La carica dei cinquanta Quasi tutti giovani, molti dei quali sconosciuti
i calciatori
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Piedi
dolci, tecnica esuberante, resistenza limitata alla fatica sistematica,
molta saudade. Stereotipo pronto
del calciatore brasiliano oltre confine: luogo comune utile per discutere,
scrivere, titolare giornali, riviste e commenti. Etichetta frettolosa, che
il tempo ha parzialmente rimosso: sul campo, Dunga
sconfessò troppe convinzioni. Con un calcio concreto, spesso duro,
comunque redditizio, non propriamente bailado:
a Firenze come a Pisa. Anni ottanta, quasi l’altro ieri. Poi confermò
il concetto Vampeta, entrato
per pochi attimi nella vita dell’Inter. Sottoscrivono anche oggi in
tanti: Kléberson e Gilberto Silva, ad esempio, sono l’anima proletaria del Brasile pentacampeão.
Ovvero, la faccia del Brasile che produce senza brillare di luce propria.
E che non sempre catalizza l’interesse dei media, della grande fetta di
pubblico. Abile, fantasioso, famoso:
stereotipo comodo per commercializzare volto e qualità del brasiliano
catturato dall’Europa. Sbarcato al di là dell’oceano per esigenza:
quella di guadagnare visibilità, competere, affermarsi. E vincere: la Liga,
la Premier League o lo scudetto.
Magari, la Champion’s. Oppure
per assicurarsi un ingaggio decente, vivendo nell’ombra. Al buio delle
categorie inferiori, sfuggendo la recessione. E sperando: in un domani
migliore. Il Brasile, in Italia, ieri era Ronaldo
ed oggi è Rivaldo, contrattato
dal Milan l’ultima estate e strappato al Barcellona. Cafu, Aldair, Emerson
e Lima sono i quattro nomi della Roma che pochi mesi addietro vinceva
e che, di questi tempi, fatica a consolidare un prestigio sfuggente: anche
per questo il capitano della Seleção si sposterà altrove. Forse proprio
in questi giorni. Il Brasile, in Italia, resta comunque il lato migliore
di se stesso: è Leonardo,
rientrato al Milan di Ancelotti, è Serginho,
oppure è la fisicità debordante del rampante Adriano,
approdato recentemente a Parma e gradito da molti club. Dietro, però,
esiste un retroterra. Una scia meno luminosa. Un mondo sommerso, o quasi.
Tutto rigorosamente verde ed oro. Lo sanno in pochi, ma i brasiliani che
si agitano nel calcio professionistico italiano sono cinquanta. Quasi
tutti giovani, molti dei quali sconosciuti. Scortati da un passato
anonimo, arricchiti di entusiasmo genuino: con un presente da decodificare
e un futuro da scoprire. Non solo Cafu e Rivaldo, sì. Non
solo cognomi e apelidos impartanti. La serie A, per esempio, offre spazio ad Inácio
Piá, ventenne attaccante dell’Atalanta, praticamente cresciuto nel
vivaio bergamasco. Oppure a Matuzalém,
ventiduenne centrocampista del Brescia, passato anche da Napoli, ex Vitória
Bahia. Emilson Sanchez Cribari, invece, si esprime ad Empoli e arriva da
Londrina: ha ventidue anni, promette e chiede spazio: lo cerca la Juventus.
Varley è un attaccante del
’78, ex São Paulo e Atlético Paranaense, ed è nato a Brasília: gioca
ad Udine, in compagnia del centrocampista Alberto,
ventisettenne già nell’organico del Guarani e dello stesso Atlético
Paranaense. Centrocampisti sono pure il reggino Mozart
(ventitre anni, da Curitiba) e Júnior,
ventinovenne ex Palmeiras e Vitória che a Parma ha incrociato anche il
decoratissimo Taffarel, già
guardasigilli della Seleção, oggi trentaseienne. La truppa dei brasiliani del Milan,
a parte i già citati Rivaldo, Serginho e Leonardo, si completa con il
portiere Dida, ex Corinthians, integrato nella lista dei ventidue che hanno
acquisito il titolo mondiale a Yokohama. Un altro pentacampeão, il difensore Rocque
Júnior, è stato invece appena tagliato.
Ma il difensore del Como Juarez
(ex Lecce), il laterale del Perugia Zé
Maria (ex Flamengo, Portuguesa e Ponte Preta) e il paulista César, ventottenne laziale che proviene dal São Caetano, godono
probabilmente di minore notorietà. Un capitolo a parte, invece, merita il
veloce Luciano del Chievo
Verona, meglio conosciuto come Eriberto,
al centro di uno spinoso caso sportivo-legale esploso prima del campionato
in corso e a lungo squalificato per aver artefatto dati anagrafici e
passaporto. Il
plotone dei brasiliani della serie B è meno fitto, ma ugualmente corposo:
il più stimato è Luis Oliveira,
trentatreenne punta del Catania, ex Fiorentina, naturalizzato belga. Il
Cosenza, invece, può contare sullo stagionato difensore Marco Aurélio. A Salerno risiedono il ventiduenne attaccante Babu
de Oliveira, il centrocampista Teco
e l’attaccante Renato Rafael Bondi, un carioca dell’81. Sempre a Salerno, ma nelle formazioni giovanili, sgomita anche
il dotato Aragão, classe 1986.
Amáuri è un attaccante
ventiduenne in forza al Messina che vanta un’esperienza in Svizzera,
mentre Fábio César Montezine,
centrocampista ventitreenne di Londrina, è a disposizione del Napoli. Il
Palermo si affida alle prestazioni dell’ex veneziano e flamenguista Bilica, un difensore; il Siena sull’agilità e l’inventiva del
ventunenne Pinga, attaccante di
proprietà del Torino. Adaílton,
già impegnato con Guarani, Juventude e Parma, è una delle punte del
Verona; Jeda è a Vicenza da
diverso tempo. Scendendo di categoria, la presenza brasiliana si dirada: eppure esiste, pulsa. Paco Soares è un attaccante ventitreenne che cerca la salvezza con l’Arezzo; Fábio Eduardo Cribari è un difensore ventisettenne cartellinato con la Lucchese; la punta Ferreira Reginaldo ha diciannove anni e gioca a Treviso. Sempre in C1, ma nel girone meridionale, L’Aquila può beneficiare dell’apporto degli attaccanti paulisti Adriano e William, mentre il Lanciano garantisce lo stipendio a quattro giocatori: i centrocampisti Mezavilla, Paulo Magno e Ribeiro e la punta Ferreira Pinto. Un gradino più sotto, in C2, operano José Reis Odair (ventun anni, attaccante, vincolato all’Alto Adige di Bressanone), il centrocampista Cléiton del Mantova, ma di proprietà del Chievo, l’artilheiro Inácio del Pavia, l’esterno Robert del Pordenone, il difensore paulista Dedé (Thiene), il gaúcho Everton e Vinícius Zart (centrocampisti in forza al Trento) e l’attaccante Fonseca della Puteolana. Il Catanzaro, invece, ha tesserato Machado Robson Toledo centrocampista paulista, e Machado Rodrigo Batista, mineiro del 1982. Cinquanta nomi, cinquanta storie brasiliane. In mezzo rotola un pallone. E il pallone non è sempre docile per tutti.
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