Dopo-Scolari: capitolo sconosciuto 

Ancora buio fitto su chi sarà il prossimo allenatore della Seleção

 

di Maurizio Mazzacane

 

   La panca corrode, scotta. Intimorisce e soffoca. Comunque, stressa. Sempre e dovunque. Protagonisti del campo e docenti di football: non sfugge nessuno. La panca della Seleção è la più scomoda e la più perversa. Attira e respinge. Chiama e allontana. Inebria e opprime. Perché il problema è sedersi senza poter scegliere. Chi accetta l’incarico si piega alle pretese, si autocondanna all’ottenimento del risultato. Quel risultato che non può svicolare, mai. Perché il Brasile è anche futebol. Soprattutto futebol. E partecipare, a sud dell’equatore, significa dover vincere. Senza poter coltivare alternative.

Felipe Scolari, gaúcho rampante, credeva nel verbo deciso e nel mestiere. Credeva nel pragmatismo peculiare della gente del Sud e nel progetto. Carriera rapida e saporita, vittorie inequivocabili, dunque l’incarico prestigioso. Il più prestigioso. La responsabilità, la pressione, i dissapori, le prime critiche, le parole forti, il contenzioso infinito con la stampa, la gente, il Paese: tutto insieme, o quasi. Vita dura, tostissima. E poi le contestazioni, l’incubo di un sogno che sta per spegnersi, il defenestramento vicino, vicinissimo. E l’ombra di altri colleghi che premono, insidiano. La Seleção è la Seleção, è il calcio che pulsa, che brilla. Ma Felipão credeva nella duttilità del suo calcio: una base di rigore e austerità di stampo europeo, poi spazio alle virtù dei singolo. Liberi di impostare e rifinire, di deliziare e concludere. Credeva nel suo programma, nel suo Brasile.

Prima la Corea, poi il Giappone: sofferenza e dubbi, poi fantasia e risultati. Ottavi di finale, quarti, semifinali, la finale, la Coppa. La quinta Coppa. Uno schiaffo brutale e morale a chi non concedeva fiducia e tranquillità. E un saluto affettuoso: alla Cbf, ai critici di sempre, al paese. Impegno assolto, collaborazione risolta: ognuno per una strada, la propria. E due conseguenze immediate: un allenatore senza panchina e una panchina senza allenatore.

La panca intimorisce nuovamente. Il dopo-Scolari ancora non c’è. Il Brasile non ha guida, timone. E tuttora nessuna certezza. Attorno, le solite voci: il ritorno di Parreira, il ritorno di Luxemburgo o di chissà chi altro. Persino, il ritorno di Scolari: uscito dalla porta, dopo aver lasciata aperta la finestra. Scolari: il vincitore che va ad aggiornarsi in Olanda, in Francia e in Italia. Che cerca ingaggio in Europa, discutendo di contratto e futuro con la Federazione messicana. Che chiede assegni robusti, continuando ad attendere il varco giusto. Un varco che non si apre. Sino all’offerta interessante piovuta da Lisbona: la Nazionale lusitana ospiterà gli Europei, molto presto. Con un organico sceltissimo e una promessa da mantenere: vincerli. Scolari è il vincitore che ci pensa, lusingato. Mentre il mondo attende una risposta definitiva. E, con il mondo, il Brasile intero.

Il dopo-Scolari è un capitolo ancora sconosciuto. Anche adesso, proprio quando la Seleção riparte. Venti novembre, amichevole in Corea: per festeggiare il penta, per riacclimatarsi all’erba internazionale. Il trainer è un vecchio guerriero: di passaggio, si dice. Un traghettatore. Mário Zagalo è il vecchio saggio che soccorre e compensa, che copre e ricuce. Zagalo è un vecchio signore che ha già vinto: tanto. Che, orgoglioso, si ritaglia un altro spicchio di storia. In attesa che il tempo passi, umilmente. E che la scelta avvenga. Covando, magari, un briciolo di speranza. Ma la Seleção reclama il suo timoniere e il timoniere è ancora assente. Arriverà, prima o poi: e sarà una guerra nuova. Contro il passato e i suoi fasti.