"Racconto la rabbia degli esclusi"

Intervista a Beto Brant, regista del film "O Invasor"
presentato al Festival del Cinema latino americano

 

 

di Gianluca Notarianni

 

(em portugues)   

Conclusasi da poco a Trieste la XVII edizione del Festival del Cinema latino americano (http://www.apclai.org) nella quale sono state presentate oltre 150 opere, tra film in concorso, documentari e cortometraggi in rappresentanza  di oltre 20 nazioni, un'appendice itinerante della rassegna è in corso durante il mese di novembre nelle città di Milano, Cremona, Roma e Torino. 

Abbiamo approfittato della presenza nella rassegna del film brasiliano "O Invasor" per intervistarne il regista, Beto Brant. Il lungometraggio è stato vincitore quest'anno del premio come miglior film latino americano al Sundance Film Festival; è stato inoltre selezionato al Festival del Cinema di Berlino e presentato fuori concorso al Festival del cinema latino americano appena terminato.

 

Qual è la fonte d'ispirazione dei suoi film?

Il punto di partenza - risponde Brant - è l' inquietudine dello scrittore Marçal Aquino, con cui ho collaborato sin dal mio primo lungometraggio "Belly Up". Nato come giornalista, Marçal esprime nei suoi scritti tutto il malessere della società attuale che si manifesta attraverso la  perdita di moralità e l'instaurarsi di forti conflitti sociali; la nostra intenzione è sempre stata quella di essere testimoni del nostro tempo denunciandone le profonde contraddizioni. Adoro il cinema, così come la letteratura. Se la mia intenzione fosse quella di ricercare la verità, allora farei documentari, mentre invece ho necessità di personaggi, trama e dialoghi.

Nel film “O Invasor” lei ha voluto raccontare la violenza brasiliana?               

Nel film la violenza non è esplicita, ma le radicate differenze sociali  sono evidenti. Non ci interessava l'adrenalina provocata nel vedere fatti delittuosi, ma le motivazioni che determinano un atteggiamento di aggressione e di violenza. Secondo Ivana Bentes, studiosa di cinema brasiliano, negli anni '70 le opere di Rubem Fonseca hanno raccontato la rabbia degli esclusi che rubano, stuprano e compiono omicidi solo per raggiungere quello che la società nega loro. Anísio, protagonista del film, vede la Tv per individuare i suoi desideri primari: discoteca, macchina, vestiti eleganti, casa con piscina, droghe. E il suo principale interesse è quello di poter accedere a tutto questo.

Cosa l'ha spinta a girare questo film?

Sicuramente l’intolleranza, l’esclusione sociale, l’edonismo e il decadimento morale sono le ragioni profonde che mi hanno motivato quando decisi di  girarlo, ma durante la stesura della sceneggiatura avevo paura che venissero male interpretati. Per ora non è successo: quando il film è uscito nei cinema brasiliani la critica ha dato molto risalto allo scontro tra le varie classi sociali suscitando un senso di inquietudine nella coscienza della classe borghese.     

Ma c'è un fatto preciso che le ha fatto prendere la decisione?

Marçal Aquino, sceneggiatore ed autore del libro "O Invasor", mi fece leggere le prime venti pagine del romanzo che stava scrivendo. Decidemmo di farne un film, ancor prima che il racconto fosse terminato. Scrivemmo la sceneggiatura e Marçal  riuscì a completare il romanzo solo durante le riprese del film, iniziate due anni più tardi. Egli è un magnifico romanziere oltre a essere molto abile nel descrivere i tratti biografici di ciascun personaggio: io non sarei mai riuscito a inserire nel film tutti i risvolti personali dei suoi personaggi. Quello che in letteratura è un ingegnoso uso del linguaggio, nel cinema sarebbe stato ritenuto schizofrenia.

Lei ha scelto San Paolo come scenario  per il suo film. Ci può descrivere questa città in relazione al resto del Brasile?

San Paolo è la cartina di tornasole dei grandi squilibri sociali esistenti in Brasile. E' una megalopoli in cui scenari da "primo mondo", quali migliaia di attività commerciali, imprese, industrie siderurgiche, di telecomunicazione e  multinazionali, pur sempre soggette alla "benevolenza" dei grandi capitali provenienti dall'estero, fanno da contraltare a situazioni di estrema povertà e di degrado socio economico nel quale vive gran parte della popolazione. Per queste grandi masse, escluse dalle attenzioni dello stato, esiste un muro immaginario che li separa dalla prospera São Paulo, da loro definita come "Babilonia".

Perché ha scelto rap, rock e musica elettronica come colonna sonora del film?

La musica definisce stili, idee, modi e ritmi di vita.Il rap è la letteratura delle periferie, è uno strumento di denuncia poiché mostra la miseria, evidenzia l'odio e dà rilevanza al caos. Il rapper Sabotage ha portato nel film l'anima del ghetto, lo slang e i gesti cifrati dei fuorilegge. La sua musica racconta il mondo della favela con estremo senso di umanità, ironizzando sulle precarie condizioni in cui  i suoi abitanti vivono, protestando per la mancanza di attenzione, di dignità, di cibo, di salute. L'hard rock dei "Tolerância Zero" rende sorda la coscienza, mentre la musica elettronica ha stretto un sinistro patto con le droghe.

Quali sono i suoi registi preferiti?

Scelgo di assistere a un film per il tema trattato od anche per il suo titolo, se questo è particolarmente eccentrico. Ma non posso negare la mia ammirazione per maestri del calibro di Bertolucci, Ferrara, Wenders, Almodovar, Antonioni, Scorsese, Wang, Herzog, Malle, Kubrick, Babenco, Loch. Non si diventa  maestri per caso. 

Perchè ha scelto Paulo Miklos come attore principale?

I Titãs sono una delle più importanti band di rock brasiliano degli ultimi 20 anni. Paulista e anarchica, incitò la ribellione di una generazione addormentatasi dopo la caduta del regime militare. Paulo Miklos, compositore, voce e musicista dei Titãs, è un artista che accetta le sfide senza alcun tipo di paura. Questa è stata la sua prima partecipazione a un film, ma ha tutto ciò di cui un attore ha bisogno: acume, intuito e stile.  

 

 

 

(em portugues)

 "Conto a raiva dos excluídos"  

Entrevista a Beto Brant, diretor do filme "O invasor"
apresentado no Festival de Cinema Latino Americano 

 

 

por Gianluca Notarianni

   Terminou em Trieste a XVII edição do Festival de Cinema Americano 
(http://www.apclai.org) no qual foram apresentadas mais de 150 obras, entre 
filmes participantes ao concurso, documentarios e curta-metragens representando 
mais de 20 nações, um apêndice itinerante do evento acontece no mês de novembro 
nas cidades de Milão, Turim, Cremona e Roma. Aproveitamos a presença de Beto 
Brant, diretor brasileiro do filme "O invasor", para entrevistá-lo. O seu longa-
metragem venceu o prêmio de melhor filme latino-americano ao Sundance Film 
Festival; foi também selecionado para o Festival de Cinema de Berlim e 
apresentado hors-concour no evento italiano recém-terminado.

Qual o ponto de partida dos seus filmes?

O ponto de partida é a inquietação do escritor Marçal Aquino, companheiro desde o primeiro filme "Belly Up". Jornalista de formação, Marçal nutre sua literatura do mal estar comtemporâneo, da desorientação ética e do confronto social. Nosso compromisso sempre foi de testemunhar nosso tempo, sem denunciar nomes, mas indicar contradições confundindo julgamentos. Gosto de cinema como gosto de literatura. Se minha intenção fosse buscar verdades, faria documentarios. Preciso dos personagens, da trama e da linguagem. Ninguém está impune, ninguém deixa de se trair uma vez sequer.

Em o Invasor vc quis retratar a violência brasileira?

A violência em O Invasor não é explícita mas a exclusão social crônica no Brasil é uma fratura exposta. Não nos interessa a adrenalina do ato de agressão, mas as motivações do agressor. Segundo uma pensadora do cinema brasileiro, Ivana Bentes, nos anos 70, a literatura de Rubem Fonseca mostrou o rancor do excluído, que agride, rouba, mata, estupra como maneira de cobrar o que lhe devem: comida, cobertor, sapato, carro, relógio, dentes,.. Anísio, o protagonista de O Invasor, "vê TV para formatar o seu desejo: boate, carro, casa com piscina, moda, atitude, drogas, todo tipo de hedonismo que lhe é vendido e ele quer apenas ser inclúido." Parece ser camarada, mas não se engane, ele é PHD na escola da crueldade. 

O que te motivou rodar O Invasor?

Seguramente os conceitos de intolerância, exclusão, ética, hedonismo e degradação moral foram motivadores quando me propus a fazer o filme. Tive receio da má interpretação ainda no roteiro. Não ocorreu, por enquanto. Durante o lançamento do filme no Brasil, a crítica, sem exceção, reforçou o enfrentamento de classes e o chacoalhão na conciência burguesa. 

Como vc decidiu rodar o Invasor?

O Marçal Aquino, roteirista e autor do livro "O Invasor", me entregou para ler as primeiras 20 páginas do romance que estava escrevendo. Resolvemos adaptá-lo para cinema, antes mesmo de que ele concluisse o restante da história. O roteiro foi feito e o Marçal só retomou a escrita do livro durante as filmagens, dois anos depois. O Marçal é muito habilidoso na construção da biografia dos personagens. Na verdade, ele é um magnífico contador de histórias, e eu jamais poderia abrir todos os parênteses biografados pelo escritor e colocá-los na tela. O que na literatura é um talentoso recurso de linguagem, no cinema seria chamado de esquizofrenia.

Vc escolheu São Paulo como cenário para o seu filme. Fale um pouco dessa cidade perante o resto do Brasil?

Dentro do Brasil, São Paulo é considerada uma metrópole cosmopolita: milhares de negócios, empresas, industrias multinacionais, siderurgias, serviços, telecomunicações, convergências de milhões de pessoas que migram atrás de trabalho, enfim, um verdadeiro império do poder econômico sujeito a instabilidade do mercado internacional e a "benevolência" das instituições financeiras dos países "desenvolvidos". Para as gigantescas hordas de desempregados, sub-empregados, marginalizados, habitantes das enormes bairros perifericos, longe da atenção do estado, existe um muro imaginário que os separam da próspera São Paulo, por eles chamada de "Babilônia". 

Por quê vc escolheu rap, rock e música eletrônica como temas musicais?

A música define atitudes, idéias, maneiras e rítmos de vida. O rap, é a literatura da periferia, instrumento de denúncia, exibe a miséria, expõe o ódio e dá sentido ao caos. O Sabotage trouxe para o filme a alma do gueto, a gíria e o gesto cifrados dos fora da lei. Suas músicas trazem a crônica da favela, com extremo senso de humanidade. Ironiza a precariedade em que vivem e reclama a falta de atenção, a falta de dignidade, a falta de comida, a falta de saúde, a falta de perdão, a falta de juízo, a falta de se mancar da tremenda injustiça dos homens. O hard rock do "Tolerância Zero" aperta os bagos do playboy maucaráter, ensurdece a sua conciência, e lhe dá murros de realidade. A música eletrônica, ritualística, da paz, tem pacto sinistro com a droga. Cada personagem toma prá si o seu discurso e se faz ouvir. 

Quais cineastas vc mais gosta?

Escolho filmes para assitir pelo assunto. Ou excentricamente, pelo título. Mas não posso negar minha admiração por Bertolucci, Abel Ferrara, Wim Wenders, Almodovar, Antonioni, Scorsese, Wayne Wang, Herzog, Louis Malle, Kubrick, Hector Babenco, Ken Loach,... os mestres não são mestres a toa.

Por quê vc escolheu o Paulo Miklos como ator principal?

Os Titãs são uma das mais importantes bandas de rock brasileira dos últimos 20 anos. Paulista, anárquica, consciente, incitou a rebeldia e provocou a inteligência de uma geração adormecida pós regime militar. O Paulo Miklos, compositor, vocalista e músico é um artista que mete a cara sem medo em tudo que faz. Foi sua primeira vez atuando. Tem intuição, inteligência e atitude, tudo que um ator precisa.