Mi
fa quasi paura questo foglio bianco su cui dovrei disegnare il mio
Brasile. Diceva un amico missionario che “chi va in Brasile una
settimana scriverebbe un libro, chi va per un mese scriverebbe un
articolo, chi per tanti anni non scriverebbe niente”. Troppe le cose
da dire, come troppe sono le sfaccettature e le contraddizioni di questo
paese. Fa quasi male osservare le case di paglia e fango affiancate a
ville con piscina, oppure auto ultramoderne che seguono carretti di
legno trainati da cavalli. Anche se questi aspetti del Brasile sono
conosciuti in tutto il mondo, osservati direttamente assumono altri
colori… Appena arrivata avrei voluto fotografare tutto, cercavo di
memorizzare il luogo per poi tornare armata di obiettivo, ma è bastato
qualche giorno per rendermi normale questo panorama. Il primo contatto con il Brasile è stato a São Paulo: arrivo
all’aeroporto di Guarulhos, devo attraversare la città per giungere a
Congonhas. Sorpresa per chi si aspetta di trovare neri e mulatti: potrei
trovarmi in qualsiasi metropoli del mondo, vista la varietà di
fisionomie. Fa molto freddo, è pieno inverno, lì. Rischio quasi di
perdere la coincidenza, ma la compagnia aerea risolve
pagandoci un taxi,
così posso guardarmi intorno ancora meglio. Il tassista ride alle
nostre espressioni stupite e ci fornisce qualche dato sulla popolazione,
il clima e soprattutto il traffico: dopotutto ci abitano diciotto
milioni di persone…
Per
un pelo riusciamo a prendere l’aereo per Brasilia e, stanche, ci
addormentiamo aspettando l’arrivo. Ancora un cambio e ci siamo, giusto
un secondo per notare già le prime grandi differenze tra le città.
Imperatriz ha più di centomila abitanti, ma il suo aspetto non è
nemmeno lontanamente simile ad una delle nostre cittadine. Esistono solo
due condomini, per il resto sono tutte costruzioni ad un piano, sviluppate in larghezza. Le strade sono tutte perpendicolari e a senso
unico, in ordine alterno. La maggior parte dei negozi non ha vetrine, ma
rientranze con merce a vista. Per quanto riguarda la pulizia delle
attività di ristorazione, le condizioni igieniche sono buone e ci si può
fidare tranquillamente a mangiare qualcosa in un bar. Si distinguono i
locali i cui titolari vengono dal sud: più curati, più puliti, più
forniti. Appena usciti dal centro, però, appaiono i primi segni di
povertà: strade sabbiose, bambini nudi che corrono, gente seduta fuori
casa impegnata ad ammazzare il tempo con le parole. Anche stando in
auto, io e la mia amica ci sentiamo più che osservate, probabilmente
perché siamo le uniche straniere! Cavalchiamo l’autostrada
transamazzonica (una carreggiata, doppio senso di marcia) in sella ad
una Ford Premio (!) di chissà che anno, zigzagando tra una voragine e
l’altra, ed arriviamo al nostro paesino: Ribeirãozinho, o meglio Governador
Edison Lobão, proprio come il nome di un politico che ha finanziato
alcune opere in loco. Qui le strade asfaltate si contano sulle dita di
una mano, e per il resto sono tutte rosse, con quell’areia
che si attacca dappertutto, sabbia fine e impalpabile come farina.
Mi
sento come se fossi fosforescente. Le persone che ci osservano aumentano
in modo esponenziale, ma le loro intenzioni sono soltanto buone: capirò
con il tempo cosa rappresenti per loro l’Italia: un paradiso, un
sogno, un modello da imitare. La nostra camera è molto spartana: i
letti sono assi di legno su cui è appoggiato un materasso, anche il
tavolino è costituito da travi poste sopra due cavalletti. Ai muri ci
sono ganci per le amache, diffusissimi in tutte le case, ed un filo cui
agganciare l’indispensabile mosquiteiro,
la zanzariera. Il grande problema non è l’arredamento quanto la
mancanza di acqua: il municipio ne fornisce poca, e soltanto di notte.
Per ovviare, chi se lo può permettere costruisce sostegni in cemento su
cui appoggia una cisterna di varia capienza, alla quale applica un impianto idraulico che porta l’acqua
all’interno della casa. E quando termina? Con un po’ di buon senso
si riempiono altre cisterne cui attingere in caso di bisogno, e si
finisce per fare la doccia versandosene addosso una secchiata o due.
Ovviamente è molto pericolosa da bere per noi “stranieri”, perché
a causa delle carenti condizioni igieniche può provocare una diffusa
forma di dissenteria chiamata amebìasi. Per dissetarsi
si usa pertanto comprare decine e decine di bottiglie di acqua minerale,
perché con il caldo si suda molto ed è necessario reintegrare i
liquidi il più presto possibile. Per gli alimenti invece non vi sono
grandi problemi, né dal punto di vista della quantità né della qualità.
Dopo
la doccia e il giro nella struttura che ci ospita (veramente molto
estesa), c’è il primo incontro con la gente locale e sono subito
abbracci: inutile dire quanto ciò possa farci piacere! Il tempo è poco
e la curiosità è tanta, perciò rimandiamo domande e risposte alle
prossime occasioni. Ma intanto arriva l’ora di cena e poi subito a
letto, organizzando il rituale che ci avrebbe accompagnato tutte le
sere: disposizione del mosquiteiro intorno al
letto, litri di Autan
sul corpo, sul pigiama e sulle lenzuola, accensione del ventilatore e
dello zampirone. La sveglia è per le 6.30 ma la luce e soprattutto gli
assordanti “dialoghi” tra i galli ci svegliano molto prima. E
sperimentare nuove tecniche di insonorizzazione non porta a grandi
risultati… A colazione ci offrono sempre frutta (avocado, papaia,
banana, arancia), caffè e pane con marmellata di goiaba o caju, per cominciare bene la giornata. Le attività durante il giorno sono
sempre diverse: ci si occupa della casa, si porta avanti la costruzione
di nuova cappella,
si preparano giochi per i bambini, si sbrigano
piccole commissioni in città. I momenti più belli sono quelli in cui
si può osservare la quotidianità: le abitudini, il modo di camminare,
i sorrisi. Tutto mi affascina e mi attira. Le donne, di una bellezza
sconvolgente, esibiscono una femminilità unica, che gli atletici uomini
non possono ignorare! Occhiate e espressioni di apprezzamento si
sprecano…
E’onnipresente
una forte atmosfera di serenità e di allegria, il pollice è puntato
sempre verso l’alto. Difficile rimanerne esclusi, perché troppo
coinvolgente. Non c’è invidia, piuttosto curiosità. E non esiste
condizione di povertà oggettiva: per quanto poco denaro possa avere una
persona, ve ne è un’altra che ne ha ancor meno! Scatta la solidarietà
e la collaborazione, senza altri interessi. Stando insieme a queste
persone si capisce quanto poco valgano i nostri simboli: i bei vestiti, la bella macchina, la bella casa. E se anche avessi indossato gioielli
preziosi e abiti firmati sarebbe
stata la stessa cosa. Nemmeno per un
istante mi sono sentita fuori posto o a disagio. E’ l’”effetto
bomba” del Brasile, ci si sente a casa, accolti e coccolati, e si
finisce inevitabilmente per paragonare i nostri ritmi di vita ai loro.
Ma non vi è errore più grande: non si possono confrontare due civiltà
con un passato ed una prospettiva futura così differenti! Ed è
probabilmente per questo che ne siamo così attratti… Il tempo passa
sempre troppo veloce e gli impegni sono così tanti che arriva l’ora
di pranzo senza accorgersene. Poi, subito a riposarsi, perché fino alle
14 non è possibile stare all’aperto senza prendersi una bella
insolazione! Meglio su un’amaca, che è un poco più fresca. Tuttavia,
per quanti tentativi si facciano per evitare il caldo, una doccia
rigeneratrice è necessaria, e poi via dai bimbi!
Altro
importante capitolo, l’infanzia. Ovunque rappresenta l’innocenza e
la spontaneità, quindi anche qui sono i piccoli che esaltano tutte
quelle qualità che tanto amiamo del Brasile! La prima volta che ci
vedono ci studiano, soffermandosi su ogni particolare, ma basta un
sorriso o un qualsiasi segno di disponibilità per dare il via ad ogni
tipo di affettuosità, che ci lascia senza parole. Tutti i giorni ci
portano regali: un disegno, un anello di plastica, un fiore, e tante
frasi dolci. Appena possono, vengono ad abbracciarci e a sederci in
braccio, fanno a gara per prenderci la mano e a tenerla stretta stretta.
Durante i giochi chiedono la nostra partecipazione, e anche in questo
caso disputano per averci nella loro squadra. Se ci scorgono per strada,
corrono fuori di casa saltando i cancelli per venirci a salutare.
Durante la messa siedono in prima fila per poterci sorridere, e corrono
per sedersi di fianco a noi. Ridono, cantano, ballano, sfilano (!) per
noi: ci sentiamo così importanti… E tutto, ovviamente, senza chiedere
nulla, solo per il piacere di stare con noi. Non ho mai sentito un
bambino lamentarsi per la propria condizione, e neppure piangere per
ottenere qualcosa o per qualche ingiustizia: accettano la loro
situazione, facendo sogni confusi sul futuro. Il concetto di famiglia da
queste parti è piuttosto relativo: esistono le coppie di fatto, ma
nella maggior parte dei casi il padre sparisce presto, lasciando la
madre ad accudire la prole. Le donne partoriscono giovanissime: esistono
mamme di 11/12 anni, ed altre che a 30 anni hanno già una decina di
figli. E’ un modello molto differente dal nostro, e rappresenta tutto
ciò che una donna può volere nella sua vita: solo così si sentono
realizzate. Non esiste però alcuna forma di contraccezione (e non ne
avrebbe motivo, considerato il significato della maternità); inoltre
nel tempo libero non c’è molto da fare, e si finisce per optare per
il migliore e più economico passatempo, quale è il sesso. La malizia
circola già tra i più piccoli… Non è un caso che il popolo
brasiliano abbia anche questa fama. Ci viene raccontato un aneddoto
secondo il quale tempo addietro, durante una gita in piscina, una
bambina si allontanò per un po’ con un camionista che le propose di
giocare. Qualche tempo dopo si scoperse che era incinta. Tutto questo
per loro è normale, come lo è non giudicare il comportamento e
le scelte di una persona. Alla fine siamo diventati tutti una grande
famiglia, ci si stringe insieme, non esistono più i colori della pelle
e le condizioni di vita. E quelli dei bambini, saranno gli occhi che
ricorderò più a lungo.
L’istruzione
è buona, le scuole funzionano bene e sono quasi tutte pubbliche, per lo
più di impronta religiosa. Gli edifici osservano tre turni: la mattina
riservata ai più piccoli, il pomeriggio a quelli fino a 12 anni e la
sera ai più grandi, fino a 16 anni. Per proseguire gli studi è
necessario trasferirsi in città. Spesso gli adolescenti lavorano di
giorno e studiano di sera. Esistono pochissimi istituti professionali
che sarebbero invece necessari, soprattutto nel ramo dell’edilizia e
dell’agricoltura. La sanità è a livelli minimi: esiste un ospedale,
con soltanto un reparto pediatria. Il medico viene dalla città, ed è
presente solo per alcune ore in determinati giorni. Non sono rare le
morti per malori facilmente curabili e persino per parto. I posti letto
sono pochi, così come pure le infermiere. Fortunatamente non abbiamo
avuto necessità di particolari interventi… L’attività politica, e
non è una novità, ha una logica basata sulla corruzione e sugli
interessi privati. Spesso la gente è pagata per pubblicizzare una certa
persona sui muri della propria casa. E dai politici, esattamente come da
noi, sono fatte promesse che non vengono mantenute. Spesso gli eletti
possiedono più case, nelle quali bei mobili e piscine non si contano.
Qualcosa però sta cambiando. Cominciano a apparire progetti a sostegno
delle famiglie più povere, e borse di studio per i loro figli. Il costo
della vita è relativamente basso, ma ci sono beni, come la benzina, che
in proporzione sono carissimi. E allora, tutti in bicicletta o a piedi,
per chilometri e chilometri, sotto il sole cocente. Eppure alcuni
elettrodomestici non mancano mai, come gli stereo e la televisione. La
musica, si sa, è parte integrante della cultura brasiliana, e ad ogni
momento della giornata possono sentirsi le note scandite del forró
provenire da qualche casa. Tutti sanno ballare, e questo svago è
talmente divertente che ogni sera è organizzata qualche festa, in una
stanza con qualche sedia improvvisata a discobar. Che differenza con le
nostre discoteche… La notte finisce, ci si deve alzare presto,
seguendo una routine fatta di pollici alzati, dove va sempre “tudo bem”.
E giorno dopo giorno arriva anche l’addio, straziante, ed il ritorno
alla mia realtà. Ora sono qui, davanti al mio computer a scrivere di
un’esperienza alla quale non voglio dare la parola fine. Così come
senza fine sono anche i pensieri, i ricordi e le emozioni che ho provato
a raccontare. Poche righe scritte, insieme a qualche foto. Tutto ciò
che mi resta del “mio” Brasile.
Foto
di Raffaella Capra

|