Il
design dell’Universo Brasil
di Francesco Zurlo"…ogni uomo è uomo più - cose, è uomoin quanto si riconosce in un numero di cose,riconosce l’umano investito in cose, il sestesso che ha preso forma di cose.”
Italo Calvino, La redenzione degli oggetti, 1981
|
Nel
lancio della mostra sul design brasiliano a Milano (Triennale, dal 24
settembre al 7 ottobre 2001, a cura di Arco-Iris e Objeto Brasil) mi ha
colpito in particolare una frase: la mostra percorre 500 anni di
design: dalla produzione
autoctona e artigianale primitiva, passando attraverso il protodesign
…fino al design industriale, giunto in Brasile nel XX secolo.
In altre parole il design brasiliano ha cinquecento anni. Un assunto che al pubblico non dice niente ma che al lettore esperto dà qualche sensazione. Un brivido perlomeno. Vi è infatti una diatriba infinita sul termine design e sulle sue possibili applicazioni. E risparmio al lettore il censimento delle tante interpretazioni del termine.
Basti però ricordare che ad oggi quando si parla di design si fa quasi sempre riferimento al disegno industriale (laddove cioè vi sia una dimensione “industriale” della produzione) riferendoci ad una amplissima definizione di Tomàs Maldonado (uno dei massimi teorici esistenti in questo campo, grande intellettuale, artista e designer egli stesso) rilasciata ad un congresso ICSID (l’associazione internazionale di industrial design) del 1961.
Le parole pesano. E dietro il percorre 500 anni di design mi piace pensare che ci sia una volontà precisa da parte degli organizzatori. Una volontà che dice: guardate, il Brasile è un paese in via di sviluppo che sta costruendo una sua identità in più campi e ha bisogno di dare sostanza a questa identità.
Ecco perché il design di oggi, quello industriale perché altri non ce n’è, ha bisogno di individuare in un passato lontano il proprio codice genetico. Per darsi un fondamento e una precisa identità. È come l’albero che prova benessere per le proprie radici e le cura amorevolmente.
Radici che sono in fondo la cultura di un popolo. La frase di Calvino in apertura vuole significare proprio questo: la nostra identità è anche_ e in modo peculiare_ cultura materiale, la nostra storia è fatta non solo di persone e relazioni ma anche di cose. Si pensi allo sforzo degli archeologi: costruire le usanze, i comportamenti, le credenze, i riti di popoli scomparsi attraverso la muta testimonianza di frammenti di artefatti, arche dense di tracce della vita di chi le realizzò, le usò, le distrusse.
Il percorrere i 500 anni del design brasiliano è, in tal senso, l’atto di un archeologo attento che vuole connettere i percorsi di vita di un popolo e della sua identità. Nella sua espressione di cose, oggetti, artefatti.
Il disegno industriale brasiliano nasce con la prima industrializzazione del paese. Le prime sperimentazioni nel 1951 nel campo della formazione e promozione del disegno industriale sono dentro un museo d’arte, quello di San Paolo, e vedono la partecipazione, come docenti e attivatori di cultura del progetto, di designer e di architetti italiani di grande prestigio come Lina Bo Bardi o Roberto Sambonet.
Il primo corso di disegno industriale, Escola Superior de Desenho Industrial (ESDI), nasce a Rio de Janeiro nel 1962, ed è influenzata nella sua concezione dalla hfg ulm (Hochschule für Gestaltung ulm, Scuola superiore di progettazione di Ulm, in Germania), un esperimento formativo sviluppato con alterne vicende nei decenni cinquanta e sessanta, che raccoglieva l’eredità Bauhaus, focalizzando sull’autonomia della disciplina progettuale, fondata razionalmente, in una sintesi nuova tra arte, tecnologia e scienza . L’impronta della scuola fu notevolmente rafforzata da diplomati di Ulm che furono tra i primi docenti.
Risalgono ai primi anni settanta i primi riconoscimenti del valore e della potenzialità del design da parte del governo con il progressivo inserimento di designer in varie istituzioni governative per lo sviluppo e la ricerca tecnologica. Dal 1981 il disegno industriale viene ufficialmente introdotto nelle politiche scientifiche e tecnologiche. Nello stesso periodo, nelle aree di maggior sviluppo industriale si aprono studi di design, soprattutto nella regione di Sao Paulo, che ha la più forte produzione industriale dell’America Latina, e nascerà un istituto di design (Laboratorio Brasileiro di Design Industrial LBDI), avanposto per portare il design nelle piccole fabbriche locali, con poche risorse, ancor meno disponibili da investire in servizi non materiali, come il design, da sempre difficilmente valutabile in termini monetari.
Da questo punto di vista, a differenza dell’Italia, la policy del governo brasiliano è sempre stata orientata a promuovere le risorse progettuali e l’integrazione con il tessuto produttivo locale. Tale attenzione è ad esempio evidente in due iniziative recenti che hanno coinvolto l’Italia e in particolare Milano, centro riconosciuto del design internazionale. La prima ha visto in campo l’agenzia SDI (Sistema Design Italia) della facoltà di design del Politecnico per una partnership con autorità accademiche e governative locali per il progetto di un’agenzia di design nello stato di Bahia; la seconda una iniziativa imprenditoriale, sostenuta dalla Federlegno Arredo (l’associazione che raggruppa le imprese del settore del mobile e del complemento d’arredo), che oltre a trasferire cultura di progetto mira a riprodurre localmente il contesto imprenditoriale che ha favorito il successo del design italiano: la formula del distretto di piccole imprese integrate per produrre, in filiera, tutti i componenti del mobile e del complemento. Le particolarità del sistema produttivo brasiliano e la ricchezza di materia prima sono un potenziale elemento di vantaggio se organizzate secondo il modello del distretto italiano. La scommessa della Federlegno è proprio questa, poter riprodurre in questa promettente realtà, i meccanismi di un successo consolidato come quello italiano.
La mostra in qualche modo conferma i rapporti tra i due paesi e sembra evidenziare un altro dato. Alcuni critici del design riferendosi al design dell’america latina lamentano la mancanza di un discorso progettuale, o in altri termini, di un’identità della proposta progettuale. Se esiste una letteratura del sud america, continuano gli stessi critici, riconoscibile e con una precisa identità che è quella lieve della contrapposizione tra realtà e finzione, di colori e accenti forti, di trame sublimi e ironie sottili, non è possibile dire la stessa cosa del design.
È pur vero che il design brasiliano si esprime attraverso un codice preciso nel rigore e nel linguaggio formale, attraverso artifici minimi, nella ricerca costante e nella tensione verso l’astrazione. Ma questo non è sufficiente a costruire un discorso progettuale perché esso nasce (e con lui l’identità) quando il design diventa sistema, quando più attori concorrono nel discorso, non solo scuole e governi, ma anche e specialmente imprenditori, manager, pubblico, media.
Le premesse delle iniziative accennate così come quelle messe in campo da Arco-Iris e Objeto Brasil sembrano essere queste: attivare un discorso e proporre il design dell’universo Brasil come sistema. Anche, come per la mostra a Milano, nel confronto con un sistema complesso e articolato come è quello del design italiano.
°°°
|
Francesco Zurlo, (mailto:francesco.zurlo@polimi.it) architetto e designer e dottore di ricerca in disegno industriale. Project manager del master in design strategico di Polidesign e Mip (Consorzi del Politecnico di Milano), ricercatore presso l’agenzia di ricerca SDI (Sistema Design Italia) del DI.Tec. (dipartimento di Disegno Industriale e Tecnologia dell’Architettura) del Politecnico di Milano, studia i fenomeni di innovazione di prodotto attraverso l’uso del design. È docente incaricato di disegno industriale presso la facoltà di scienze della comunicazione dell’Università di Siena e presso la Facoltà di Design del Politecnico di Milano. Vive e lavora a Milano.
|