LA TRIBUNA DI MESTRE BAIXINHO

La Capoeira in Italia: cultura o moda?

«Bisogna far capire che non é solo una sequenza di movimenti
armoniosi, ma un lascito culturale che viene da molto lontano»

 

 

di Luiz Martins de Oliveira (mestre Baixinho)

 

Da questo numero prende il via una nuova rubrica sulla capoeira condotta da Luiz Martins de Oliveira, più conosciuto come Mestre Baixinho, autorevole insegnante brasiliano di questa disciplina da tempo residente in Italia e responsabile dell'Associazione Italiana di Capoeira "Filho de São Bento Grande", di Milano.

    L’Europa vanta una lunga tradizione di “scoperte”, frutto degli sforzi di ricerca dei suoi esploratori, scienziati e intellettuali, che, per secoli, ne hanno fatto la locomotiva dei processi di modernizzazione del pianeta. Accanto agli indiscutibili successi di cui è costellata la storia del vecchio mondo, esiste tuttavia una lunga lista di episodi di “appropriazione indebita” di scoperte che riflettono quella che fino alla seconda guerra mondiale era la mentalità dominante: l’Eurocentrismo. Diverse sono state le forme che questa visione ha assunto nei vari paesi europei (o nelle loro colonie), ma ne è sempre stato tratto distintivo l’incapacità di comprendere, e perciò valorizzare, tutto ciò che sfuggiva alla comprensione delle elite politiche e intellettuali europee, a volte con conseguenze drammatiche. Un esempio, per chiarire il concetto. Una mattina del 1492 le caravelle di Colombo avvistano le coste delle Americhe e l’Europa scopre il nuovo mondo. Poco importa che culture secolari già si fossero sviluppate in quelle terre, a volte raggiungendo livelli di civilizzazione e progresso sociale paragonabili a quelli delle potenze europee dell’epoca (benché la supremazia militare ed economica di queste ultime fosse sempre schiacciante). Il “nuovo” mondo era tale perché fino a quel giorno, nelle corti di Spagna, Inghilterra, Francia e Portogallo se ne ignorava l’esistenza. Così un mondo che l’Europa semplicemente non conosce diventa d’improvviso una sua scoperta, le sue genti, un gruppo di selvaggi da piegare al lavoro forzato, le sue culture pre-esistenti superstizioni o folclore. I popoli d’Europa confermavano così a loro stessi la propria superiorità, cancellando tutti i modelli alternativi esistenti. Tutto questo, in una parola, e’ l’essenza dell’Eurocentrismo. 

Come spesso avviene ancora oggi nella psicologia collettiva degli uomini, ciò che è diverso e incomprensibile per il proprio gruppo sociale di riferimento, deve essere ricondotto a concetti familiari, a conferme della propria identità. Questo porta a svuotare di significati tutto quello che non corrisponde alle propria visione di ciò che ha “valore” sia perché economicamente rilevante, esteticamente bello o culturalmente significativo.  

Perche’ questa lunga premessa e cosa c’entra tutto questo con il tema della capoeira in Italia? Una ladainha che canto spesso recita “qui nao conhece a capoeira nao pode dar seu valor”. Negli ultimi anni ho visto una crescita impressionante del numero di capoeristi in Italia, una fioritura di accademie e gruppi vari ed una attenzione sempre maggiore da parte degli organi di informazione. Spesso però giornali e televisioni hanno parlato della capoeira come di una moda, dimostrando ancora una volta come il retaggio culturale dell’eurocentrismo rimanga ancora ben radicato in alcuni settori della società italiana. Questa percezione è piuttosto diffusa (forse a Milano, città dove la moda è sinonimo di non duraturo, passeggero, questo si avverte più che in altre città italiane) ed è avvilente per chi ha dedicato tanti anni all’insegnamento della capoeira.   

La capoeira esiste da secoli in Brasile, ma fino a poco tempo fa l’Europa quasi ne ignorava l’esistenza (come abbiamo visto in precedenza non e’ la prima volta che questo accade). Di nuovo, all’improvviso un paese europeo “scopre” oggi qualcosa che esiste da lungo tempo: una forma di espressione che racconta della sofferenza degli schiavi deportati, una pratica che fonde elementi culturali africani a tradizioni nate  in Brasile. Tutto questo viene ridotto a un simpatico fenomeno di costume, semplicemente perché la notorietà della capoeira è cresciuta al punto di attirare l’attenzione della stampa che spesso, però, si dimostra più interessata a creare eventi e mode che non a diffondere informazione e cultura. Una precisazione è comunque doverosa in relazione a molte testate che hanno resistito alla tentazione di “europeizzare” la capoeira in una moda, fornendo invece maggiori spunti di riflessione sul tema.

Vedo però il rischio che la capoeira diventi davvero un fenomeno di moda qui in Italia se coloro che la insegnano (e oggi ai primi Mestre che come me sono arrivati qui più di 10 anni fa si sono aggiunti molti altri di origine brasiliana e italiana) non passeranno ai loro allievi la consapevolezza che la capoeira non è solo una sequenza di movimenti armoniosi, ma un lascito culturale che viene da lontano, da molto lontano. Ovviamente più la cerchia di capoeras italiani si allarga, più è facile che si perdano di vista quegli aspetti di ricerca meno immediati della capoeira. Un modello alternativo di aggregazione, scambio e gioco che è sopravvissuto ai tentativi di repressione dei coloni portoghesi e della polizia militare brasiliana.

Certamente sopravviverà anche al tentativo di coloro che non la conoscono di ridurla ad un fenomeno di moda; ma se questo accadrà o meno in Italia dipenderà solo dalla capacità dei capoeristi italiani di coglierne appieno la valenza culturale, gli aspetti di ricerca, la musica, il movimento, il divertimento del gioco, la malicia e di respirarne la grande energia a polmoni (e mente) aperti.

 

hanno collaborato Turco e Titti.