LA TRIBUNA DI MESTRE BAIXINHO La Capoeira in Italia: cultura o moda?«Bisogna far capire che non é solo una sequenza di movimenti
di Luiz Martins de Oliveira (mestre Baixinho)
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Da questo numero prende il via una nuova rubrica sulla capoeira condotta da Luiz Martins de Oliveira, più conosciuto come Mestre Baixinho, autorevole insegnante brasiliano di questa disciplina da tempo residente in Italia e responsabile dell'Associazione Italiana di Capoeira "Filho de São Bento Grande", di Milano.
L’Europa
vanta una lunga tradizione di “scoperte”, frutto degli sforzi di
ricerca dei suoi esploratori, scienziati e intellettuali, che, per secoli,
ne hanno fatto la locomotiva dei processi di modernizzazione del pianeta. Accanto
agli indiscutibili successi di cui è costellata la storia del
vecchio mondo, esiste tuttavia una lunga lista di episodi di
“appropriazione indebita” di scoperte che riflettono quella che fino
alla seconda guerra mondiale era la mentalità dominante: l’Eurocentrismo.
Come
spesso avviene ancora oggi nella psicologia collettiva degli uomini, ciò
che è diverso e incomprensibile per il proprio gruppo sociale di
riferimento, deve essere ricondotto a concetti familiari, a conferme della
propria identità.
Questo
porta a svuotare di significati tutto quello che non corrisponde alle
propria visione di ciò che ha “valore” sia perché economicamente
rilevante, esteticamente bello o culturalmente significativo.
Perche’
questa lunga premessa e cosa c’entra tutto questo con il tema della
capoeira in Italia? Una
ladainha che canto spesso recita “qui nao conhece a capoeira nao pode
dar seu valor”. Negli
ultimi anni ho visto una crescita impressionante del numero di capoeristi
in Italia, una fioritura di accademie e gruppi vari ed una attenzione
sempre maggiore da parte degli organi di informazione. Spesso
però giornali e televisioni hanno parlato della capoeira come di
una moda, dimostrando ancora una volta come il retaggio culturale dell’eurocentrismo
rimanga ancora ben radicato in alcuni settori della società italiana. Questa
percezione è piuttosto diffusa (forse a Milano, città dove la moda è sinonimo di non duraturo, passeggero, questo si avverte
più che in
altre città italiane) ed è avvilente per chi ha dedicato tanti anni all’insegnamento della capoeira.
La
capoeira esiste da secoli in Brasile, ma fino a poco tempo fa l’Europa
quasi ne ignorava l’esistenza (come abbiamo visto in precedenza non e’
la prima volta che questo accade). Di
nuovo, all’improvviso un paese europeo “scopre” oggi qualcosa che
esiste da lungo tempo: una forma di espressione che racconta della
sofferenza degli schiavi deportati, una pratica che fonde elementi
culturali africani a tradizioni nate
in Brasile. Tutto
questo viene ridotto a un simpatico fenomeno di costume, semplicemente
perché la notorietà della capoeira è cresciuta al punto di
attirare l’attenzione della stampa che spesso, però, si dimostra più
interessata a creare eventi e mode che non a diffondere informazione e
cultura. Una
precisazione è comunque doverosa in relazione a molte testate che
hanno resistito alla tentazione di “europeizzare” la capoeira in una
moda, fornendo invece maggiori spunti di riflessione sul tema. Certamente
sopravviverà anche al tentativo di coloro che non la conoscono di
ridurla ad un fenomeno di moda; ma se questo accadrà o meno in Italia
dipenderà solo dalla capacità dei capoeristi italiani di coglierne
appieno la valenza culturale, gli aspetti di ricerca, la musica, il
movimento, il divertimento del gioco, la malicia e di respirarne la grande
energia a polmoni (e mente) aperti. hanno collaborato Turco e Titti.
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