La cattiva coscienza del promoter italiano Bilancio della stagione concertistica brasiliana in Italia
|
Di tutto, per tutti i gusti e per tutte le tasche: questo è quel che ci si auspicherebbe dalla girandola di tour e festival estivi. Ma anche un'attenzione dignitosa al mercato brasiliano, che conosce in Italia sempre più successo in termini di programmazione e di vendite, con punte di eccellenza che fanno invidia al colosso statunitense e all'asfittico panorama del pop nostrano. E' stato davvero così in questo bollente 2003? Di certo, a parte qualche raro evento, non si è trattato di una stagione memorabile. E la mancanza di coraggio (o di competenza, che è anche peggio) di certi promoter e organizzatori lascia l'amaro in bocca. Scorrendo i programmi già balza agli occhi che il panorama di invitati brasiliani (in termini di nomi e di numero) si presenta immutato o in leggera flessione rispetto agli anni scorsi, e la filosofia che emerge da questa visione a volo d'uccello balza agli occhi inequivocabile: apertura episodica, fiducia quasi esclusiva nei soliti grandi nomi, mancanza di consapevolezza culturale e assenza di un progetto complessivo, di una mappatura esauriente del panorama musicale. Sono certamente lontani i tempi del raffinato "Cantar da costa" genovese, ma anche l'euforia della scoperta del Tropicalismo degli anni '90 sembra mostrare ormai la corda. Le star internazionali del calibro di Caetano e Gil danno lustro come paillettes a più di una manifestazione, ma intorno regna quasi il vuoto. Pochi barlumi nelle tenebre. Vediamo di fare qualche esempio, in positivo e in negativo. Quali sono le novità brasiliane più rilevanti degli ultimi anni? Gli artisti della Trama, probabilmente, Ed Motta, Paula Lima, Guinga, la scena elettronica, rockstar come Ana Carolina, gruppi come Skank, Naçao Zumbi, Mestre Ambrosio, Pato Fu, la rinascita artistica di grandissimi nomi come Elza Soares, Luiz Melodia, Ney Matogrosso. Di tutto ciò nessuna traccia nella programmazione 2003. Qua e là degli ospiti di assoluto rilievo, che danno un'idea un po' decontestualizzata della ricchezza sonora di questi ultimi anni:
Celso Fonseca a Milano, Chico Cesar con qualche data sparsa,
Lenine tornato quasi di soppiatto (in quel di Salerno a duettare con Teresa De Sio e poco più!),
DJ Dolores e la sua orchestra al Festival Latinoamericando. Ma sono apparizioni sporadiche, per quanto nobilissime e degne di attenzione.
Sembrano nate dall'esigenza di riempire i buchi dei programmi con quanto di buono offrono le tournée dei paesi vicini
(Spagna e Portogallo, ad esempio, ci umiliano) o da un isolato azzardo quasi passionale piuttosto che da una meditata strategia esplorativa e divulgativa.
Il meglio. E il peggio. Con tutto ciò il carnet degli appuntamenti estivi ha offerto
solide, intramontabili certezze, e il piacere occasionale di alcune scoperte. Cosa dire di Caetano? Ormai ospite fisso in Italia, con legioni di ammiratori tra politici e giornalisti e baciato dalla fortuna di essere considerato artista di tendenza, ci ha regalato un set acustico di consueta eleganza e sapienza interpretativa. Dopo l'uscita di "Verdade Tropical", forse qualcuno riesce anche a valutare il suo ruolo innovatore e politicamente scorretto nell'evoluzione della canzone brasiliana. E la sua importanza assoluta di compositore oltre che di "voce" inimitabile. Forse. Conferme gradevoli vengono da alcuni nuovi "giganti":
Carlinhos Brown, Olodum, Sakamoto e Morelenbaum 2 (ma quest'ultimo show al di fuori delle tasche di molti comuni mortali, alla vertiginosa cifra di 35 euro biglietto unico).
Poi ci sono i "minori", che tanto "minori" non sono. Artisti di nicchia piuttosto.
Vinicius Cantuaria, essenziale e suadente come sempre, Arto
Lindsay, Toninho Horta in compagnia di Nicola Stilo e Barbara
Casini. Infine le delusioni, parentesi dolorosa. João Gilberto ne è l'epitome da qualche anno: icona incartapecorita e autocelebrativa, continua a ripetere stanchi fasti ormai distanti nel tempo, circondato da un affetto e da una benevolenza quasi cieche. Indisponente e immodesto, lontano anni luce dalla convivialità e dal carinho della maggioranza dei colleghi. Un pezzo di storia gloriosa della musica che farebbe meglio a ritirarsi nell'ombra, lasciandoci l'indelebile ricordo di album rivoluzionari quanto delicati. E il passato che ritorna identico a se stesso, incapace di mettersi in discussione ed esplorare, è presente anche nello stanco ritorno alle scene di Eumir Deodato, maestro ed arrangiatore di lusso da ormai un quarantennio. Eminenza grigia di tanto pop e jazz, strappato di colpo agli studi d'incisione in cui si è rifugiato da anni con successo, Eumir propone uno spettacolo che sembra fermo nel tempo alla fusion dei primi Seventies: énsemble orchestrale di classe, ma ruffiano, inevitabile sequenza di assoli sopra le righe e privi di fantasia, ossidate citazioni di un repertorio sopravvissuto solo nei ricordi e tanta bagarre sul palco, con batterista e percussionista che pretendono di coinvolgere il pubblico in una festa nostalgica quanto sideralmente gelida.
Il declino di un mito. Umbria Jazz 2003 Un capitolo a parte lo merita la musica strumentale, il jazz brasiliano. Qui la situazione è davvero disastrosa: dei tanti talenti in circolazione neppure l'ombra. Che fine hanno fatto Gismonti, Pascoal, Guinga, Paulo Moura, già ospiti del nostro paese e mai abbastanza divulgati? Fatta eccezione per un'artista qui sconosciuto ma di enorme valore come Paulo Bellinati, in tour a luglio, i promotori dei Jazz Festival nostrani sembrano essersi dimenticati completamente di questa musica di eccelso livello. E ciò è a maggior ragione gravissimo per un festival storico e dalla solida credibilità come Umbria Jazz, rassegna che peraltro ha enormi meriti nella diffusione di artisti brasiliani in Italia. Non si può dimenticare che la kermesse perugina ha lanciato a metà degli Anni '90 Caetano Veloso, invitato regolarmente Gilberto Gil, ospitato Milton Nascimento, Marisa Monte, Jorge Ben, Gal Costa. Parallelamente alla riproposizione di grandi nomi dal facile successo, un festival internazionale dalle aspirazioni così elevate dovrebbe saper rischiare e illuminare le zone d'ombra del discorso musicale brasiliano, proponendo proprio i fuoriclasse e i giovani talenti che si dedicano alla musica strumentale. Carlos Malta era in tournée con Maria Bethania, l'abbiamo già segnalato,
e quindi perché non ospitare un suo intervento solo, o con pianista italiano? Perché non invitare le grandi personalità dello choro carioca?
L'Epoca de Ouro, Henrique Cazes, i Nò em Pingo d'Agua, i
Rabo de Lagartixa, i Tira Poeira? Perché non dare spazio a un compositore e strumentista sublime come
Guinga? O a un énsemble di gusto e sensibilità esemplare come il Quarteto
Malogani? Per non parlare di veri giganti da sempre trascurati, come Wagner
Tiso, Gilson Peranzzetta, Cesar Camargo Mariano, Itiberé
Zwarg, Jovino Santos, Leandro Braga, Zé Nogueira... E' davvero così impossibile e economicamente perdente scommettere sulla qualità per un festival che conta innumerevoli presenze affezionate e l'inesausta attenzione dei media?
E' presto detto. Un festival che sappia valorizzare passato, presente e futuro della musica brasiliana, inquadrandola nel suo contesto di esperienza culturale unica e di grandissimo rilievo artistico. Un'attenzione generalizzata e consapevole a cantanti e strumentisti del paese del samba, che non si limiti alle mode estive e sappia anche proporre scambi fruttuosi con gli artisti italiani (cosa che in alcuni casi, troppo isolati, già avviene). Una minore contrapposizione tra spettacolo commerciale e concerto raffinato, d'elite (il Brasile in questo ha qualcosa da insegnarci): questo, per inciso, è il motivo per cui sta ormai naufragando un'esperienza interessante come quella del romano "Fiesta", perso nella spirale del ballabile o dell'evento a tutti i costi. In questo contesto fa ben sperare la promessa del sindaco di Roma, che in compagnia del fidato assessore Gianni Borgna ha alzato la posta di fronte alle esibizioni dei memorabili protagonisti del movimento tropicalista e ha saputo rilanciare in grande stile il gemellaggio Italia-Rio, evocando la storica maratona brasiliana del 1983 al Circo Massimo (quella del film "Bahia de Todos os Sambas"). Se Gil come ministro della Cultura mantiene la parola, il prossimo anno potremo assistere ad un grande evento, la riunione in una sola serata e in un solo palco dei Doces Barbaros e di Marisa, Brown, Antunes. Una serata all'insegna dello slogan "siamo tutti brasiliani" e della solidarietà culturale e sociale. Non sarà la paziente ricerca del nuovo e dell'inedito, non sarà la proposizione del grande jazz trascurato, ma almeno è una buona dimostrazione di attenzione e di volontà di scambio, un inizio incoraggiante. Auspicabile perché almeno non confina l'immagine del Brasile al glorioso passato della bossanova o a un presente da cartolina, scollacciato e festaiolo in senso deleterio e superficiale.
Perché non ci si debba più guardare alle spalle citando con un sospiro una bellissima canzone di
Bruno Martino: "E la chiamano estate...". |