SABORES DO BRASIL / 1

La “carne louca” di Mamma Silvana

«Il momento in cui l’assaggiai è difficilmente descrivibile.
Una sensazione simile può averla provata solo Adamo...»

 

di Antonio Forni



   
Amo il Brasile da sempre e incondizionatamente, lo sognavo pieno di colori e di suoni, un posto idilliaco dove la gente e la natura ti sorridono, poi ho scoperto che questa è solo una delle sue mille facce e che ce ne sono tante ancora più belle, altre meno belle e alcune brutte. Fin qui, un mucchio di ovvietà, ma quello che non potevo immaginare era che questa terra potesse non solo incantarmi con le sue bellezze o la sua musica, ma anche stimolare la mia sensibilità con profumi e sapori, spesso accompagnati da esperienze e incontri che porterò con me, per sempre. Provo, da oggi, a raccontarvi alcuni di questi momenti indimenticabili, partendo dal luogo meno “cartolina turistica”, un luogo descritto da aggettivi fantastici e terribili, vale a dire São Paulo e il suo stato. Ogni volta che torno a São Paulo, ho una sensazione che non so se definire emozione, timore, gioia, ansia o cos’altro. E’ come quando, da bambino, ti comprano un enorme gelato e tu non sai da dove cominciare a mangiarlo, scoppi di felicità ma ti sembra di non farcela a finirlo e poi devi fare in fretta, perché si scioglie e non vuoi perdertene nemmeno un po’. Così è questa città tentacolare, dove c’è tutto e il suo contrario, dove la gente corre, lotta e lavora di giorno, poi corre, lotta e si diverte di notte, con la stessa intensità e sembra non fermarsi mai!

Dicono che uno dei migliori modi di passare il tempo libero a São Paulo sia mangiare, provare ogni tipo di cucina, di ogni angolo del Brasile e del mondo, sedendosi a tavola quasi per evadere dalla frenesia. E allora via, lungo la Marginal Tieté , dove le churrascarias rodizio si susseguono una dietro l’altra, o nei botecos dove, a detta di molti, si trova lo chopp (birra alla spina) più buono del mondo, dove godi addentando un bolinho de bacalhau (polpettina di baccalà) o un canapé (tartina) di carne, meglio se benedetti da una lacrima di pimenta piccante. Oppure in uno dei tanti ristoranti giapponesi, che fanno un sushi buono come a Tokyo. Vogliamo provare una paella valenciana e sentirci in Spagna? O farci travolgere dai forti sapori di Bahia? Le migliori lasagne alla bolognese della mia vita le ho mangiate proprio qui, in Rua Augusta. Il piranha non lo conosco (dicono sia una bontà), ma se lo vuoi mangiare, a São Paulo lo trovi! Evasioni culinarie… sì. Però questa città, se non sai dettare a te stesso i giusti tempi e la lasci fare, ti travolge, ti soffoca. Allora, un pomeriggio di un giorno di Natale di qualche anno fa, il mio amico paulistano Marcelo (oggi trapiantato a Milano) mi disse: «Andiamo a casa mia sul mare, qui vicino… là ci aspettano i miei e la moçada (gli amici)». Il concetto brasiliano di “vicino” è un po’ diverso dal nostro: in Brasile, infatti, “vicino” è qualunque luogo raggiungibile in macchina, in giornata. Quella volta, impiegammo circa cinque ore, praticamente un’inezia! Lungo la strada ci fermammo a uno spaccio per comprare il formaggio “Minas”, così chiamato perché, un tempo, era tipico dello stato di Minas Gerais, mentre oggi è diffuso in tutto il paese. Ricordo ancora la mia aria di sufficienza nel provarlo: «cosa vuoi che sia ‘sto minas in confronto ai nostri formaggi italiani». Poi Paola, avvocato e amante del buon vivere, nonché sorella di Marcelo, mi mise sul piatto una fetta di Minas sopra ad una di goiabada, un dolce gelatinoso, quasi una marmellata solida, fatto con la goiaba, uno degli innumerevoli frutti tipici del Brasile. Però! Il salato che sposa il dolce, il regno animale che abbraccia il vegetale… data la consistenza dei due elementi, sembrava di mordere il collo di una donna! Una vera leccornia!

Arrivammo a Ubatuba, il posto sul mare “qui vicino” e, per raggiungere la casa, attraversammo, su strada sterrata, un vero e proprio tratto di mata atlantica, tipica della parte centro-meridionale della costa brasiliana. Ho letto da qualche parte che, dell’originaria area di estensione di questo tipo di vegetazione, rimane solo il 10 per cento, preservato e sottratto allo sviluppo edilizio. Tuttavia, quella volta, non ebbi l’impressione di una natura in estinzione, anzi. Le (poche) abitazioni mi sembrarono inserite armoniosamente nell’ambiente, comunque predominante sulle costruzioni. Forse perché la spettacolarità della flora e della fauna brasiliane sono tali da oscurare tutto il resto… Ricordo, a Ubatuba come in molti altri luoghi del Brasile, specie di piante e di fiori a me, prima, sconosciute, uccellini dal cinguettare inedito, frutti dai nomi sensuali e intraducibili (acerola, cajù, cajà, ciriguela, cupuaçù, graviola, mangaba, umbù), deliziosi sia al naturale che trasformati in succhi, batidas o caipiras. Noi siamo, ormai, abituati alla caipirinha (fatta con cachaça) e alla caipiroska (con vodka), ma sempre a base di limone verde. In Brasile queste bevande si fanno con quasi tutto, ad esempio la caipirinha di limone giallo e kiwi e la caipiroska con umbù, incredibili!

In quell’occasione ebbi la fortuna di conoscere una delle spiagge più belle che io abbia mai visto, la Praia Vermelha (Spiaggia Rossa)… ci arrivai a piedi, seguendo un breve sentiero nella foresta, nel tardo pomeriggio.
Mi trovai di fronte un tratto di litorale di circa un chilometro, delimitato da due promontori, con sabbia bianchissima e mare calmo. Penso fosse, in quel momento, deserto, ma se anche ci fosse stato qualcuno non lo avrei visto, incantato com’ero da tanta bellezza. Cominciò a cadere una pioggerellina che si fece via via più forte e guardando verso l’ orizzonte vidi, sopra di me, nuvole cariche d’acqua che lasciavano spazio, in un angolo, a un tramonto che sembrava dipinto… era il mio sogno di bambino che si avverava, un’immagine da documentario, la pagina di un libro di avventure che si trasformava in realtà.

Di ritorno dal mare, trovai la moçada, genitori, figli e amici, riunita sotto la veranda in legno della casa, dove facevano bella mostra alcune amache. Spesso, in Brasile, disteso sulla rede, di solito dopo abbondanti libagioni, mi sono imposto successivi periodi di palestra, corsa o piscina, regolarmente mai realizzatisi, malgrado la mia forte volontà di quei momenti. Quel giorno, sotto la veranda, c’era un “aperitivo”. L’aperitivo in casa, a cui prima di allora ero stato abituato, si risolveva in un “analcolico biondo” accompagnato da due patatine smunte, da noccioline sottovuoto o da tristi olive già prive del nocciolo. Lì, invece, la signora Silvana aveva preparato un vero e proprio buffet. Numerose donne brasiliane, di tutti i ceti e di ogni provenienza, riescono a conciliare lavoro, famiglia, cura della casa con l’abilità in cucina, facendolo senza diventarne schiave, anzi traendone soddisfazione, e senza sacrificare i propri molteplici interessi, e la propria personalità. Forse è da ciò che traggono una parte del loro fascino. Tra salse e paté di ogni genere, al centro notai una terrina dall’ aspetto sconosciuto ma invitante… «che cos’è»? Mi risposero: carne louca (letteralmente carne pazza, anche se non erano ancora i tempi della Bse che, tra l’altro, in Brasile non è mai arrivata). Successivamente, scoprii che si trattava di una parte del manzo, il muscolo, fibroso, cotta, desfiada, ovvero ridotta in filamenti con la forchetta, marinata (ci va il peperone e qualcos’altro) e servita fredda, da mangiare - se si vuole - su pane tostato.
Il momento in cui l’assaggiai è difficilmente descrivibile... una sensazione simile può averla provata solo Adamo, non già mangiando la mela bensì congiungendosi appassionatamente ad Eva (sulla storia del paradiso terrestre, secondo me, sono stati omessi molti particolari interessanti, non ultimo il fatto che, probabilmente, si trovava in Brasile).

Comunque, cercai di contenermi per non passare per il solito gringo che si esalta per cose che i brasiliani considerano di tutti i giorni, ma dentro di me provai un vero e proprio piacere fisico! Malgrado sia tornato molte volte dalla splendida famiglia del mio amico e loro siano venuti a trovarmi in Italia, per una serie di circostanze non ho più avuto modo di assaporare questa prelibatezza. Ciò ha contribuito a crearne il mito e a circondare di un alone di leggenda quel momento di estasi del palato. A volte, dopo una giornata particolarmente dura, quando i miei affetti più cari sono assenti o impegnati, mi verso una dose di Velho Barreiro Gold, chiudo gli occhi al suono di “Presente de um beija-flor” e ritorno in Brasile, rincorrendo con la memoria posti, volti, situazioni… E, tra i ricordi, un posto speciale lo riservo al sapore della “carne louca” di Ubatuba.