altro discorso delicato e imbarazzante. Questa volta, in pieno traffico di andata e ritorno tra piccole etichette (Trama) e multinazionali esperte e smaliziate (Universal, appunto), con Ed Motta e Luciana Mello che si incontrano viaggiando in direzione opposte (e forse non per coincidenza). La sorellina di Jair Oliveira si imbarca, dopo un primo lavoro di discreto successo e grandi promesse, in una produzione costosa e un po’ ruffiana, con l’intento evidente di costruire a tavolino un CD di musica black che rinverdisca i fasti del genere secondo standard piuttosto nordamericani. L’operazione riesce solo per metà, per la precisione la metà composta e arrangiata dal fratello. Sui relativi brani niente da dire: ottima melodia, miscela prevedibilmente piacevole di soul, samba e funk molto easy listening ma innegabilmente di buon gusto. Voce ben calibrata, che scorre come un cappuccino caldo e profumato, senza lasciare troppa memoria di sé a parte alcuni guizzi notevoli: “Prazer e Luz”, “Quando Voce me Olha”, “Minha Flor do Cerrado” e la bellissima “Por Amor a Voce”, elegante ballad in compagnia di un efficace Pedro Mariano. Quanto all’altra metà, in parte firmata da Edu Tedeschi, c’è da rimanere parecchio perplessi. L’ideale di “musica nera con potenziale commerciale ma anche una dose di raffinatezza” si perde per strada e la sequenza di canzoni finisce per assomigliare sinistramente alla programmazione di Radio Dimensione Suono. Pop ben suonato ma anonimo e un po’ incolore, fatta eccezione per la discreta “A vida continua” e per la parceria con l’immarcescibile Motta (sempre lui, appunto) “Contrato com Deus”. Quale delle due è la vera Luciana Mello? Sospendiamo per il momento il giudizio, limitandoci a notare che la cantante è giovane, brava, decisa ed ha larghissimi margini di maturazione. Ma bisogna anche notare che il sound degli Artistas Reunidos, ormai tracimato al di fuori della Trama, dovrebbe evitare di cacciarsi in cul-de-sac di questo genere. Dovrebbe provare a cercare soluzioni nuove e meno tenacemente attaccate al modello iniziale, osando di più e concedendo meno al mercato “radiofonico”. Per quanto lo si possa discutere e contestare, un tipo come Max de Castro sembrerebbe averlo capito bene.
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Adriana
Calcanhotto - "Cantada" Adriana Calcanhotto, sin da quando aveva una “t” in meno nel cognome, ha definito via via sempre meglio la propria estetica, oggi molto riconoscibile, spesso intessuta di indolenti sentimenti, imperfette emozioni e vasti pensieri, e questo disco non fa che confermarne la finissima scrittura, tra l’altro in gran parte di suo pugno, a differenza di quanto successo in precedenza. Lo spleen esistenziale della cantautrice di Porto Alegre (ironia della sorte), raggiunge in questo disco anche una nuova coscienza stilistica e formale, in ciò aiutata da alcuni ospiti come Moreno Veloso +2, Daniel Jobim, Los Hermanos e Bossacucanova. Da segnalare in particolare il delicato duetto voce (lei) / piano (Daniel Jobim) in Noite, composta da Orlando Morais e Antonio Cicero, ma anche il fado tropicalista di Calor, o anche il brano d’apertura, “Programa”, con Moreno +2. E tutto il disco è un po’ pervaso di questa delicatezza, a differenza ad esempio di Maritmo, un po’ più rumorista. Degne di nota “Cantada (Depois de ter vocé)”, esemplare per l’uso discreto delle tastiere e del sampling: azzardiamo e diciamo che forse Adriana ha ascoltato più di quanto si potesse sospettare la lezione della “discreet music” di Brian Eno, e l’ha volta al lato cantautorale. Molto riuscita anche l’accoppiata dei brani “Sou sua” e il complementare “Intimidade (sou seu)”, scritti da Pericles Cavalcanti, che nel secondo suona anche il piano. Interessante la versione di “Music/Impressive”, dal repertorio di Madonna, resa con una strumentazione essenziale fatta solamente di chitarra (lei), piano (Daniel Jobim) e voci (entrambi). Certo, Adriana può non sconvolgere che cerca nella musica sangue, sudore e lacrime, ma le sue sottili elegie, in questo disco ancora più asciutte del solito, e perciò dall’effetto ancor più amplificato, possono avere un esito ipnotico e estremamente ammaliante. O persino straniante, come nel caso del penultimo brano “Jornal de serviço (Leitura em diagonal das paginas amarelas)”, versione vagamente futurista-tropicalista e drum’n bass di un poema di Carlos Drummond De Andrade, eretta sul tappeto sonoro fornito dai Bossacucanova.
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Irio
de Paula -
"Amigo Baden"
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DJ Zé Pedro – “Musica para Dançar” Strana esperienza quella di ascoltare “Musica para Dançar”, con le sue luci e le sue ombre che tormenterebbero qualunque critico con un interesse anche solo tangenziale per il dialogo tra pop music tradizionale e nuova musica elettronica. In questo caso il progetto è talmente semplice e scoperto da risultare quasi imbarazzante: Zé Pedro lavora di pesante “taglia e incolla” in un puro lavoro di remix, che dovrebbe rendere fruibile nei dancefloor 2002 la crème de la crème della MPB, quella considerata più sacra e intoccabile per intenderci, da Milton Nascimento a Maria Bethania a Edu Lobo. La reazione di un qualunque purista sarebbe l’istantaneo e forse motivato grido di orrore, ma non è questo a interessarci qui. Una volta accettato il gioco e le sue regole, conviene invece chiedersi se i risultati giustifichino il sacrilegio e se il CD crei davvero qualcosa che vada oltre la semplice somma delle parti (campionamenti d’annata e ritmi sintetici). La risposta, lo diciamo subito, è inevitabilmente ambigua e articolata. Questo matrimonio tra i due mondi (ben diverso dagli esperimenti di un Suba o un DJ Patife, per intenderci) è quanto di più vicino a un cyborg musicale possa attualmente essere concepito e, come tutti sappiamo, il cyborg ha il suo fascino fisico e intellettuale quanto la sua ripugnanza e estraneità emotiva. Così scorrono in processione di fronte alle orecchie attonite dell’ascoltatore brutture inaccettabili (il samba di Alcione è francamente deturpato, il groove quasi disco di Marcos Valle parecchio mediocre e certo Dorival Caymmi si rivolterebbe nella tomba sentendo il suo “Retirantes” squadrato, metronomizzato e metallizzato) come episodi piacevoli o addirittura geniali. Elis Regina, ad esempio, risorge temporaneamente dal suo mausoleo quasi divino come una sorta di moglie di Frankestein traballante ma aggraziata, rinforzata ciberneticamente e ibridata con loop irresistibili. La creatura apre gli occhi, si alza, e pulsa con una sua forza aliena e inaspettata. Funziona, insomma, per quanto improbabile sia l’audace scintilla digitale che gli ha dato vita artificiale. Allo stesso modo avvince il technoxaxado di Gal Costa, un “Sebastiana” spolverato e rimesso a nuovo con sapienza per il clubbing del nuovo millennio, e scorre naturalissimo il groove di Adriana Calcanhotto, tra giochi linguistici e malinconica limpidezza vocale. “Ponteio” addirittura acquista una nuova luce e una modernità impensata rispetto all’originale (mi perdoni Edu Lobo), mentre Caetano e Gil sembrano fatti apposta per energizzare le piste (e questo in effetti stupisce poco) senza perdere umanità nel filtraggio cibernetico. Lo so, vi starete chiedendo se “Musica Para Dançar” vale l’acquisto. Nella misura in cui siete disposti a tollerare un remix di eroi ed eroine intoccabili, siete aperti all’elettronica e pronti a ballare concedendo spazio al cervello (e quindi a una certa dose di gusto estetico), la risposta è un sofferto e non banale “sì, forse”.
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Epoca De Ouro Ensemble &
Guests - "Café Brasil 2"
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