Portoghese, arma di difesa per gli Yanomami

Incontro a Milano con una delegazione indios che a un'affollata
assemblea di studenti ha illustrato il progetto di scuola bilingue

 

Eliane Oliveira dos Santos

 

(em portugues)

    Gli indios Yanomami stanno imparando il portoghese per scrivere una nuova storia. Per essere sicuri di durare nel tempo e di attraversare generazioni. Gli Yanomami stanno imparando il portoghese per difendersi dall’uomo bianco. E sono venuti a comunicarlo, il pomeriggio del 20 maggio scorso, a Milano, a un'affollatissima assemblea di futuri uomini e future donne bianchi: gli studenti delle scuole superiori e dell'Università Cattolica che hanno ospitato il loro messaggio di pace e di fratellanza. Il progetto di scuola bilingue cominciò nel 1995. Da allora, 116 di loro studiano il portoghese e allo stesso tempo mettono la loro lingua per iscritto e la insegnano alla aldeia, la riserva. Stanno imparando ad insegnare. Stanno imparando a trasformare i suoni e le immagini della foresta in verbi e sostantivi per dare voce al mondo Yanomami. In un portoghese ancora stentato Dario, uno dei docenti, racconta che il progetto prevede che non tutti gli indios apprendano la lingua dell’uomo bianco, ma «soltanto quelli che devono rappresentare la aldeia e cercare di risolvere i problemi che voi, bianchi, create. Tutti gli altri devono studiare lo yanomami, imparare a cacciare, a pescare, a conoscere i nome degli uccelli  e delle piante», precisa. Delle nostre nozioni aritmetiche, Dario insegna soltanto le quattro operazioni: l'indispensabile affinché i propri allievi imparino a difendersi: «Se non studierete, l’uomo bianco vi ingannerà», li avverte. 

E in effetti la storia degli indios è costellata di inganni ai loro danni orditi dall'uomo bianco: uno dei maggiori si è consumato agli inizi degli Anni '70 senza che gli indios potessero fare qualcosa per evitarlo. E' stato sufficiente un primo contatto con i bianchi, giunti in Amazzonia per costruire strade e cercare l’oro perché la aldeia conoscesse con tanta sofferenza la malaria e la febbre gialla. Le epidemie provocarono la perdita di vite e di testimoni indispensabili al futuro della propria gente. Gente che custodiva gran parte della propria storia e saggezza. Ora, imparando il portoghese, il piccolo gruppo di Yanomami sta anche collaborando con le equipe sanitarie nella diagnosi delle malattie importate nel loro territorio.

Il progetto di scuola bilingue va dunque oltre l’apprendimento del portoghese e lo studio dello yanomami. L’obiettivo è di creare per gli indios opportunità e condizione perché possano realizzare una mappatura completa del loro territorio allo scopo di ottimizzare l’uso sostenibile delle terre indigene e, nel contempo, premunirsi contro nuove invasioni. Le donne hanno un ruolo fondamentale. E' loro il compito di insegnare alle bambine l’arte della coltivazione e della raccolta. E sono soprattutto loro a rappresentare la memoria della comunità per ciò che riguarda la conoscenza tradizionale delle piante medicinali. Essendo abili nella fabbricazione di molti utensili e raccogliendo i frutti spontanei e coltivati, le donne commerciano tanto quanto gli uomini. Le abilità numeriche acquisite grazie alla scuola permetteranno loro di commerciare in modo indipendente. E' attraverso la nostra lingua che gli Yanomami sperano di difendersi meglio dai nostri abusi. Avendo insieme a loro, nella aldeia, qualcuno che parli e capisca il portoghese, sperano di non essere più ingannati, per esempio, nella compravendita dei prodotti. Si augurano anche di poter parlare con la "società civile" senza più intermediari, rivendicando in prima persona quelli che considerano i propri diritti. Il sogno degli Yanomami è di scrivere la loro storia, fissarla su un volume in modo che il mondo possa conoscerla. E, magari, aiutarli a preservala. Dario sa che c’è ancora una lunga strada da percorrere prima di vedere la aldeia, la foresta e il suo popolo stampati in pagine e pagine di storia, ma riconosce che sono già stati fatti mille progressi.

La prima volta che uscì dalla foresta fu per imparare il portoghese, a 16 anni. Quando vide la città si impressionò per il traffico e per i tanti veicoli. Dario trascorse un mese a San Paolo, ospite di un uomo bianco. I rumori lo spaventarono: «Voi, uomini bianchi, fate troppo rumore. Parlate troppo e parlate tutto il tempo, come tanti pappagalli. Quando ero a San Paolo mi mancava il silenzio». Senza bisogno di tante parole Dario lascia trasparire il pensiero indigeno. La lingua, per gli Yanomami, così come per noi, non serve solo per comunicare. E' anche una casa, una dimora speciale che consente loro di alimentare il senso dell’esistenza e della propria identità. Solo che per gli indios non c’è bisogno di così tanti verbi.

 

Pochi progressi, grandi problemi

Sebbene in Brasile i diritti dei popoli indigeni non siano ancora del tutto riconosciuti e garantiti dal governo, la legge ha fatto progressi importanti. Almeno in teoria. La costituzione riconosce la differenza culturale e prevede programmi di apprendimento specifici per gli indios. Valendosi di queste leggi, gli Yanomami lottano per ottenere finanziamenti e per la gestione autonoma dei programmi. Nel frattempo sono l’iniziativa privata e le organizazioni non governative a portare avanti la scuola bilingue. Il progetto è sostenuto da Survival International con l’apoggio di PaperMate e della Comissione Pro Yanomami. Sono queste organizzazioni a organizzare e dare sostegno ai viaggi degli Yanomami con l'obiettivo di fare conoscere al mondo i “progressi” della foresta e di denunciare i problemi che emergono nello stato di Roraima.

É lo sciamano Davi Kopenawa Yanomami che racconta, in nome del suo popolo, la lotta per difendere la terra degli indios. C’è stato un tempo che essi neppure sapevano della esistenza della città. Fino all’età di 4 anni, Davi non sapeva che gli uomini bianchi esistessero. La prima volta che li vide fu quando risalirono il fiume per entrare nella foresta. «L’uomo con vestiti, capelli da scimmia, io non conoscevo... ho avuto paura». Oggi, dopo aver sofferto l’ invasione dei minatori, nell’87, e la perdita di tanti fratelli a causa delle epidemie, la paura dello sciamano e della sua aldeia, è un’altra. É quella di perdere la terra a causa delle fabbriche di cellulosa e delle piantagioni intensive di riso e soia. I cercatori d’oro continuano ad entrare nella foresta e il governo brasiliano fa poco per impedire le invasioni. Sulla carta la terra è stata marcata ed appartiene agli indios. Ma chissà su quale carta, perché loro non hanno alcun documento in mano. Così non possono impedire agli invasori di entrare, e neppure comprovare il possesso della terra. Davi non trattiene le sue parole e afferma che «l’uomo bianco non vale niente. Lui scava, scava e toglie dalla terra tutto ciò di cui ha bisogno e non si preoccupa delle conseguenze».

Lo sfruttamento delle ricchezze naturali è un altro grande problema. La costituzione brasiliana dice che il sottosuolo appartiene al governo, ma che nel territorio indigeno le estrazioni sono consentite solo previa autorizzazione degli indios. Ciò che la costituzione non indica è come ottenere questo permesso. Da un lato l’uomo bianco, con la sua necessità di burocrazia, ha bisogno di creare una legge che determini in che modo gli indios devono essere consultati, ma intanto i minatori continuano ad entrare nella foresta alla ricerca dell'oro. Gli Yanomami dipendono della foresta per nutrirsi, per raccogliere la legna per il fuoco, per costruire le proprie case, per cucinare, per creare il loro artigianato, per fabbricare archi, frecce, utensili. Gli Yanomami dipendono dalla foresta per vivere. Ed è questo semplice concetto che provano a comunicare al mondo. «Abbiamo bisogno di incontrare i giovani perché loro hanno un modo di pensare diverso e possono aiutarci. Gli adulti ascoltano solo quello che fa loro comodo». Oggi in Brasile ci sono circa 12.400 Yanomami suddivisi in 228 comunità. E se lo sciamano è proprio chiamato a dire a dire qualcosa di buono che ha ricevuto dai bianchi, non ha  dubbi: «il più bel regalo che il bianco ci ha fatto è stato quella volta che vennero un antropologo e un fotografo per parlare con noi e per capirci ci chiesero di imparare la nostra lingua».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(em portugues)

 

 

Português, arma de defesa para os Yanomami

 

 

por Eliane Oliveira dos Santos

 

Os índios Yanomami estão aprendendo o português para escrever uma nova história. Para ter a certeza de que sobreviverão aos tempos e atravessarão gerações. Os Yanomami estão aprendendo o português para se defenderem do homem branco. O projeto de escola bilingüe começou em 1995. Desde então, 116 índios estudam o português ao mesmo tempo em que colocam a língua Yanomami no papel e a ensinam para a aldeia. Eles estão aprendendo a ensinar. Estão aprendendo a transformar os sons e as imagens da floresta em verbos e substantivos para, assim, dar voz a um mundo indígena.

Em um português, ainda, de poucas palavras Dario, um dos professores, conta que nem todos os índios aprendem a língua do homem branco. “Só aqueles que representam a aldeia, que precisam resolver os problemas que vocês, brancos, criam. Os outros têm que aprender o Yanomami, têm que aprender a caçar, a pescar, a conhecer o nome dos pássaros e das plantas.”  Sobre a nossa cultura, Dario  ensina apenas as quatro operações da matemática e conta o suficiente para que os seus alunos aprendam a se defender. “Eu explico pra eles: quando vocês  não estudam o homem branco engana vocês.”

Um dos enganos maiores aconteceu no início dos anos 70,  sem que os índios pudessem fazer muito para evitar. Ao primeiro contato com o homem branco, quando subiu o rio em busca de ouro, a aldeia conheceu, a duras penas, a malária e a febre amarela. As doenças mataram centenas de Yanomami destruindo, assim, parte da história e da sabedoria conservadas pelos pajés e pelos mais idosos. Aprendendo o português, o pequeno grupo de Yanomami também está ajudando as equipes de saúde a diagnosticarem as doenças mais comuns.

O projeto de escola bilingüe vai além da aprendizagem do português e do ensino do Yanomami. A meta é dar aos índios oportunidades e condições de mapear o território indígena e de aprender a monitorar a própria terra prevenindo invasões.   As mulheres também têm um papel fundamental. É delas a tarefa de ensinar às filhas a arte do cultivo e da colheita e de preservar o conhecimento sobre as plantas medicinais. Sendo hábeis na faricação de utensilhos domésticos e responsáveis por colher os frutos do plantio, as mulheres indígenas comercializam tanto quanto os homens e a escola permete que elas aprendam a somar, dimuinir, multiplicar e dividir, trabalhando de maneira independente.

É com a nossa língua que os Yanomami esperam se defender melhor dos nossos abusos. Tendo, na aldeia, alguém que fale e entenda o português eles esperam, por exemplo, não serem mais enganados na compra e venda de produtos. Esperam, também, poder conversar com a sociedade sem intermediários, reivindicando o que é de direito, na primeira pessoa. O sonho dos Yanomami é escrever  a história deles em livro para que o mundo a conheça e possa ajudá-los a preservá-la. Dario sabe que ainda tem um longo caminho a percorrer antes de ver a aldeia, a floresta e o seu povo impressos em páginas e páginas, mas reconhece que já fez muitos progressos.

A primeira vez que saiu da floresta foi para aprender o português, aos 16 anos. Quando viu a cidade, se impressionou com o trânsito e com os tantos meios de transportes. Dario passou um mês em São Paulo, na casa de um amigo branco. O barullho da cidade o assusotu: “vocês, brancos, fazem muito barulho. Falam demais; falam o tempo todo, como um papagaio. Quando estava ali eu sentia falta do silêncio.” Sem muito falar Dario deixa transparecer o pensamento indígena. A língua para os Yanomami, como pra nós, é mais do que um instrumento de comunicação. É como uma casa; um lugar especial que lhes permite alimentar o senso de existência e a própria identidade. Só que os índios não precisam de tantos verbos, assim. 

 

Poucos progressos, grandes problemas.

Embora os direitos dos índios sejam pouco garantidos pelo governo brasileiro, as leis que regem o programa das escolas indígenas fizeram progressos significativos. Pelo menos na teoria. A Constituição brasileira reconhece a diferença cultural e estabelece programas de aprendizagem específicos para o povo indígena. Valendo-se da lei os Yanomami lutam por financiamento e pela autonomia na gestão dos programas de ensino.

Enquanto isso é a iniciativa privada e as organizações não governamentais que levam adiante a escola bilingue. O projeto é mantido pela Survival Internacional, com o apoio da Paper Mate e da Comissão Pró Yanomami.  São eles que promovem as viagens dos Yanomami na tentativa de apresentar ao mundo os “progressos” da floresta e de denunciar os problemas que eles enfrentam em Roraima.

É o pajé Davi Kopenawa Yanomami que conta, em nome do seu povo, a luta de força pra defender a terra dos índios. Houve um tempo em que eles nem sabiam da existência da cidade. Até os 4 anos Davi não sabia que os homens brancos existiam. A primeira vez que os viu foi quando eles subiram o rio para entrar na floresta. “ Eu não conhecia homem com roupa, cabelo de macaco... eu tive medo.”

Hoje, depois de ter sofrido com a invasão dos garimpeiros, em 87, e com a perda de tantos parentes por causa da epidemia de malária, o medo do pajé e da sua aldeia é outro. É o de perder a terra para as fábricas de celulose e para o plantio do arroz e da soja. Os garimpeiros continuam a entrar na floresta e o governo federal pouco faz para impedir as invasões. No papel, a terra foi demarcada e pertence aos índios mas esse é um documento que eles não têm em mãos. Então, no dia a dia, como argumentar com os invasores se eles não podem comprovar a posse do território?  Davi não economiza palavras quando diz que “o homem branco não presta. Ele cava, tira o que precisa da terra e não se preocupa.”

A exploração das riquezas naturais é um outro grande problema. A Constituição Federal diz que o sub solo é do governo mas que em terras indígenas só pode ser explorado com a autorização dos índios. O que a Constituição não diz é como obter essa permissão. Então, o homem branco, na sua necessidade de burocracia, precisa criar uma lei que estebeleça de que modo os índios devem ser consultados. Enquanto a lei não existe os garimpeiros continuam entrando na floresta em busca de ouro. E pra completar o ciclo dos problemas o Estatudo do Indio está parado há anos no Congresso.

Os Yanomami dependem da floresta pra comer, pra colher a lenha, pra construir casas, pra cozinhar, pra criar o artesanato e fabricar o arco, a flecha e os utensilhos domésticos. Os Yanomami dependem da floresta pra viver. E é isso que eles tentam dizer ao mundo. “Precisamos encontrar com jovens e adolescentes porque eles têm um pensamento novo e podem  nos ajudar. Os grandes só ouvem o que eles querem.”

Hoje, no Brasil, são cerca de 9.400 Yanomami divididos em 228 comunidades. E se o pajé precisa apontar alguma coisa boa que os homens brancos deixaram para a aldeia, não pensa muito: “ a única coisa boa que o branco fez pra nós foi através de um antropólogo e de um fotógrafo. Eles aprenderam a noosa língua pra conversar melhor com a gente.”