«L'amore è assenza di ingorghi» Intervista a João Bosco alla vigilia del suo tour europeo
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A dodici anni, con una chitarra verde e con l’orecchio già allenato, lei ha iniziato ad avvicinarsi alla musica. Ma quando é scaturito l’amore per la composizione? «È stato nella città di Ouro Preto, quando, nel 1967 ho conosciuto il poeta Vinícius de Moraes, ospite di un albergo cittadino. In quell’occasione, composi all'incirca quattro pezzi. Soltanto dopo la nascita di quest’amicizia iniziai a prendere sul serio la composizione musicale. Sono molto grato a Vinícius per i suoi consigli e per tutto il resto che mi ha insegnato». Perché lei usa tanti vocalismi, si tratta di un’ispirazione giuntale dalla musica polifonica di più di 500 anni fa? «Sinceramente, non lo so! Per me è sempre stato un piacere ascoltare le “tribù” all’interno delle mie musiche, principalmente in quelle più “negre”. Quando sono al lavoro e mentre le mie composizioni sono allo stato nascente, ascolto queste voci e cerco di riprodurle nello studio di registrazione». Spesso, nelle sue canzoni, si trovano ritmi africani, come ad esempio quelli del candomblé, oltre a temi riguardanti la negritudine. Si sente un po’ africano di cuore? Qual è la sua fede, il suo credo? «Beh, secondo me questa è una questione intimamente legata al mio paese, alla sua eredità culturale. Sono nato in una città dello stato di Minas Gerais, dove c’erano tanti coltivatori di canna da zucchero, la cui mano d’opera era composta dal popolo negro. Di domenica, ascoltavo le loro congadas[1] e una grande allegria mi pervadeva. Ho avuto una tata nera chiamata Margarida, che chiamavo Ata (forse una qualche attinenza inconscia con l’acqua), e quando mi sono trasferito a Rio de Janeiro, subito mi avvicinai a Clementina de Jesus[2], che ha fatto sbocciare in me tutto quanto era addormentato nel mio intimo. Sono molto grato ai santi per avermi condotto a lei. Quanto al mio credo, siccome il Brasile è il paese del sincretismo religioso per eccellenza, quando si chiede a un brasiliano della sua fede e del suo credo, lui subito risponde: sono brasiliano!». Come mai quest’interesse per le composizioni internazionali, di cui lei dà una lettura molto personale? «Sono cresciuto ascoltando un po’ di tutto, perché mi piaceva frequentare la stazione radio della mia città natale. Ero molto amico dei programmatori e li ho aiutati a mettere in onda la Zyr-2 Radio Sociedade de Ponte Nova. Frequentavo i programmi di auditorio ed ero molto concentrato su tutto quel che succedeva nella mia città in termini musicali. Ho partecipato a tutti i tipi di manifestazioni musicali: la musica africana, quella caraibica, americana, spagnola, portoghese, e altre. Ero attento soltanto a ciò che mi suscitava emozione». Lei ha interpretato le canzoni di tanti compositori brasiliani e non. C’è un desiderio in fondo al cassetto, in questo senso, le manca qualcuno nella lista, e per quali ragioni? «Sento che quando un compositore o una canzone restano impressi in me, sono capace di farne una lettura con personalità. Ho il desiderio di interpretare tante canzoni. Faccio progetti che a volte non riesco a realizzare. Ho sempre creduto che la mia musica provenga anche dal cantare “l’altro”; dunque, per me è molto importante cantare la musica di qualcun altro, ovunque esso sia». Come nacque "O Bêbado e a Equilibrista" in un contesto nazionale così pressante di dittatura militare? «Beh, credo che la musica nasca anche da tutto ciò, vero? Ma quello che mi emoziona è il modo in cui Elis Regina ha “difeso” questa canzone. Non ho mai visto niente di simile e penso sarà difficile rivivere un momento magico come quello». Che ricordi ha di Elis Regina? Qualche composizione è stata pensata e composta specificamente per lei? «Dalla prima canzone che lei ha inciso, tutte le altre furono pensate e fatte per lei. È stato un privilegio esserle vicino, esserle amico e, soprattutto, essere cantato da lei». Come vede il futuro della musica brasiliana? «La musica brasiliana avrà sempre un futuro, sia per la tradizione che porta in grembo, sia per la sua capacità antropofaga. Il passato ed il presente parlano per tutti». «Sì, ci sono stato varie volte. Amo presentarmi da voi perché mi sento un po’ “di casa”. In Brasile si dice che molte somiglianze uniscono i due popoli. L’Italia è un paese meraviglioso, con una storia da “riempire gli occhi”. E la culinaria, allora? Persino in Giappone è motivo di apprezzamento. Viva l’Italia!». C’è un sito storico oppure archeologico italiano nel quale le piacerebbe tenere un concerto? «Ogni luogo in Italia è speciale, e non soltanto quelli che già esistono, ma anche quelli che “scopriremo” presto». Percepisce qualche differenza di sintonia, ci sono dei feeling particolarmente caratteristici fra il pubblico di diverse nazionalità a cui si presenta? «La musica è già incaricata di creare buona parte dell’atmosfera con la sua magia. Io credo molto in ciò». Nel brano “Na Equina”, dice: “quando falam do passado me sinto louco a delirar...” A cosa si riferisce, esattamente? «Francisco (il testo è stato composto da suo figlio, ndr) dice che qualsiasi poema, brano musicale, romanzo, si impossessa della vita privata come materia prima, la rifrange e la distorce esteticamente, per produrre l’effetto che si cerca, ovvero per catturare la vita nel testo e, così, poi poterla trasmettere. Lui preferisce non attribuire un senso specifico, intenzionale a quello che scrive; che sia il lettore a creare la propria visione». Nel brano “Mama Palavra”, lei fai un gioco di parole che riflette una determinata realtà sociale. Come è cambiato il Brasile, dalla fine ufficiale della dittatura militare a oggi? «Il Brasile vuole cambiare, ma è cosciente di tutti i suoi problemi sorti tanto tempo fa. Perciò i cambiamenti verranno, sì, ma lentamente». «Questa canzone illustra momenti della mia infanzia nel Minas
Gerais. Nel raccontare queste storie al mio compagno di lavoro (Francisco Bosco,
ndr), lui le ha trasformate in parole». «È molto difficile “parlare” di un cd. Mi farebbe piacere se voi lo ascoltaste, così si potrà comprendere quest’esperienza». Come vede lo “stato di salute” del nostro pianeta in questo nuovo millennio: terroristi invisibili e onnipresenti, guerre preventive, nuove forme di schiavitù, e via dicendo? «Sono un po’ scettico riguardo al futuro prossimo venturo. Penso che questo stato d’animo rispecchi il dolore che la gente veramente sente e di cui, purtroppo, i mezzi di comunicazione non parlano». Qual è la spinta, il mistero, la magia, che le ha permesso di arrivare a trent’anni di carriera con serietà verso la musica e professionalità e rispetto verso se stesso e il suo pubblico? «Penso che la scuola di ingegneria mi abbia fornito qualche virtù, come il metodo e la disciplina. Anzi, persino chi “vuole essere disorganizzato” deve possedere queste caratteristiche, altrimenti non va lontano». Può illustrarci il più bel momento e quello più triste di questi trent’anni? «Il momento più bello è stato l’arrivo a Rio de Janeiro nel 1967. Non avevo mai visto il mare, lo avevo soltanto “sentito” nelle canzoni di Tom Jobim e Vinícius de Moraes. È stato come “vedere” cinematograficamente la bossa nova. È stata la “cosa più bella e piena di grazia” (citazione dal brano “A Garota de Ipanema”, ndr). Il più triste è stato la morte di Elis Regina, proprio nel momento in cui lei desiderava fortemente cambiare la sua carriera. Mi ricordo sempre di lei». Come è nato l’ultimo suo songbook, lanciato proprio ieri, il 9 settembre, in Brasile? «E' stata un’idea del produttore Almir Chediak (mentre risponde a queste domande, Bosco sta ascoltando il songbook di Noel Rosa, ndr), brutalmente assassinato quest’anno. È dal 1989 che lavoriamo a questo progetto e circa due anni fa abbiamo deciso di realizzarlo. È molto triste non avere Almir con noi, per celebrare insieme quest’altro lavoro». Quali sono i suoi programmi futuri? «Sono tanti: incontri con musicisti meravigliosi, un disco negli Usa nell'aprile prossimo, spettacoli qua e là. Sono gli incerti del mestiere di un compositore in pieno esercizio...». «Su questo tema potremmo parlare per ore. Intanto, oggi, qui e ora, mi viene in mente che l’amore sia, di fatto, è l’assenza di ingorghi». [2] Per informazioni su Clementina de
Jesus, consultare il link I Musicisti, di Musibrasil. |
Biografia
di João Bosco - a cura di Francesca Casciuolo
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(em portugues) |
Entrevista com João Bosco na véspera do seu tour europeu
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Compositor, músico e intérprete entre os mais apreciados não só no Brasil, como também a nível internacional, João Bosco está completando trinta anos de carreira, em concomitância com o lançamento de um novo cd (Malabaristas do Sinal Vermelho), com um tour europeu (o primeiro show é em Milão no próximo dia 12 de outubro e, depois de percorrer várias cidades européis, apresenta-se em Roma no dia 21) e um songbook contendo três cds que representam uma concentração de seu longo percurso musical. «O Brasil quer mudar, mas sabe que seus problemas vêm de há muito tempo. Por isso, as mudanças virão, porém, lentamente». O Cego Julião existe realmente? Se sim, diga-nos algo sobre ele. Como você lê o “estato de saúde” do nosso planeta neste novo milênio: terroristas invisíveis e onipresentes, guerras preventivas, novas formas de escravidão? Qual é o estímulo, o mistero, a magia, que te permitiu chegar a trinta anos de carriera sempre em ritmo crescente, com esse alto senso de profissionalidade e com tanta seriedade em relação à música, a você mesmo e ao teu público? Pode nos retratar o momento mais belo e mais triste vivido ao longo destes trinta anos de carriera?
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