Il debutto nelle sale cinematografiche di “Paulinho da Viola – meu tempo è hoje” (Paulinho da Viola – il mio tempo è ora) è una ragione eccezionale per parlare del compositore. É ormai da molto tempo che lui meritava alcune parole. Ma perché, se da tanto tempo
ne è degno, finora tali parole non sono state pronunciate? Sapete di quel fratello che tanto stimiamo ed in silenzio custodiamo? Sapete di quell’affetto che non si traduce in verbo perché nel nostro bagaglio intimo lui è già un’espressione? Sapete di quella comunione antica sulla quale non serve nemmeno parlare? Allora, sapete perché queste parole finora non sono state dette! Però, comprendere non è la stessa cosa di essere contento. Così come esiste un tempo di barbarie, di sovrano disprezzo alle manifestazioni dell’anima, di odio e di distruzione persino dell’esistere, è anche arrivato il momento di parlare di
Paulinho da Viola, di modo che l’assenza del parlare del sentimento, non si confonda con l’assenza del sentimento in sé; perché l’equivoco non prenda il posto della persona. Parliamo, però, con attenzione e con rispetto, per non cadere in un silenzio peggiore: il vuoto dell’espressione logorata. Tentiamo, allora, di perdere per vincere.
Davanti ad una musica popolare così ricca e varia come quella brasiliana, non c’è bisogno di dire che Paulinho è uno dei migliori compositori. Anzi, questo si potrebbe dire di
Noel Rosa, Cartola, Pixinguinha, Chico Buarque de
Hollanda, Dorival Caymmi oppure Tom Jobim. Dire che Paulinho è uno dei migliori non è ancora abbastanza preciso. Avvicinandoci alla luce, al presentimento, non abbiamo bisogno di dire che lui è il collegamento tra la tradizione e l’avanguardia. Non serve, giacché questo può essere detto di qualsiasi compositore brasiliano degno del nome. E questo non è ancora preciso per definire Paulinho da Viola. Quello che va detto è che Paulinho non è Un compositore, ma è tanti e vari compositori; é una somma di generazioni dei compositori della “Velha Guarda do samba”. Però, anche se questo è specifico, non è ancora esatto, poiché la somma non è l’unità, bensì un cumulo, visto da lontano. Osservata così, dall’alto, per meglio vederla, la presenza di Paulinho sarebbe una reincarnazione di “sambistas” trapassati, se per “reincarnazione” si intendono le foglie secche che resuscitano nel verde; foglie secche che si ricreano in una moltitudine di colori; se per “reincarnazione” si intendono le generazioni che tornano reinventate… Come dire, l’anno 1920 che si tramuta nel 2020, oppure un 12 trasformato in 21, come se
Nelson Cavaquinho, Cartola, Wilson Batista, Nelson
Sargento, Candeia, senza smettere di essere loro stessi, diventassero un altro, un compositore nato oggi; l’anima di queste persone che rinasce.
Ci chiediamo come fa Paulinho a tirar fuori questa magia. Per la risposta non c’e nemmeno bisogno di consultare la discografia. Ci basta prendere appunto di tutto ciò che ci viene a memoria.
Minha vez de sorrir chegou agora, quem perde è quem chora. Ora é arrivato il mio turno di sorridere, chi perde è chi piange (Nelson Sargento).
Duas horas da manhã, contrariado espero pelo meu amor... parece até que o coração me diz, sem ela eu não serei
feliz. Le due del mattino, seccato aspetto il mio amore… sembra quasi che il cuore mi dice che senza di lei non sarò felice (Nelson Cavaquinho).
Cego è quem vê só aonde a vista alcança. Cieco è quel che vede soltanto fin dove arriva l’occhio (Candela).
Prá quê, prá quê mentir, se tu ainda não tens esse dom de saber iludir? Prá quê mentir tanto assim, se tu sabes que eu já sei, que tu não gostas de mim, apesar de ser traído pelo teu ódio sincero, ou por teu amor
fingido? Perché, perché mentire, se non possiedi ancora il dono di saper illudere? Perché mentire così tanto, se sai che io già lo so, che non vuoi bene a me, nonostante il tradimento del tuo odio sincero o del tuo finto amore? (Noel Rosa).
Quem me conhece, passa por mim, jogando piada, sorrido. Chi mi conosce, per me passa, sfottendomi, ridendo
(Geraldo Pereira). Fim da tempestade, o sol nascerá. Fine della tempesta, il sole sorgerà
(Cartola, Elton Medeiros). Sono ancora tanti quelli che ci vengono in mente e che ci lasciamo scappare, tanto che l’omissione è un crimine:
Carlos Cachaça, Zé Kéti, Casquinha, Aniceto,
Manacéa, Monarco, Zé da Zilda, Mijinha… che la reticenza ci difenda!
Si potrebbe dire che registrare un’altra volta dei vecchi “sambas” è semplice, ma a questo punto, la risposta a tale affermazione quasi ci zittisce; parlare di un compositore soltanto tramite le parole, non è un parlare preciso, non è centrare il bersaglio, giacché dovremmo far ascoltare a chi ci legge,
Ouça duas horas da manhã (Ascolta le due del mattino) che é Nelson Cavaquinho e allo stesso tempo è Paulinho, lo stesso Paulinho di Sol e Pedra (Sole e pietra) e di
"Coração Leviano" (Cuore volubile). Non possiamo dire che egli trasforma le composizioni della “Velha Guarda” in composizioni sue e nemmeno che lui cerchi nella “Velha Guarda” la propria voce cantata prima di lui, perché non sarebbe ancora abbastanza chiaro e preciso per chi semplicemente ci legge senza aver avuto l’esperienza e la felicità di ascoltare la musica di Paulinho. Facciamo dunque, un patto con la semplicità: parliamo del tempo di Paulinho riflesso in attimi di secondi della nostra vita.
Quando "Foi um rio que passou em minha vida" (Fu un fiume che attraversò la mia vita) è stata lanciata, eravamo studenti in una sera di venerdì durante una serenata, nella spiaggia di “Maria Farinha”. Pensavamo allora, che la rivoluzione socialista sarebbe stata la cosa più naturale del mondo e, per essere così tanto naturale, non sarebbe stato strano ascoltare – non vi spaventate - 41 volte di seguito, in modo continuo e inarrestabile, fu un fiume, fu un fiume, fu un fiume… In quell’anno lontano – e perché no, ancora oggi - eravamo tutti Paulinho, immersi in questa bizzarra empatia, miscela di identità che la vera arte produce. Tutti noi ripetevamo a più riprese:
Meu coração tem mania de amor e amor não è fácil de achar… (Il mio cuore ha la smania di amare e l’amore non é facile da trovare…). Allora, intonando un canto, gridavamo questi versi.
Qualche anno dopo, abitando in una pensione nel centro di Recife, Paulinho era “Semplicemente Maria”.
Na cidade, é a vida cheia de surpresas, é a ida e a vinda, simplesmente Maria, Maria, teu filho está
sorrindo, faz dele a tua ida, teu consolo e teu destino, Maria... (Nella città, è la vita piena di sorprese, è l’andata ed il ritorno, semplicemente Maria, Maria, tuo figlio sorride, fa di lui la tua andata, il tuo lenire ed il tuo destino, Maria). In quel tempo, intendevamo il “fa di lui la tua andata” per “fa di lui la tua rabbia” . Mentre salivamo le scale per raggiungere la cameretta, sentivamo la musica che veniva dalla televisione, tema di una telenovela. Questa sempre ci ricordava che eravamo soli e senza madre, cui nome era anche Maria. Nell’attimo in cui questa musica iniziava a suonare, sempre attendevamo un colpo traditore della polizia che voleva ammazzarci. Senza Maria che vegliasse su di noi.
Quando Paulinho fece "Para um amor no Recife" (Per un amore a Recife), non mancarono voci per dire che la canzone era un omaggio alla segretaria di
Dom Helder Câmara. Le buone e principalmente le cattive lingue aggiungevano che la dedicata signora sarebbe la fidanzata segreta dell’arcivescovo. Tra il sussurro e la maldicenza, la repressione del governo militare e la resistenza serena, sorgeva un bel poema, quasi autonomo dalla melodia: A razão porque mando um sorriso e não corro, è que andei levando a vida quase morto. Quero fechar a ferida, quero estancar o sangue e sepultar bem longe o que restou da camisa colorida che cobria minha dor. Meu amor, eu não esqueço, não se esqueça, por favor, que voltarei depressa, tão logo acabe a noite, tão logo este tempo passe, para beijar você (La ragione per cui mando un sorriso e non corro, é che ho vissuto la vita quasi da morto. Voglio chiudere la ferita, voglio arrestare l’emorragia e seppellire lontano quel che restò della camicia colorata che copriva il mio dolore. Amore mio, non dimentico, non dimenticare, per favore, che presto tornerò, appena la notte finisce, appena questo tempo passa, per baciarti). Lungo tutti questi anni, questa canzone è ogni volta più bella. La dittatura non esiste più, la sua ragione di vita non esiste più, ma questa composizione continua a crescere di qualità, nonostante il degrado della città di Recife, che in modo quasi involontario fa parte del titolo.
Nei suoi quasi 61 anni, il compositore entra nel suo maggiore e migliore periodo. Che fortuna la nostra, essere sopravissuti alle peggiori tempeste per godere di questa sua maturità! In questa strana identificazione, noi, i “Paulinhos” di tutti i colori, di tutte le razze e credo, salutiamo tutte le generazioni di “sambistas” che sono presenti nel Paulinho del documentario. Tutto ciò che Paulinho prediceva in “Samba Curto”:
Só me resta seguir rumo ao futuro, certo do meu coração mais puro (Mi resta soltanto di seguire verso il futuro, certo del mio cuore più puro), adesso è in dirittura d’arrivo, ha raggiunto il suo tempo. Meno puro dell’atteso, come è buono questo cuore maturato dal crogiolo, dal ricordo di quanto lo avevamo soltanto come dolore. Cosa possiamo fare quando le aquile fanno l’occhiolino al moto di civiltà di questo monello coraggioso? Tentare di comprenderlo in una breve cronaca che alla fin fine potesse essere dedicata a
Roberto Mota, a Paulo César Fradique, a Hugo Cortez, a Zanoni
Carvalho, a Mario Sapo, a Marco Albertim e a tutti gli amici che stanno arrivando. Siccome ci mancano sempre parole, non ci resta altro che gridare, come nei tempi di
Maria Farinha, nel 1970: “Viva Paulinho! Viva Paulinho!” Questa volta, come una premonizione ed un desiderio, 101 volte.
Urariano
Mota è giornalista, scrittore e autore teatrale. Ha collaborato con diversi
quotidiani e settimanali, tra cui il "Diario de Pernambuco".

(em
portugues)
|
A
estréia nos cinemas de “Paulinho da Viola – meu tempo é hoje” é
excelente mote para que falemos do compositor. Há muito ele merecia
algumas palavras. Mas por que há tanto ele merecia e até aqui essas
palavras não foram ditas?
Sabem
aquele irmão a quem muito prezamos e em silêncio guardamos? Sabem aquele
afeto que não se expressa em verbo porque no que carregamos ele já é
uma expressão? Sabem aquela comunhão antiga que nem precisa falar? Então
sabem por que essas palavras até aqui não foram ditas. Mas compreender não
é o mesmo que ficar contente. Pois como existe este tempo de barbárie,
de soberano desprezo à manifestação da alma, de ódio e destruição até
ao existir, então é chegada a hora de falar de Paulinho da Viola. Para
que a ausência da fala do sentimento não se confunda com a ausência do
próprio sentimento. Para que o equívoco não tome o lugar da pessoa.
Falemos, mas com cuidado. Com cuidado para não cair em um pior silêncio,
o vazio da expressão gasta. Tentemos então, para perder e ganhar.
A
gente nem precisa dizer que Paulinho, em uma música popular tão rica, tão
larga e múltipla como a brasileira, a gente nem precisa dizer que
Paulinho é um dos seus melhores compositores. Isso poderia ser dito em
relação a Noel Rosa, a Cartola, a Pixinguinha, ou a Chico, ou a Caymmi, ou a Tom. Dizê-lo um dos melhores ainda não é o seu específico.
Avizinhando-nos da luz, pressentimento, a gente nem precisa dizer que ele
faz a ligação entre a tradição e a vanguarda. Não precisa porque isso
pode ser dito de todo compositor brasileiro digno do nome. Isso ainda não
é o seu específico. O que precisa ser dito, argumento, é que Paulinho
da Viola não é Um compositor.
Precisa
ser dito que Paulinho da Viola é muitos e vários compositores, é uma
soma de gerações de compositores da Velha Guarda do samba. Mas isto, se
é específico, ainda não é exato,
preciso. Porque a soma não é a unidade, ela é um amontoado, visto de
longe. Vista assim do alto, para melhor vê-lo, a presença de Paulinho
seria uma reencarnação de sambistas que se foram, se por reencarnação
compreendemos as folhas secas que ressurgem no verde, queremos dizer,
folhas secas que se fizessem azuis, vermelhas,brancas, negras, queremos
dizer, por fim, se por reencarnação compreendemos as gerações que
voltam reiventadas, algo como um 1920 mudado em 2020, como um 12 mudado
para um certo 21, ou: como se Nelson Cavaquinho, Cartola, Wilson Batista,
Nelson Sargento, Candeia, sem deixarem de ser eles
mesmos fossem um outro,
que vem a ser um compositor nascido hoje. A alma dessa gente renascida.
Mas
como é mesmo que Paulinho faz esse feitiço? A gente nem precisa
consultar a discografia, basta anotar o que nos vem à memória. Minha vez
de sorrir chegou agora, quem perde é quem chora,
Nelson Sargento. Duas
horas da manhã, contrariado espero pelo meu amor...parece
até que o coração me diz, sem ela eu não serei feliz, Nelson
Cavaquinho. Cego é quem vê só aonde a vista alcança, Candeia. Pra quê,
pra quê mentir, se tu ainda não tens esse dom de saber iludir? pra quê
mentir tanto assim, se
tu sabes que eu já sei, que tu não gostas
de mim, apesar de ser traído pelo
teu ódio sincero, ou por teu
amor fingido?, Noel. Quem me conhece, passa por mim, jogando piada, sorrindo, Geraldo
Pereira. Fim da tempestade, o sol nascerá, Cartola, Elton Medeiros. E
tantos nos vêm e deixamos escapar que a omissão de um nome é crime,
Carlos Cachaça, Zé Kéti, Casquinha, Aniceto, Manacéa, Monarco, Zé da
Zilda, Mijinha... que as reticências nos defendam.
Poderia
ser dito, regravar velhos sambas é simples: basta pôr a voz e gravar. A
resposta a isto, sentimos a
esta altura, quase nos cala. Falar de um compositor de música somente com
palavras não é fala precisa, seta na mosca. Porque teríamos que fazer
ouvir a quem nos lê: - “Ouça Duas horas da manhã, é Nelson
Cavaquinho e é ao mesmo tempo Paulinho, o mesmo Paulinho de Sol e Pedra,
e de Coração leviano. Ouça”. Porque dizer que ele faz de composições
da Velha Guarda composições suas, ou dizer que ele busca na Velha Guarda
a própria voz cantada antes, não seria claro e preciso para quem simplesmente nos
lê sem a experiência e a felicidade da música de Paulinho. Façamos então
um pacto com o mais simples: falemos do tempo de Paulinho da Viola
refletido em instantes de 2
linhas de nossa vida mesma.
Quando
“Foi um rio que passou em minha vida” foi lançado, éramos estudantes
numa sexta-feira à noite,
numa serenata em Maria Farinha. Achávamos então que a revolução
socialista seria a coisa mais natural do mundo. E por ser assim tão
natural, nada demais também que ouvíssemos, não se espantem, 41 vezes,
seguidas, contínua e incansavelmente foi um rio, foi um rio, foi um
rio... . Naquele ano, e por
que não ainda? , todos nós éramos Paulinho, nessa estranha empatia,
mistura de identidades que a verdadeira arte produz. Todos nós repetíamos,
e repetimos, e repetimos... que “meu coração tem mania de amor, e amor
não é fácil de achar”. À maneira de
cantar, gritávamos esses versos então.
Depois,
morando na Pensão Princesa Isabel, no centro do Recife, Paulinho era
Simplesmente Maria. “Na cidade, é a
vida cheia de surpresa, é a ida e a vinda, simplesmente,
Maria, Maria, teu filho
está sorrindo, faz dele
a tua ida, teu consolo e teu destino,
Maria...”. Nesse tempo, sempre compreendíamos
o “faz dele a tua ida” como um “faz dele a tua ira”. Enquanto subíamos
a escada para um quartinho isolado no alto, da televisão da sala vinha a
música, tema de uma novela. Ela nos lembrava sempre que estávamos
sozinhos e sem mãe, cujo nome também era Maria. À hora dessa música
sempre esperávamos algum
golpe traiçoeiro da polícia que queria nos matar. Sem Maria que nos
velasse.
Então
houve Para um amor no Recife. Diziam então que Paulinho fizera essa música
para a secretária de Dom Hélder Câmara. As boas, e as más línguas
principalmente, acrescentavam que a dedicada senhora vinha a ser a
namorada secreta do arcebispo. Entre o sussurro e a maledicência, entre a
repressão da ditadura Médici e a resistência serena erguia-se um poema
belo, quase autônomo da melodia: “A razão porque mando um sorriso e não
corro, é que andei levando a vida quase morto. Quero fechar a ferida,
quero estancar o sangue, e sepultar bem longe o que restou da camisa
colorida que cobria minha dor. Meu amor, eu não esqueço, não se esqueça,
por favor, que voltarei depressa, tão logo acabe a noite, tão logo este
tempo passe, para beijar você ”. Esta é uma canção que só fez
melhorar ao longo de todos esses anos. A ditadura não existe mais, o seu
motivo imediato não mais existe, mas a composição só vem crescendo,
apesar da degradação do Recife, que entra quase incidentalmente no título.
Nos
61 anos que se aproximam, o compositor entra no seu maior e melhor tempo.
Que sorte imensa a nossa em ter sobrevivido aos piores temporais para
viver essa maturidade! Nessa estranha identificação, nós, os Paulinhos
de todas cores, raças e credos, saudamos as gerações de sambistas nesse
Paulinho do documentário. O que ele anunciava num Samba Curto, “só me
resta seguir rumo ao futuro, certo do meu coração mais puro”, agora
vem chegando, agora atinge o seu tempo. Menos puro que o esperado, como é
bom esse coração amadurecido pelo crisol, pela
lembrança de quando o
tínhamos somente dor. Que podemos
fazer quando as águias
piscam à civilização desse moleque bamba? Tentar, tentar comprendê-lo
em uma crônica curta, que pudesse ao
fim ser dedicada a Roberto Mota, a Paulo César Fradique, a Hugo Cortez,
a Zanoni Carvalho, a Mário Sapo, a Marco Albertim, aos amigos que
vêm chegando. Como não o conseguimos, só
nos resta gritar, como em Maria Farinha em 1970: Viva Paulinho!
Viva Paulinho! Desta vez, como uma premonição e um desejo, 101 vezes.
Graduado em jornalismo. Contos publicados na década de 70 nos jornais Movimento, Opinião, Tribuna da Imprensa, e revista Ficção. Livro ("Arremedo de Voo") premiado na Ube, no Rio de Janeiro. Peça de teatro ("O Farol da Provincia") vencedora do Cuncurso Universitario de Peças Teatrais, do Serviço Nacional de Teatro, para a região Nordeste. Em meses mais recentes tem publicado cronicas e artigos no Diario de
Pernambuco.

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