Dove va la sinistra in Brasile

La situazione politica a un mese dalle elezioni presidenziali

 

 

di Ermes Luppi

 

   Il prossimo 6 ottobre si svolgeranno le elezioni per l’Elezione del Presidente della Repubblica, dei deputati, di due terzi dei senatori, dei 27 Governatori e dei deputati statali. Le maggiori attenzioni sono rivolte ai candidati alla presidenza, che attualmente sono 4: il favorito Luiz Ignacio Lula da Silva, candidato del partito del lavoratori, di ispirazione marxista leninista, coalizzato col partito liberale;  José Serra, che rappresenta l’attuale governo di centro destra; Ciro Gomes, candidato del partito popolare di sinistra e di una non ben definita coalizione di altri partiti di sinistra; Anthony Garotinho, candidato del partito socialista brasiliano e di una non ben definita coalizione di altri partiti di sinistra. 

I quattro candidati hanno qualcosa in comune: sono tutti socialdemocratici, al massimo socialisti, con programmi sociali ambiziosi al di là delle realistiche possibilità del paese. Ma quello che più impressiona è che in Brasile sembrerebbe non esista più la destra. José Serra, di origine italiana, é il candidato dell’attuale governo e si é compromesso a portare avanti la politica economica e sociale promossa dal governo Fernando Henrique Cardoso in questi ultimi 8 anni, con qualche correttivo e con mete ambiziose in taluni casi fuori dalla realtà. Luiz Ignacio Lula da Silva, eterno candidato a presidente, ancora una volta si ripropone a ricoprire la massima carica della Federazione Brasiliana proponendosi come esponente di un partito progressista e moderno, dopo una lunga diatriba con le correnti più radicali e ortodosse del partito. 

La sue proposte comunque sono ottimistiche e con una certa carica di fantasia elettorale: fra le altre propone di aumentare il PIL del 5% annualmente, raddoppiare il salario minimo in 4 anni, ridurre da 44 a 40 le ore lavorative settimanali, creare in 4 anni 10 milioni di nuovi posti di lavoro. Le intenzioni sono lodevoli, ma la strada sarà irta di ostacoli poiché l’aumento della produttività negli ultimi anni é praticamente uguale a zero, i redditi reali sono diminuiti, un ulteriore aumento del costo del lavoro é insostenibile, la disoccupazione é alta e cronica. 

Ciro Gomes, oltre a numerose promesse di carattere sociale, dice di volere onorare il pagamento del debito estero, di non accettare un banca centrale indipendente e di accettare l’inflazione come mezzo per uscire dalla stagnazione economica. Sono provvedimenti che comprometterebbero i risultati ottenuti a livello macroeconomico dell’attuale governo e significherebbero un ritorno al caos economico e sociale anteriore ai governi Fernando Henrique. Se poi analizziamo bene il suo proposito di controllare selettivamente le rimesse delle aziende brasiliane e delle persone fisiche all’estero, potremmo intendere che é un modo di non pagare il débito estero o quanto meno ritardarlo. 

Garotinho tra i 4 candidati é quello che fa maggiori promesse: é il più populista dei contendenti e l’ultimo nelle intenzioni di voto, secondo i più recenti sondaggi. Egli propone già dal prossimo anno  un salario minimo di 280 reais (40% di aumento), la distribuzione di 4 milioni e 200.000 mila borse di studio da 250 reais, la costruzione di 300 ristoranti popolari, la concessione di un numero imprecisato di assegni di povertà e ceste alimentari. Sarebbe molto bello se potesse farlo, ma il solo fatto di portare il salario minimo a 280 reais aumenterebbe la spesa della previdenza sociale di 13.5 miliardi di reais e il costo complessivo del suo programma sociale nel primo anno di governo aumenterebbe del 50% rispetto al costo sociale dell’attuale. 

Ciò che più ci lascia perplessi non sono le promesse elettorali più o meno demagogiche o realistiche, ma le strane coalizioni che si sono venute a creare. José Serra conta sull’appoggio del Psdb (il suo partito) e del Pmdb alleato dell’attuale governo, entrambi di estrazione socialdemocratica; José Ignacio Lula da Silva conta sull’appoggio del Pt (il suo partito), il Pcdb (Partito comunista del brasile), il Pl (partito liberale il cui leader José Alencar oltre ad essere vice di Lula é uno dei maggiori imprenditori del Brasile); Garotinho conta sull’appoggio del Psb (il suo partito) e di un ragguardevole numero di chiese protestanti; Ciro Gomes conta sull’appoggio del Pps (il suo partito, ex partito comunista brasiliano il cui segretario é ancora Roberto Freire), del Pdt di Leonel Brizola, uno dei più longevi politici brasiliani, del Ptb di Roberto Jefferson, ex alleato dell’attuale governo, del Pfl ex alleato dell’attuale governo (il partito di Antonio Carlos Magalhães, il più potente dei politici brasiliani, da sempre in politica), e di Roseana Sarney della dinastia dei Sarney, del Prn dell’ex presidente Fernando Collor de Mello, dell’ex presidente della Repubblica José Sarney, dissidente del Pmdb, oltre a tanti altri personaggi celebri tra i quali spicca il nome di Blairo Maggi, soprannominato il re della soia. 

Allora viene spontaneo chiedersi: ma Ciro Gomes é espressione degli ex comunisti di Roberto Freire, che hanno sempre contato su un massimo del 2% delle preferenze, o lo è della destra reazionaria che ha sempre governato il paese con facce diverse? La certezza che preoccupa é che il candidato del Pps é il candidato della restaurazione.

L'autore è funzionario della Camera di commercio di Rio de Janeiro.