Recensioni

JOAO GILBERTO

Live at "Umbria Jazz"

C.VELOSO & J.MAUTNER

 

Eu Não Peço Desculpa

MAX DE CASTRO

Orchestra Klaxon

NENE' RIBEIRO

 

Primogénito

ELZA SOARES

Do Coccix Até o Pescoço

HERMETO PASCOAL

The Legendary Improviser

 

 

João Gilberto - "Live at Umbria Jazz"
Egea - 2002
EUJ 1004
*****

Forse solo Bob Dylan e pochi altri potrebbero concedersi il lusso di vedere pubblicato un proprio disco dal vivo contenente brani già abbondantemente incisi a sei anni di distanza dal concerto da cui è stato tratto. Ma gli estimatori di João Gilberto sanno bene che ripetitività e religiosità con cui "Il Migliore"  affronta il palco fanno di ogni sua esibizione un evento che merita di essere documentato, conservato e custodito anche a distanza di anni, come è avvenuto per questo concerto tenuto al teatro Morlacchi di Perugia durante l'edizione del 1966 di "Umbria jazz". L'impeccabile registrazione della casa discografica perugina "Egea" che si distingue per qualità tecnica dei dischi dal vivo, ci restituisce un João Gilberto non troppo infastidito da un pubblico tenuto a freno chissà come e rispettoso delle sue paturnie. E il musicista sembra volerlo ripagare con esecuzioni lente e dilatate di quasi tutti i brani che giunti al termine ricomincia daccapo, quasi come a voler maniacalmente perseguire l'eccellenza. Come in una lunga e partecipata versione di "Desafinado" nella quale chitarra e voce -e persino le percussioni che riesce a simulare con quest'ultima- si fondono con un sorprendente effetto one-man-show, oltre che in una travolgente e parossistica esecuzione di "O pato" con un finale giocato mixando velocità e controtempo, che induce all'ovazione l'auditorium. Il repertorio si snoda identico a quello consueto: numerose citazioni jobiniane e immancabili omaggi virati in bossa alla musica italiana, con due versioni calibrate di "Estate", di Bruno Martino, e "Malaga", di Fred Bongusto. Non è certo la ricerca della novità che spinge all'ascolto di quest'album che regge e supera il confronto con altri già eseguiti dal vivo, ma l'abbandono a un'innocua, speculare nevrosi. E alla mistica coazione-a-ripetere di João non si può che opporre un cauto feticismo.

(Fabio Germinario)

 


Caetano Veloso e Jorge Mautner - "Eu Nao Peço Desculpa"

Universal Music - 2002 - 51'45"
04400645192
****

Non chiede scusa Caetano, nonostante tutte le maldicenze degli ultimi anni, tutti i difetti che gli si imputano a gran voce. E non smette di provocare, di pensare, di progettare nuove strade e nuovi suoni. Inutile accusarlo di intellettualismo: questo è un suo punto di forza piuttosto e, quanto al narcisismo, (esplicitamente dichiarato già ai tempi di "Sampa", d'altronde) è tra i pochi a poterselo permettere. Lo dimostra questo ennesimo album-sorpresa, con cui ci stupisce in questo ultimo scorcio di anno, andando a ripescare tra le vecchie glorie ingiustamente quasi dimenticate il vecchio Jorge Mautner con la sua voce gracchiante e il suo violino tormentato. Tranquilli, l'atmosfera non è sognante e rievocativa, da bei tempi andati: i due arzilli sessantenni graffiano ed elaborano strategie musicali originali quanto apprezzabili e non si rassegnano a un'immagine di padri (quasi nonni) storici della MPB. Percussioni in abbondanza, la chitarra aspra di Pedro Sa' e fantasia da vendere garantiscono per l'esito dell'incontro, una cavalcata composita tra provocazione ironica ("Tarado" e "O namorado", versione rock e sessualmente promiscua della celebre "A Namorada" di Carlinhos Brown), denuncia politica ("Coisa Assassina", dura requisitoria antidroga), rivisitazioni prive di nostalgia ("Maracatu Atomico", "Cajuina", un'interpretazione della splendida "Lagrimas Negras" di Mautner che rivaleggia in bellezza con quella classica di Gal Costa degli anni '70). Caetano è in ottima forma dunque, e la voce di Jorge può piacere o non piacere ma è sarcastica, espressiva, aggressiva al punto giusto. La coppia funziona insomma alla perfezione. Inoltre Gil fa capolino qua e là ("Feitiço" sembra una efficace reprise del progetto "Tropicalia 2"), il samba non manca di certo (addirittura viene rispolverato un brano storico di Lamartine Babo come "Hino do Carnaval Brasileiro") e i due si esibiscono in una ballad dolcissima e memorabile ("Graça Divina", con Veloso che omaggia il fado in puro portoghese continentale), come dire che ce n'è davvero per tutti i gusti. Si può discutere Caetano, lo si può contestare e criticare, anche con qualche buona ragione, ma finché sforna ottimi lavori del genere con regolarità ci si deve rassegnare a fargli tanto di cappello e ad augurargli una ancora lunghissima e prospera carriera.

(Giangiacomo Gandolfi)

 

 


Max De Castro - "Orchestra Klaxon"
Trama 2002 
T004/558-2 - 48’04”
*****

A proposito di figli d'arte, alla Trama, l'etichetta attualmente più coccolata dalla critica brasiliana, abbiamo: Pedro Mariano e João Marcello Boscoli, figli di Elis, Jairzinho Oliveira, figlio di Jair Rodrigues, e i fratelli Wilson Simoninha e Max De Castro, figli di Wilson Simonal. Ciò non esclude che questo secondo disco di Max De Castro sia veramente ottimo, nel suo percorrere in libertà tutte le strade che la musica popolare negra ha preso in Brasile e le vesti che ha scelto al momento della sua metabolizzazione da parte di quella fertile realtà. Interessante notare come tutti questi figli d'arte, chi più chi meno, si siano concentrati nel dare un significato moderno al verbo soul-funk, scelto a scapito di tutti i generi sicuramente più autoctoni che erano già a disposizione. Tra le influenze di Max possiamo sicuramente appuntare Djavan, Ed Motta e, un gradino più sopra, Jorge Ben, che solo dopo un controllo nelle note di copertina scopriamo non essere l'autore del pezzo che chiude il disco, "Calaram a voz do nosso amor"; peccato, è un po' che Jorge Ben non fa un bel disco, sarebbe stato un buon segno. L'influenza si nota anche nel tenore dei testi scritti dal Nostro, che spesso riecheggiano quella particolare epica intimista tipica dell'ex attaccante delle giovanili del Flamengo. Il suono del disco è moderno quanto basta, senza essere modernista, in ciò aiutato da ospiti quali Daniel Jobim, Walmir Gil e soprattutto Sua Saxità Nailor "Proveta" Azevedo. Tra gli ospiti dotati di parola, segnaliamo Paula Lima in "O Nego do cabelo bom" (#5) bossanova d'antan composta assieme a Seu Jorge, fuoruscito dai Farofa Carioca, che è un biglietto aereo diretto senza scalo verso gli anni sessanta, con le tessiture ritmiche ordite da uno dei batteristi più riconoscibili della storia, Wilson Das Neves, e l'assolo sax di un altro che sul jazz-samba potrebbe dire più di qualche parola in piazza, J.T. Meirelles. Si segnala anche il dub venato di acid-jazz in "Os oculos escuros de Cartola" (#7), omaggio al grande sambista e ai suoi leggendari occhiali da sole, cantato come se fosse Jorge Ben, di cui ricorda molto brani come Denise Rei e altri della seconda parte di carriera. Complessivamente un disco di eccellente qualità, con un sound, caratterizzato dal piano fender di Max, che difficilmente può non piacere, suonato con grande gusto e eleganza. 

(Mauro Montalbani)

 

 

 

 

Nené Ribeiro - "Primogénito"
Ethnoworld - 2002 - 
W-CD-2013
****


Primo album solo per Nené Ribeiro, musicista colto e sensibile tra i brasiliani trapiantati in Italia. Parallelamente alla esperienza con i Kamané - gruppo con il quale calca la scena musicale da dieci anni proponendo una fusion a volte fin troppo eterogenea - il chitarrista-poeta-divulgatore paulistano ha intrapreso un percorso solitario e approda a un disco di pura Mpb che intitola "Primogenito" dedicandolo al figlio cinquenne, nel quale recupera esperienza umana e musicale accumulate giunto nel mezzo del cammin di propria vita. A condividere il lavoro chiama i musicisti-amici di sempre, da Renato Sellani a Rosa Emilia, da Ney Portilho a Ivan Vilela, Martinho Lutero e altri. Come risultato, dodici brani scritti negli ultimi diciassette anni che sorprendono per qualità musicale e rigore compositivo: dall'iniziale, caetaniana "O Arco-Iris", alle più ritmate "Maracatu", "A voz do povo", "Fundamento", alla romanzata "Casa Velha" che vede riuniti i "Kamané" Kal dos Santos e Marco Conti. Ma sono i brani d'atmosfera quelli in cui Ribeiro dà il meglio di se stesso anche in veste di autore, come in "Chuva, vem", poesia in musica con sovrapposizioni di chitarra, nello chorinho di "Ana Maria" e persino in una dolce ninna-nanna "Dorme Joana" ("fecha os olhos e escuta o tambor do coração...") che affida alla voce da brividi di Rosa Emilia e al prezioso contrappunto pianistico di Renato Sellani. Brani piacevoli e ben scritti ("com tanto zelo guardei estes versos..." confessa l'autore in controcopertina) che pure non sostenuti da una produzione all'osso si ha il desiderio di riascoltare e che non arrossiscono, nello scaffale, tra un Nascimento e un Veloso.

(Fabio Germinario)

 

 

Elza Soares - "Do Coccix Até o Pescoço"
Maianga Discos - 2002 - 61'56"
789836945 001 6
****

Grande, grandissima Elza Soares, un pezzo di storia musicale del Brasile a tutti gli effetti. La sua ugola nerissima, con i caratteristici vocalizzi sporchi alla Armstrong, brilla di luce vivissima in questo "Do Coccix Até o Pescoço", praticamente una resurrezione dopo anni di CD opachi e malprodotti. Messi insieme un team di musicisti eccellenti (tra cui svetta il solito Marcos Suzano che si conferma ancora una volta il massimo "pandeirista" vivente) e un repertorio moderno e inappuntabile (in sequenza si parte da Chico Buarque e si prosegue con Jorge Ben, Caetano, Seu Jorge, Luiz Melodia, Arnaldo Antunes, Carlinhos Brown) il gioco è fatto: la fuoriclasse Elza entra in studio ed è già senza dubbio imbattibile. Samba-rock? Samba-soul? Samba-funk? Samba-rap? Samba puro? Le definizioni sembrano inutili e lasciano il tempo che trovano: quello che conta è il flusso ininterrotto di energia ed emozione. Ascoltare per capire. Spiccano in particolare "Dura na Queda", "Fadas" (trasformata addirittura in un tango argentino struggente), "Eu vou ficar aqui" (che groove!), l'interminabile "a solo" senza rete di "Quebra là que eu quebro cà", la versione cantata della classica "Bambino" di Ernesto Nazareth. E a testimoniare della grande flessibilità della Soares (si poteva nutrire qualche dubbio legittimo negli ultimi tempi) l'album si chiude con l'ennesima riproposizione di "Façamos (Vamos Amar)" di Cole Porter, in compagnia del già citato e ottimo Chico, un'incursione nello swing jazzistico di straordinaria e trascinante efficacia. L'abbiamo sentita molte volte nei mesi scorsi (in telenovelas e compilations varie), ma questo non vuol dire che ci abbia stancato o che sia stucchevole. Vuol dire anzi che i brasiliani apprezzano la loro "First-Lady del Samba" e ne sono giustamente fieri ed orgogliosi.

(Giangiacomo Gandolfi)

 

 

Hermeto Pascoal - "The legendary improviser"
West Wind - 2001
WW2242 - 38’44”
***** 


Con questo titolo fuorviante viene in realtà ristampato per il mercato europeo uno dei dischi cruciali della carriera del geniale polistrumentista alagoano, "Hermeto Pascoal e grupo", del 1982. E' impossibile, a meno di non essere James Joyce, descrivere a parole la musica di Hermeto, così inclassificabile, formata per libere accumulazioni di intuizioni liriche e geniali, nel totale disprezzo per le convenzioni formali. Si ascolti ad esempio "Magimani Sagei" (#2), in cui hanno parte attiva cani che abbaiano e galli che gorgheggiano, senza per ciò apparire fuori luogo, su un ritmo ispirato a qualche ballo folklorico dell'Alagoas o del Pernambuco, forse un côco, che accelera sino a sembrare un rave tenuto nella fattoria degli animali. Ci sono brani che sono rimasti paradigmatici nella carriera di Hermeto, come "Novena" (#6), una base di frevo che approda su lidi sconosciuti, intermrzzata dai consueti gorgheggi avicoli. Ci sono pure i titoli più jazz, come " De bandeja e tudo" (#4), o "Moreneide" (#7), dove la materia jazz, forse memore del periodo di colalborazione con Miles Davis, viene distorta nel caleidoscopio di Hermeto e riplasmata in una forma sconosciuta. Il brano di chiusura è anche la degna epitome del disco, sin dal titolo "Briguinha de musicos malucos no coreto", bisticcio di musicisti mattocchi nel coretto, che ben ne esprime l'andamento armonico.Un disco per verificare quali siano i confini dei nostri gusti musicali. 

(Mauro Montalbani)