Fare il numero della casa del Rio
Vermelho mi riserva subito una sorpresa: mi aspettavo la risposta di una
segretaria oppure di un addetto stampa. Invece al telefono risponde Zélia Gattai
in persona, la vedova del più grande scrittore brasiliano di sempre,
Jorge Amado, nonché scrittrice lei stessa. In quei giorni era
piuttosto impegnata, ma quando le spiego che la mia visita a Salvador
sarebbe stata breve si impegna a fissarmi un appuntamento per l'intervista.
Come spesso accade a Salvador, piove a dirotto. Durante le camminate al Pelourinho, nella visita alla città alta e alla città
bassa l'ombrello è indispensabile. Anche sotto il cielo grigio e le nuvole
ricolme di pioggia, Salvador non è semplicemente la capitale della Bahia.
E' soprattutto la città dei libri e delle storie di Jorge Amado. Osservarla
è come rimembrare, pur senza averle mai viste, le passeggiate di Dona Flor e i suoi due mariti nelle salite del Pelourinho e la sofferenza di Teresa Batista nell'aspettare il suo grande amore, Janú. Ma
in questo momento i ricordi più forti sono quelli di Zélia.
Sotto una pioggia battente una signora ci apre la porta della bella villa di via Alagoinhas, 33.
Sull'entrata, una scritta in azulejos incisa dentro due cuori: "Jorge e Zélia". E
proprio quest'ultima, senza cerimonie, viene a ricevermi, salutandomi come chi saluta qualcuno che si conosce da tempo: con
semplicità.
Un po' in portoghese, un po' in un semplice italiano, Zélia comincia ricordando i tempi vissuti accanto a Jorge Amado. Tempi di allegria, di cameratismo e di amicizia sincera.
"Sono una raccontatrice di storie e ho avuto la fortuna di incontrare un raccontatore di
storie", esordisce. Ricorda che la sua conoscenza del grande
scrittore risaliva a molto prima di essergli stata presentata a San Paolo, nel 1945.
"Quando ci siamo innamorati e la notizia che io flirtavo con uno scrittore si è sparsa,
mia madre pensò che lo scrittore in questione fosse Monteiro Lobato. Quando le ho confidato che era
Jorge, lei invece ha sentenziato: tu sei una donna impreparata e ignorante per lui. Non funzionerà".
Alla diffidenza della madre, Zélia rispose che amava Jorge e che da lui era ricambiata. Anzi, promise che lo avrebbe fatto felice e che
avrebbe vissuto felice insieme a lui. E le lacrime che comparivano sul suo
volto lasciavano intendere che la promessa sarebbe stata mantenuta.
Quando le chiedo cosa di Jorge lei senta più la mancanza risponde: delle
sue mani. "Mi mancano le mani di Jorge. Lui si sedeva sempre su questo divano accanto a me e mentre
chiacchieravamo oppure guardavamo la televisione, io accarezzavo le sue mani.
Su una aveva un callo causato dal tanto usare la macchina per scrivere. Adesso quando mi siedo qui,
mi chiedo dove è la "mia mano". A Jorge piaceva sentire il rumore della tastiera e, come lui stesso
confessava, gli piaceva sentire scorrere le lettere sotto le dita".
Zélia racconta che Jorge non si è mai convertito al computer, al quale
continuava a preferire la sua vecchia macchina per scrivere. Dai tempi di "Sara Vermelha", il primo libro che scrisse in
compagnia di Zélia, era lei che trascriveva tutti i suoi testi al computer. Un giorno lui la incentivò a scrivere, a raccontare la sua storia,
della sua vita. Fu allora che Zélia iniziò a mettere su carta i primi paragrafi, sempre temendo il giudizio del marito. "Se lui mi avesse
chiesto che sciocchezza fossero i miei scritti, mi sarei messa a piangere".
Ma ciò non accadde. Con un sguardo di nostalgia, Zélia ricorda le parole dello
scrittore quando lesse i suoi testi. "E' una bazzecola, una vera pena scrivere solo questo. La storia delle tue radici, degli emigranti italiani, della bambina di famiglia povera ma di infanzia ricca che tu sei stata, merita di più". E la scrittrice racconta di come Jorge le consigliava di scrivere con
semplicità, senza pretese letterarie, perché lei non era una letterata, così
come a suo dire non lo era neppure lui. "Mi consigliava semplicemente di scrivere con il
cuore". Così, con il cuore, è nato "Anarquistas Graças à Deus", il primo libro di Zélia Gattai. E fu
con il suo cognome che lei divenne scrittrice. Avrebbe potuto firmarsi con
quello del marito, ma voleva fare strada da sola.
Dopo il primo, sono venuti altri 11 libri. L' ultimo, "Códigos de Familia" (Codici di famiglia), pubblicato dalla Record, è arrivato nelle librerie brasiliane a novembre dell'anno scorso
e durante le nostre chiacchiere, Zélia mi mostra l'ultima prova della copertina, leggendo alcuni capitoli e raccontando varie storie dei codici. Con un mezzo sorriso, un misto di nostalgia e di realizzazione, ricorda che il libro è nato dal dolore di assistere alla sofferenza del compagno e dalla allegria di aver condiviso con lui tutta una vita.
"Codigos de Familia" è nato su suggerimento della figlia Paloma. La famiglia percepiva che da molto tempo Jorge Amado era triste e silenzioso.
L'organismo era fragile e mantenere equilibrio e tranquillità diventava un compito difficile per
tutti. Soprattutto per la compagna Zélia, che vedeva il marito perdere entusiasmo giorno dopo giorno. Il computer era la sua oasi e scrivere la permetteva di scacciare la tristezza. Ma anche così l'ispirazione e le idee non arrivavano facilmente. Ci voleva tempo. Quando
all'invito di Paloma, "vai al computer mamma", Zélia rispose per l'ennesima
volta: "non ho più niente da scrivere", sua figlia le mostrò un elenco di appunti. Erano i codici che lei stessa aveva raccolto. Espressioni e gesti nati da tante storie e usati per dire
cose che solo gli Amado capivano.
Leggere Codigos de Familia è come entrare un po' nella vita degli Amado. Ogni codice
racconta,
e narra anche degli scherzi, dei viaggi, degli incontri avuti dalla famiglia dello scrittore. Storie come quella di quando Jorge
si prese cura della bancarella di un venditore ambulante a Dacar. Era già cosi
conosciuto dagli ambulanti che uno di loro gli chiese di seguire un po' il negozio mentre lui si assentava.
Leggendo si scopre anche che a Jorge Amado non piaceva viaggiare in aereo e odiava arrivare in ritardo
a un appuntamento. A tal punto da arrivare a volte in anticipo di mezz'ora o
più. Zélia ammette che non è stato facile cominciare quel libro, perché l'angoscia e la tristezza le
sono sempre compagne, ma dopo le prime righe ci ha preso gusto e si è dedicata al volume con piacere. "Sono codici che usiamo a casa. Antichi o recenti, ognuno ha la sua storia d'origine, a volte
breve, a volte più lunga". Quando racconta questo particolare, i suoi occhi
si riempiono della luce tipica di chi ha provato il sapore dell'amore e di una vita di felicità, complicità.
E semplicità.
Alla termine della visita, con la stessa semplicità Zélia mi mostra dove sono sepolte le ceneri
di Jorge, ovvero nel grande giardino della casa del "Rio Vermelho", e mi regala il libro
"Città di Roma". Si apre in un sorriso per le fotografie di
rito e mi dice con serenità: "sono stata una donna felice. Oggi vivo di
ricordi".
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(em
portugues)
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Foi um encontro com a simplicidade. Um testemunho à cumplicidade.
Ao discar o número da casa do Rio Vermelho, uma surpresa. Esperava a resposta de uma secretária, de uma assessora de imprensa. Qual nada! Atende Zélia Gattai. Estava cheia de compromissos mas ao saber que a passagem por Salvador seria de poucos dias se empenhou em conseguir um horário para uma
entrevista.
Caía água que Deus mandava. Nas caminhadas ao Pelourinho, na visita à cidade alta e à cidade baixa, o guarda-chuva era indispensável. Ainda sob o céu cinza e as nuvens carregadas Salvador não era só Salvador. Era a cidade dos livros e das histórias de Jorge Amado. Era como relembrar, sem nunca ter visto, os passeios de dona Flor e seus dois maridos nas ladeiras do Pelourinho e o sofrimento de Teresa Batista à espera de seu grande amor Janú. Mas as lembranças mais forte seriam as de Zélia.
Chovia forte quando uma senhora nos abriu a porta na rua Alagoinhas, 33. Ainda do lado de fora, já na entrada, uma placa de azulejo escrito, dentro de dois corações, Jorge e Zélia. E lá vem ela, sem cerimônia, a nos receber. Nos cumprimenta como quem cumprimenta alguém que já se conhece: com simplicidade.
Um pouco em português, um pouco em um simples italiano, Zélia começa recordando os tempos com Jorge Amado. Os tempos de alegria e de companheirismo." Sou uma contadora de histórias e tive a sorte de encontrar um contador
de histórias." Conta que conhecia Jorge Amado muito antes de ser apresentada a ele em são Paulo, em 1945. "Quando nos apaixonamos e a história correu minha mãe pensou que o escritor fosse Monteiro Lobato. Quando disse que era Jorge ela disparou: você è uma mulher despreparada e ignorante pra ele. Não pode dar certo." Às desconfianças da mãe, Zélia não demorou em responder que gostava dele e ele dela e mais: prometeu que ia fazê-lo feliz e que seria feliz pelo resto da vida. Pelos olhos lacrimejantes e a voz emocionada não era preciso perguntar se a promessa tinha se cumprido.
Quando se pergunta do que mais sente falta ela responde: "das mãos. Sinto falta das mãos de Jorge. Ele sempre sentava na poltrona ao lado da minha e enquanto conversávamos ou assistiamos à televisão eu acariciava as mãos dele. Em uma tinha até um calo de tanto bater à maquina. Agora, quando sento aqui me pergunto: cadê minha mão?" Jorge Amado gostava de ouvir o barulho do teclado e como ele mesmo dizia "gostava de sentir as letras debaixo do dedo dele."
Zélia conta que Jorge não se acostumou a usar o computador. Preferia sempre a sua velha máquina de datilografia. Desde Seara Vermelha, o primeiro livro que escreveu em sua companhia, era ela quem passava todos os seus textos para o computador até que um dia ele incentivou-a a escrever; a contar a sua história, a sua vida. Foi então que Zélia começou a colocar no papel os primeiros parágrafos, sempre temendo a avaliação do marido. "Se ele me perguntar que bobagem è essa eu vou chorar". Mas não! Com um olhar de nostalgia, Zélia lembra da resposta do escritor Jorge Amado quando leu o seus textos: "È uma anedota, è uma pena escrever só isso. A história de imigrantes italianos, de uma menina pobre mas de infância rica, merece mais." Ela conta que Jorge a aconselhava a escrever com simplicidade, sem pretensão literária porque ela não era uma literata assim como ele não era. Me dizia, simplesmente, para escrever com o coração. Assim nasceu "Anarquistas Graças à Deus", o primeiro livro de Zélia Gattai. E foi como Gattai que ela fez a sua carreira. Sempre fez questão de não assinar "Amado" porque queria caminhar com as suas próprias pernas.
Depois do primeiro vieram outros 11 livros. O último, "Códigos de Família", editado pela Record, chegou nas livrarias brasileiras em novembro do ano passado e, ali, durante o bate papo, Zélia mostra a última revisão, a última prova da capa, lê alguns capitulos e conta algumas das histórias dos códigos. Com um meio sorriso, um misto de saudade e de realização, lembra que o livro nasceu da dor de ver o companheiro sofrer e da alegria de ter dividido com ele uma vida.
"Códigos de Família" foi uma sugestão da filha Paloma. A família notava que há muito Jorge Amado andava triste e calado. O organismo era frágil e o equilíbrio era tarefa difícil pra todos, principalmente pra companheira Zélia que via o marido ir perdendo o brilho aos poucos. O computador era o seu oásis e escrever permitia que ela tirasse a cabeça de tanta tristeza. Ainda assim a inspiração e as idéias demoravam a chegar. Quando ao apelo de Paloma, "vai para o computador mãezinha", Zélia respondeu pela enésima vez: "não tenho mais o que escrever", a filha mostrou uma lista de anotações. Eram os códigos que ela havia reunido. Expressões ou gestos que nasciam de tantas histórias e usados para dizer coisas que só os Gattai Amado compreendem.
Ler "Códigos de Família" è como entrar um pouco na vida dos Gattai Amado. Cada código conta, também, as brincadeiras, as viagens, os encontros. Um pouco das muitas histórias, como aquela em que Jorge Amado tomou conta de uma barraca em Dacar. Já era tão conhecido dos vendedores ambulantes que um deles pediu a ele que cuidasse um pouco do negócio enquanto ele se ausentava. Se descobre, por exemplo, que Jorge não gostava de viajar de avião e detestava chegar atrasado a um compromisso a tal ponto de, às vezes, chegar adiantado meia hora ou uma hora.
Zélia admite que não foi fácil começar o livro porque a angústia e a tristeza nem sempre são boas companheiras da escrita mas depois das primeiras linhas tomou gosto e se dedicou com prazer. "São códigos que usamos em casa. Antigos ou recentes, cada qual tem a sua história de origem, às vezes curta, às vezes longa." Quando Zélia diz isso seus olhos se enchem daquele brilho típico de quem provou o gosto do companheirismo e de uma vida de rima: felicidade, cumplicidade e simplicidade.
Por fim, nos mostra onde as cinzas de Jorge estão enterradas, no grande quintal da casa do Rio Vermelho, nos dá de presente o livro "Città di Roma", abre um sorriso para as fotografias e diz com serenidade: "eu fui uma mulher feliz. Hoje vivo de lembranças."
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