Sunshine memories Sensazioni smarrite e sensualità di un'estate brasiliana
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L'anno duemiladue si avvia verso la fine. È autunno. Sono sdraiato in giardino per catturare qualche fuggevole raggio di sole nei brevi intervalli in cui il girotondo delle nuvole mi concede un po' di prezioso tepore sulla pelle. Vesto e rivesto la camicia di pile ad ogni ricomparsa delle ombre, perché la brezza fredda non mi provochi la tosse. Ho spostato sul prato lo stereo, collegato alla presa del salotto da un lungo cavo. Un’amica che vive a Bologna mi ha inviato per posta, come regalo, l’ultimo cd di Mark Knopfler, appena uscito in Italia, The Ragpicker’s Dream. È il secondo cd solo di Knopfler, dopo quasi trent’anni con i Dire Straits. Ma in questo lavoro non è più presente la spensieratezza gioiosa, molto californiana, dei vecchi album. Le sue ballate ora trasmettono una tristezza senza rimedio, la serena consapevolezza del tempo trascorso, una chitarra che "piange soavemente", come diceva George Harrison, e mi ricorda le note spaziate, dolenti, della chitarra di Ry Cooder. È un Knopfler diverso questo. Siamo cambiati insieme, lui ed io, e nella stessa direzione. Nel suono di questa chitarra metallica - forse più hawaiana che californiana - accompagnata da un sintetizzatore e da una percussione semplice e monotona, quasi infantile, è presente lo spirito dei Dire Straits di prima, che in un passato già così sfilacciato, disperso - e per quanto mi ricordo senza freddo e senza nuvole - era servito da colonna sonora all'estate più splendente della mia vita (forse anche la più felice, è difficile da dire), quella del 1978, vissuta sulle spiagge semideserte intorno a Niterói, la nostra California esagerata, cullata da quella stessa chitarra gioiosa e dalle parole in inglese enunciate nei brani, come Walk of Life, il nostro inno di allora, che facevano di noi ragazzi i Sultans of Swing che la radio, le cassette e gli album di vinile suonavano giorno e notte. Non aveva idea, la mia amica di Bologna, che nervi avrebbe scoperto sotto la mia pelle avida di sole con questo suo regalo. Nel primo intervallo di sereno tra due nuvole grigie, chiudo gli occhi, il dolce bruciore del sole sul petto e sulla pancia, e premo il tasto play. Sento subito una forte vibrazione sotto le cosce, la schiena che si scontra contro il sedile, la testa che balza da un lato all'altro e un vento caldo e profumato sulla faccia. Capisco che sto viaggiando ora nella vecchia jeep di Rodrigo, che veloce alza la polvere sulla strada sterrata che ci porta, tra gli ibisco, alla spiaggia di Itaquatiara. In macchina insieme a noi, oltre alle due tavole da surf, Claudia e Cléa, le due sorelle, nostre fidanzate, con due chiome lisce e lunghe sbandierate sul sedile posteriore, una bionda e l'altra nera. Le ragazze sono scalze e non vestono altro che delle nostre camicie con le maniche rimboccate sopra il tanga, così minuscolo che il triangolo dei peli pubici coincide con l'area coperta, senza alcun lembo di pelle non abbronzata. E tra le due c'è Pongo, il grosso cane di Rodrigo, che lo segue dappertutto, bianco, con delle divertenti macchie nere sul dorso, l'aspetta paziente seduto sulla sabbia mentre lui fa surf, e poi sorride con la lingua fuori dopo una corsa sul bagnasciuga. Era il quinto componente del nostro gruppo. Un'altra nuvola sta ricoprendo la mia piccola fetta di Toscana. Rinfilo la camicia e vado dentro a prepararmi un tè verde. La capinera non canta più tra i rami dei pini attorno a casa mia, come faceva fino al mese scorso. Sui monti in fondo è già possibile scorgere le cataste di legna da bruciare accanto alle case coloniche, e i tendoni bianchi aperti nei prati sono stati riportati tutti in cantina. Ho sentito alla radio che in Molise e in Alto Adige è già arrivata la neve, e fra poco anche le mie montagne, l'Appennino Toscoemiliano, si rivestiranno di bianco: un largo circolo di panna attorno al mio giardino, tutto ruggine e cioccolata. Ma ora è presto, e torna il sole. Claudinha versa delle gocce di olio solare sulle mie spalle e comincia a spalmarle girando in circolo le mani sul mio corpo, soavemente. Il fili dei suoi capelli biondi mi sfiorano la nuca, e rabbrividisco. Giro la testa e la bacio, mentre lei prosegue con la sua carezza. Rodrigo, dopo una corsa insieme a Pongo, mi indica uno yacht tutto bianco che passa di fronte a noi. Dice che appartiene a un amico di suo padre, rivenditore Chrysler in città, che aveva lasciato la moglie per mettersi insieme a una ragazza che Rodrigo conosceva anche troppo bene, una rossa che faceva architettura. Dalla spiaggia, infatti, riesco a identificare la chioma rossa al vento e il cappellino bianco del commerciante sul ponte, mentre la barca si allontana, puntando verso l'isola del faro. Dagli altoparlanti della jeep le note della chitarra di Knopfler, Money for Nothing, un commento ironico o una constatazione? Con gli occhi ancora chiusi, mentre Claudia finisce di spalmarmi l'olio sul naso, la fronte e le guance, sento lo schizzo della lattina di birra Skol che Cléa era andata a prendere nella capanna dei pescatori. "Abre a boca", mi chiede Claudia, e la birra ghiacciata mi inonda, mi scende per la gola, le bollicine mi solleticano il palato. E lei mi bacia nuovamente con la birra in bocca, le sue labbra che scivolano fredde sulle mie. Rinfilo la camicia di pile. Ho ancora freddo. Prendo un sorso di tè e vado dentro a mettermi anche una giacca di lana. Non voglio rischiare di prendere un altro raffreddore dopo quello terribile della settimana scorsa, che mi ha costretto a letto e mi ha fatto perdere le ultime vere giornate di sole, che mi mancheranno tanto più avanti, a dicembre, a gennaio... Torno in giardino, il sole riesce a trovare uno spiraglio tra le nuvole e mi rivisita. Riscatto una sensazione smarrita. Le onde battono così forti contro la sabbia che alzano una ventata di salsedine che colpisce il mio volto come uno spray rinfrescante, una carezza del mare stesso, e provoca in Cléa un gemito di piacere. Sentendolo, mi viene un sussulto di... non lo so, è una cosa che sale dal profondo, così buona che è quasi un dolore. Viene dal mio grande "peccato" di quell'estate: ero innamorato di Cléa, la ragazza di Rodrigo, la sorella più grande della mia ragazza, che pasticcio... lei lo sapeva, anche se non ne avevamo mai parlato apertamente. Ci scambiavamo soltanto sguardi intensi e silenziosi, mentre Knopfler cantava Romeo and Juliet. Ma era già tanto in quelle circostanze... Il mio sogno era poter aspirare il profumo naturale che il sole liberava dai suoi capelli neri. E forse qualche volta l'ho fatto - che dolore! - in macchina, al cinema, durante uno show di Caetano. Ma questo non so se lo voglio ricordare. Il panfilo bianco già non si vede più. È ora di tornare a casa. Raccolgo le mie cose in giardino, la tazza vuota, la giacca, un libro che non ho nemmeno aperto. Spengo lo stereo e rimetto The Ragpicker's Dream nella sua custodia di plastica. Poi riprendo sullo scaffale un mio vecchio libro, che contiene il racconto che ho scritto quella sera stessa, tornando da Itaquatiara, O Barco Vermelho. L'ho scritto su un quaderno, dentro l'amaca, nella quale c'era anche Claudia che leggeva. Scrivevo per capire il potenziale esplosivo dell'amore. È notte. Le giornate si accorciano sempre di più. Metto l'acqua sul fuoco per prepararmi un altro tè. Quel racconto è così intrecciato a quella giornata tropicale che è quasi impossibile indovinare cos' era vita e cosa storia. E che strano rileggerlo ora, tradurre in un secolo un altro secolo straniero, anche se vicino. Sono quasi le undici di notte e fa tanto freddo dentro questa casa. Prima di andare a letto, voglio sentire per l'ultima volta quelle canzoni di Mark Knopfler, Hill Farmer's Blues. Il cielo è chiaro stasera, però. Ci sono tante stelle e la luna è così brillante... Vuol dire che magari domani ci sarà un'altra giornata di sole. Che fortuna! So che parlando così sembro un animale a sangue freddo, una lucertola, con tanto bisogno di sole sulla pelle. Mi domando se con gli anni il nostro sangue non si rifreddi, oppure si riscaldi più lentamente e con fatica... Ma non ci si deve mai lasciare abbattere. Dopotutto, il paesaggio è così bello tutto l'anno qua intorno, c'è ancora il sole a restituirci la vita. E, specialmente, c'è il potere evocatorio di tutto, a riproporcela infinite volte, e sempre.
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