CONVERSA NO QUINTAL

EPPURE ESISTONO...
Una premessa sugli Indios

 

 

di Dulce Rosa Rocque 

 

(versione in portoghese)

La storiografia brasiliana ha sempre ritenuto che le popolazioni autoctone non facessero realmente parte della Storia del Brasile, ma se ne dovesse piuttosto tener conto semplicemente in ambito etnografico. La nostra storia, infatti, scritta principalmente da mani europee, nasce in Europa; in essa gli indios vi compaiono soltanto all'inizio, per scomparirne quasi subito. La traccia della loro presenza nei primi anni di storia è legata prevalentemente agli aspetti economici del primo sfruttamento della nuova colonia. Essi infatti venivano utilizzati per la estrazione dell'Ibira-pitanga - legno rosso fornito dall'albero chiamato, dagli indios "Arabutan" e dagli scienziati "Caesalpina Echinata" -, ossia, più volgarmente "pau-brasil".

Questo legno era già conosciuto in Europa fin dal secolo XI. Il "sapang", proveniente da Sumatra, forniva una polvere che era usata per tingere le vesti di re e cardinali con una tonalità di rosso acceso, purpureo; e di tale prodotto si trovano notizie già, ad esempio, negli archivi della dogana di Ferrara (1193) e Modena (1221). L'Ibira-pitanga brasiliano arriva in Portogallo con le navi di Gaspar de Lemos, nel 1500, insieme alle lettere che annunciano la scoperta di Vera Cruz, nome originale del Brasile, e l'esistenza degli "indios". Gli abitanti delle nuove terre vennero così chiamati dai portoghesi, poiché questi erano inizialmente convinti di essere arrivati nelle Indie; dopo di allora, nonostante la scoperta dell'errore geografico, nessuno ha più tolto di dosso agli indigeni brasiliani tale appellativo.

E' da rilevare che non si sa esattamente quanti fossero gli indios all'epoca della scoperta di Vera Cruz . I dati riguardanti il numero d'individui che abitavano quelle terre - scoperte ufficialmente dai portoghesi nel 1500 e poi denominate "Terra di Santa Cruz" -, oscillano fra i 5, 6 e 10 milioni. La maggior parte degli studiosi ritiene, però, fossero circa cinque milioni gli indigeni che popolavano, principalmente ma non solo, le coste della "Terra dei Brasis" (come veniva, anche, chiamata in Europa, principalmente dai contrabbandieri del legno). Ancora oggi, peraltro, i ricercatori si domandano quando e da dove siano arrivati in queste zone quelle popolazioni. L'opinione prevalente è che siano di origine asiatica; per quanto riguarda l'epoca, si discute fra l'ipotesi di 12.000 anni fa, e quella che fa risalire l'insediamento addirittura a 20.000 anni fa.

In ogni caso, bastarono pochissimi anni perché i nativi capissero cosa volevano gli europei da quelle terre, fossero essi portoghesi o francesi. All'inizio bastarono specchi, pettini, pezzi di tessuto, e poche altre cianfrusaglie
per incantare gli indios e ottenere il loro lavoro in cambio. Superato però il periodo della novità, gli indios cominciarono a volere in cambio del taglio del "pau-brasil", forbici, coltelli, zappe e lenze per la pesca. Gli indios Tabajara, Tupiniquim, Tupinambà e Potiguar segavano, tagliavano in ceppi e trasportavano dalla foresta alle navi, sulle spalle nude, alle volte per due o tre leghe (da 13 a 20 km), i tronchi dell'albero che ha dato nome al Brasile. Man mano che si instaurava l'abitudine a ricevere, anziché chincaglierie, attrezzi utili al taglio del legno, e che si rendevano conto del ripetersi della stessa richiesta da parte degli europei, gli indios cominciarono a segare gli alberi di pau-brasil senza aspettare l'arrivo delle navi; facilitarono così enormemente l'attività dei contrabbandieri, che potevano ridurre al minimo il tempo di sosta delle navi. In questo modo gli indigeni del litorale brasiliano passarono praticamente, da un momento all'altro, dall'Età della Pietra a quella del Ferro: inizia così la Saga del Brasile... e degli indios.

Alla fine del secolo XVI il pau-brasil era già praticamente estinto; contemporaneamente in Europa vi si era perso l'interesse, per l'introduzione di altri nuovi coloranti. Comincia così a crescere negli interessi nazionali la coltivazione della canna da zucchero, che veniva piantata disboscando man mano la foresta. L'importanza economica di questa coltivazione arrivò a un punto tale per il Portogallo che venivano sostenute dalla Corona soltanto le Capitanie (porzione di territorio affidate a singoli notabili) che riuscivano ad esportarne quantità significative. Accadde quindi che le Capitanie inadatte a tale coltivazione si impoverissero sempre più. Quelle invece in cui le piantagioni avevano successo, necessitando di abbondante mano d'opera a basso costo, utilizzavano schiavi negri, più assoggettabili degli indios. Verso la fine del secolo accadono però alcuni fatti che sconvolgono il traffico negriero; l'impossibilità di importare nuovi schiavi dall'Africa a fronte dell'estendersi delle piantagioni e, anzi, l'inizio delle fughe dei neri già impiegati (che trovano rifugio nei Quilombos) generò l'urgenza di trovare un'alternativa.

La duplice esigenza di soppiantare i negri e risollevare le sorti economiche della Capitania, porto alla nascita nella zona di Sao Vicente, del fenomeno delle Bandeiras, cioè delle spedizioni armate organizzate con l'obiettivo di catturare e ridurre in schiavitù gli indios. In questa zona, isolata e povera, si era infatti già abituati a catturare gli indios per farli lavorare nei campi; l'idea di trasformare questa "soluzione indigena" in un "commercio" da offrire alle capitanie più ricche, consentì loro di sopravvivere. Il traffico degli indios si intensifica nella prima metà del secolo XVII, quando i "bandeirantes" cominciano a catturarli nelle Missioni dei Gesuiti. Qui, agli indios veniva insegnato a lavorare regolarmente, cosa a cui non erano abituati. Dopo questa costrizione, già "addomesticati" dai gesuiti, gli indios si assoggettavano più facilmente al lavoro come schiavi. Così, gli indigeni "cristiani" diventano economicamente produttivi e pronti per servire anche in guerra, in obbedienza agli interessi dei signori religiosi.

La sempre più frequente presenza degli olandesi nelle coste brasiliane costrinse la Corona Portoghese stessa a prendere "coscienza" della esistenza degli indios. Accadeva infatti che i nativi, forse anche per rivalsa contro gli schiavisti, davano collaborazione e appoggio al progetto di occupazione olandese. Per contrastare questa tendenza viene creata dall'autorità coloniale, nel 1636, la figura di "Capitao Mor dos Indios" (Capitano Maggiore degli Indios), con l'intento di organizzare anche l'inquadramento militare dei nativi. Pochi anni dopo, nel 1655, la Corona Portoghese consulta giudici e personalità ecclesiastiche con l'obiettivo di sapere, alla luce di leggi antiche e moderne, se fosse possibile schiavizzare legittimamente gli indios nelle aree conquistate. Nel 1659, davanti alla viva resistenza opposta dagli indios alle scelte dei colonizzatori, la Corona Portoghese propone di tornare ad importare schiavi dal Cabo Verde per le piantagioni di canna da zucchero del Maranhao.

Se la presenza olandese in Brasile aveva trasformato la cattura degli indios in un affare molto lucrativo, questo però finisce con l'estinzione delle maggiori missioni alla metà del secolo XVII e, principalmente con la ripresa del traffico negriero a seguito dell'espulsione degli olandesi sia dal Brasile che dall'Africa. Per altri duecento anni, la situazione non cambia: gli indios continuano ad essere maltrattati e, per interesse di vario tipo, vedono diminuire sempre di più le proprie terre; inoltre, il processo di colonizzazione portava all'estinzione di intere tribù, sia per azione delle armi sia a seguito del contagio di malattie (raffreddore, morbillo, pertosse, vaiolo, tubercolosi) portate da paesi lontani, o, ancora, tramite l'applicazione di politiche di "assimilazione" degli indios alla nuova società. Il vero intento della "conquista spirituale" non si limitava alla cristianizzazione degli indios, come dichiarato, al contrario, si cercò di instaurare un processo di acculturazione capace di impregnarne la vita socio-economica, inducendo profonde alterazioni del loro modo di vivere.

Laddove si sono riuscite ad installare le Missioni, questo intendimento ha generato una rottura culturale irreparabile imponendo, sotto il "manto protettore" del cristianesimo, la realtà coloniale e sradicando gli indios dalle loro tradizioni religiose, culturali e di costume. Neppure la prima Costituzione brasiliana (1824) prende minimamente in considerazione l'identità delle società indigene, ignorando totalmente la poliedricità etnica e culturale del paese. La letteratura del secolo XIX, tuttavia incomincia, seppure in modo ambiguo e da un'ottica europea, a considerarne l'esistenza. Attraverso Gonçalves Dias, José de Alencar ed il compositore Carlos Gomes, la società brasiliana riceve un'immagine delle popolazioni indigene ancora distorta dalla lente dei preconcetti e delle idealizzazioni di matrice culturale europea. A seguito di varie ed estese rivolte nativiste, è soltanto all'inizio del secolo XX che lo Stato brasiliano, nel frattempo diventato repubblica, comincia a rendersi conto della consistenza e della diffusione sul territorio delle tribù, e si sente finalmente costretto a prendere atto dell'esistenza del "problema indigeno": la catechesi non era riuscita a convertirli, ad "assimilarli", né tantomeno a difendere i loro territori o a impedirne lo sterminio.

Nasce il primo organo del governo volto ad interessarsi della questione indigena. Il merito va al Marechal Candido Rondon (discendente degli indios Bororo) che, quattro secoli dopo la scoperta del Brasile, nel 1910, fondò il Serviço de Proteçao ao Indio (SPI). E' sua la frase "Morrer se preciso for, matar nunca" in un'epoca in cui ancora gli indios erano abbattuti a spari, a prima vista. Ha sostituito l'odio ( del "civilizzato") con la tenerezza, il sospetto (degli indios) con la fiducia e le carabine con chincaglierie. La creazione di questo ente sottrae alla chiesa cattolica il ruolo egemonico che questa ricopriva da secoli. Si passa ufficialmente, dall'ottica "assistenzialistica" dei religiosi alla cosiddetta "politica di integrazione" avviata dallo Stato. L'indio viene considerato, ma solo come "soggetto in transizione", cioè che deve essere preparato per entrare nella "civiltà". Il riconoscimento della sua diversità etnica e culturale avrebbe infatti dovuto essere soltanto il primo stadio di uno sviluppo culminante con la sua incorporazione alla società nazionale.

In tale periodo predominavano, ancora, le vecchie idee sull'evoluzione dell'umanità e l'ideologia corrente era pertanto fortemente etnocentrica. Infatti, la Costituzione brasiliana vigente all'epoca, prevedeva la figura giuridica della "tutela" ed inoltre considerava gli indios "relativamente incapaci". E' merito dei fratelli Villas Boas (Orlando, Claudio e Leonardo) prosecutori dell'opera di Rondon, la creazione del Parque Nacional do Xingù, nel quale i "selvaggi" potevano continuare a vivere secondo le proprie tradizioni. Si tratta di un rifugio e santuario - minacciato costantemente - situato nel cuore del Brasile. Oggi, è la Fondazione Nazionale degli Indios (FUNAI) l'organo del governo brasiliano che si occupa, per legge, dell'educazione basilare degli indios, della demarcazione e protezione delle loro terre nonché, tra l'altro, dello stimolo allo studio dei gruppi indigeni. Tutto qui, praticamente. Come all'epoca della scoperta, ancora oggi, non è che si abbiano molte certezze sul numero degli individui delle varie etnie. Alcuni parlano di 300.000, altri di 350.000, altri ancora perfino di 500.000; e ci si riferisce solo alle tribù note e contattate. Già questa incertezza da la misura del peso che viene dato alla questione "indigena" in Brasile.

 

 

Pertanto, abbiamo scelto una di queste opinioni che, in linea di massima, suddivide la popolazione indigena così:

- nel Nord, 166.007
- nel nordest, 87.253
- nel centro-ovest, 70.026
- nel sudest 11.343
- nel sud , 32.149


Questi sopravvissuti alle violenze secolari sono suddivisi in circa 220 società indigene; sono circa lo 0,2% della popolazione brasiliana ed occupano meno del 12% del territorio nazionale. Questa realtà porta molti a usare la frase "molta terra per pochi indios" per sminuire l'importanza della questione ed ottenere il disinteresse generale.

 

Le maggiori popolazioni indigene rimanenti oggi risultano essere:
- Guarani con più di 20.000 persone;
- Terena, Macuxi, Ticuna e Caingangues, hanno ognuna, tra i 10 e 20.000 
individui;
- Guajajaras, Potiguares, Xavantes e Ianomamis, fra 5 e 10.000 persone 
ciascuna;

 

Pensare che, ai tempi della scoperta del Brasile, i soli Potiguar (mangiatori di gamberi in Tupi) erano circa 90.000 nella sola zona costiera. Nei censimenti mancano, completamente o quasi, i Tupinambà (che erano 
100.000 circa nel 1500), Kaetè ( 75.000 all'epoca della scoperta) e Goitacà, già in pratica sterminati alla fine del sec. XIX. Per quanto riguarda le lingue, stimate in 1.300 all'epoca della scoperta, ne sopravvivono oggi 170 e appartengono, principalmente, a tre ceppi: Tupì, Macro-je e Aruak. Oltre a queste, molte altre non si è fatto in tempo a classificarle o identificarle, perché già scomparse. Esistono, inoltre, molti dialetti ,di cui una buona parte deriva dalla lingua Timbira. Il Brasile ha voltato le spalle a questa realtà e alle sue origini per ben quattro secoli, senza risolvere i molti problemi d'identità e mantenendo un riferimento europeo. Soltanto ultimamente, dalla fine del secolo XX, per merito dei movimenti afro-indigeni, il popolo brasiliano ha cominciato a rompere i vincoli ideologici con quello che ci ha lasciato l'impero portoghese. Lo sterminio dei popoli indigeni rivela, in genere, una violenza silenziosa, che nasconde il preconcetto di un paese che non assume coscienza della propria plurietnicità e non accetta la cultura ed i costumi d'altri popoli.


Fonti: Cimi - Funai- Rainforest- Ivan Alves

 

 

 

Inno Nazionale Brasiliano in lingua Tupi


Embeyba Ypiranga sui, pitúua,
Ocendu kirimbáua sacemossú
Cuaracy picirungára, cendyua,
Retama yuakaupé, berabussú.
Cepy quá iauessáua sui ramé,
Itayiuá irumo, iraporepy,
Mumutara sáua, ne pyá upé,
I manossáua oiko iané cepy.

 

 

Iassalssú ndê,
Oh moetéua
Auê, Auê !

 

 

Brasil ker pi upé, cuaracyáua,
Caissú í saarússáua sui ouié,
Marecê, ne yuakaupé, poranga.
Ocenipuca Curussa iepê !
Turussú reikô, ara rupí, teen,
Ndê poranga, i santáua, ticikyié
Ndê cury quá mbaé-ussú omeen.

 

 

Yby moetéua,
Ndê remundú,
Reikô Brasil,
Ndê, iyaissú !

 

 

Mira quá yuy sui sy catú,
Ndê, ixaissú, Brasil !
Ienotyua catú pupé reicô,
Memê, paráteapú, quá ara upé,
Ndê recendy, potyr America sui.
I Cuaracy omucebdy iané !
Inti orecó puranguáua pyré,
Ndê nhu soryssára omeen potyra pyré,
ÌCicué pyré orecó iané caaussúî.
Iané cicué, ìndê pyá upé, saissú pyréî

 

 

Iassalsú ndê,
Oh moetéua
Auê, Auê !

 

 


Brasil, ndê pana iacy-tatá-uára
Toicô rangáua quá caissú retê,
I quá-pana iakyra-tauá tonhee
Cuire catuama, ieorobiára kuecê.
Supi tacape repuama remé
Ne mira apgáua omaramunhã,
Iamoetê ndê, inti iacekyé.

 

 

Yby moetéua,
Ndê remundú,
Reicô Brasil,
Ndê, iyaissú !

 

 

Mira quá yuy sui sy catú,
Ndê, ixaissú,
Brasil !


Hino Nacional Brasileiro

Música: Francisco Manuel da Silva
Letra: Joaquim Osório Duque Estrada

Ouviram do Ipiranga às margens plácidas
De um povo heróico o brado retumbante,
E o sol da liberdade, em raios fúlgidos,
Brilhou no céu da Pátria nesse instante.

Se o penhor dessa igualdade
Conseguimos conquistar com braço forte,
Em teu seio ó liberdade,
Desafia o nosso peito a própria morte!

Ó Pátria amada
Idolatrada
Salve! Salve!

Brasil de um sonho intenso, um raio vívido,
De amor e de esperança à terra desce
Se em teu formoso céu risonho e límpido
A imagem do Cruzeiro resplandece
Gigante pela própria natureza
És belo, és forte, impávido colosso,
E o teu futuro espelha essa grandeza,

Terra adorada!
Entre outras mil
És tu, Brasil,
Ó Pátria amada

Dos filhos deste solo és mãe gentil,
Pátria amada
Brasil!

Deitado eternamente em berço esplêndido,
ao som do mar e à luz do céu profundo,
Fulguras, ó Brasil, florão da América,
Iluminado ao sol do Novo Mundo!
Do que a terra mais garrida
Teus risonhos lindos campos tem mais flores,
Nossos bosques têm mais vida
Nossa vida no teu seio mais amores

Ó Pátria amada
Idolatrada
Salve! Salve!

Brasil, de amor eterno seja símbolo
O lábaro que ostentas estrelado,
E diga o verde-louro dessa flâmula
Paz no futuro e glória no passado
Mas se ergues da justiça a clava forte,
Verás que um filho teu não foge à luta,
Nem teme, quem te adora, a própria morte,

Terra adorada!
Entre outras mil
És tu, Brasil,
Ó Pátria amada

Dos filhos deste solo és mãe gentil
Pátria amada
Brasil!



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(versao in portugues)

 

TODAVIA EXISTEM...
Uma premissa sobre os índios.

 



 

A historiografia brasileira sempre achou que as populações autóctones não fizessem realmente parte da História do Brasil, mas que se devia tê-las em consideração somente no âmbito etnográfico. A nossa história, na verdade escrita principalmente por mãos européias, nasce na Europa; nela os índios aparecem somente no início, para desaparecerem logo depois. Uma idéia da presença dos índios nos primeiros anos da nossa história é ligada, de prevalência, aos aspectos econômicos da exploração da nova colônia. Eles, de fato, eram utilizados para extrair a IBIRA-PITANGA; madeira de cor vermelha fornecida pela arvore que os índios chamavam Arabutan, e os cientistas, Caesalpina echinata ; ou seja, mais vulgarmente o "pau-brasil". Esta madeira já era conhecida na Europa desde o século XI. O "sapang", nativo de Sumatra, fornecia um pó vermelho usado para tingir as roupas de reis e cardeais com uma tonalidade purpúrea. Deste produto já se encontravam noticias, por exemplo, nos arquivos da alfândega de Ferrara (1193) e Módena (1221). A Ibira-pitanga brasileira chega em Portugal com as naus de Gaspar de Lemos, em 1500, juntamente com as cartas que anunciavam a descoberta de Vera Cruz, nome original do Brasil, e a existência dos índios.

Os habitantes dessa nova terra foram chamados assim pelos portugueses, porque estes eram convictos de terem chegado às Índias; depois, mesmo tendo descoberto o erro geográfico, ninguém conseguiu mais tirar lhes esse apelido. Então, ninguém se preocupou em saber exatamente, ou mais ou menos, quantos eram os habitantes de Vera Cruz. Os dados relativos ao numero de indivíduos que se encontravam naquelas terras descobertas oficialmente pelos portugueses em 1500 e depois denominada "Terra de Santa Cruz" -, oscilam entre cinco, seis e dez milhões. A maior parte dos estudiosos estima, porém, que fossem, cerca cinco milhões os indígenas que povoavam, principalmente, mas não somente, as costas da "terra dos brasis" (como era chamada na Europa pelos contrabandistas daquela madeira). Ainda hoje os pesquisadores perguntam-se quando e de onde chegaram nesta zona aquelas populações. A opinião que prevalece é que sejam de origem asiática; e em relação à época, se discute a hipótese de 12.000 anos atrás, e aquela que prevê em 20.000 anos o período da chegada. Independentemente daquelas respostas, bastaram pouquíssimos anos para que os nativos compreendessem o que os europeus queriam daquelas terras, fossem eles portugueses ou franceses. No inicio, espelhos, pentes miçangas e poucas outras bugigangas, foram usadas para encantar os índios e obter em troca o trabalho deles. Passado o período da novidade, os índios começaram a querer, em troca do corte do pau-brasil, facas, machados, terçados e anzóis

Os índios Tabajara, Tupiniquim, Tupinambá e Potiguar derrubavam as árvores, cortavam os troncos e transportavam da floresta até as naus, sobre as costas nuas, por duas ou três léguas (de 13 a 20 km), as toras da madeira que deu nome ao Brasil. A medida que se instaurava o habito de receber, em vez de bugigangas, objetos úteis ao corte da madeira, e que notavam que o que os europeus queriam era sempre a mesma coisa, os índios começaram a derrubar as arvores de pau-brasil sem nem esperar a chegada das caravelas; facilitaram assim enormemente a atividade dos contrabandistas, que podiam reduzir ao mínimo o tempo de estadia.
Deste modo os índios do litoral brasileiro passaram praticamente, de um momento para o outro, da Idade da Pedra aquela do Ferro: inicia assim a Saga do Brasil, e dos índios. Nos meados do século XVI o pau-brasil já estava praticamente extinto; contemporaneamente a Europa também já tinha perdido o interesse, pois tinham sido introduzidos outros tipos de anilinas. O interesse nacional ja tinha sido desviado para o cultivo da cana de açúcar o qual aumentava paralelamente ao desmatamento da Mata Atlantica.

A importância econômica da lavoura canavieira chegou a um tal ponto para Portugal que as autoridades coloniais davam atençao somente as Capitanias que conseguiam exportar grandes quantidades de açucar. Assim sendo, as Capitanias que não conseguiam cultivar a cana, empobreciam cada vez mais e aquelas, em vez, cujos canaviais davam bons resultados, enriquecendo, aumentavam a demanda de mão de obra barata. Diante da dificuldade de escravizar os indigenas, receberam os proprietarios de engenhos o privilegio de importar escravos negros, trazidos da Africa. No fim do século, porém, começa a ficar dificil o trafico negreiro; paralelamente, começava a ser bem maior o numero dos escravos que fugiam e encontravam refugio nos Quilombos. Tornou-se urgente a necessidade de encontrar uma alternativa para isso. A dupla exigência de substituir os negros e melhorar as condições econômicas da Capitania, levou ao nascimento na região de São Vicente do fenômeno das "Bandeiras", ou seja, das expedições armadas organizadas com o objetivo, ao menos inicialmente, de capturar e escravizar os índios. Nesta zona isolada e pobre, os habitantes já estavam acostumados a capturar os índios para faze-los trabalhar nas lavouras; assim sendo, para sair daquela penuria tiveram entao a idéia de usar a "solução indígena" como remédio para resolver os problemas de sobrevivencia da Capitania.

O trafico de índios aumentou na primeira metade do século XVII quando os bandeirantes começaram a capturá-los na Missões dos Jesuítas. Aqui, os índios aprendiam a trabalhar regularmente, coisa que não eram acostumados a fazer. Depois desta constrição, já "domesticados" pelos jesuítas, os índios se adaptavam mais facilmente ao trabalho escravo. Assim, os indígenas "cristãos" tornam-se economicamente produtivos e prontos para servir até nas guerras, em obediência aos interesses dos senhores religiosos. Foi a constante presença de holandeses nas costas brasileiras, praticamente, que constringiu a Coroa Portuguesa a tomar consciência da existência dos índios. Isto porque os nativos, talvez por vingança contra quem os escravizava, ofereceram colaboração e apoio ao projeto de ocupação dos holandeses. Para contrastar esta tendência a autoridade colonial criou, em 1636, a figura do Capitão Mor dos Índios, com a intenção de organiza-los, também, do ponto de vista militar. Poucos anos depois, em 1655, a Coroa Portuguesa consultou juizes e autoridades eclesiásticas com o objetivo de saber, à luz de leis antigas e modernas, se fosse possível escravizar, legitimamente, os índios das áreas conquistadas. Em 1659, depois da forte resistência oposta pelos índios aos colonizadores, a Coroa Portuguesa propõe de voltar a importar escravos de Cabo Verde para as plantações de cana de açúcar do Maranhão.

A presença holandesa no Brasil tinha transformado a captura do índio num negocio muito lucrativo, mas isto acaba com a extinção das maiores Missões  na metade do século XVII e, principalmente com a volta ao trafico negreiro depois da expulsão dos holandeses, seja do Brasil que da África. Durante outros duzentos anos, a situação não muda: os índios continuavam a ser maltratados e, por interesses de vários tipos, vêem diminuir cada vez mais a própria terra. Alem disso, o processo de colonização leva à extinção de tribos inteiras, seja pela ação das armas seja por causa de doenças (gripe, varíola, coqueluche, sarampo, tuberculose) trazidas de outros  países, ou, ainda, através da aplicação de políticas de "assimilação" do índio à nova sociedade. A verdadeira intenção da "conquista espiritual" não se limitava à cristianização dos índios, como declarado, ao contrario, tentaram instaurar um processo de aculturação capaz de modificar-lhes a vida socioeconômica, induzindo profundas alterações no modo de vida dos nativos. Onde as Missões se instalaram, isto aconteceu, gerando uma ruptura cultural irreparável e impondo, sob o "manto protetor" do cristianismo, a realidade colonial afastando, assim, os índios das próprias tradições religiosas, culturais e de costume. Nem mesmo a primeira Constituição brasileira (1824) toma em consideração a  identidade das sociedades indígenas, ignorando totalmente a variedade étnica do país.

A literatura do século XIX, todavia, começa, mesmo se de modo ambíguo e com uma ótica européia, a considerar a existência dos nativos. Através de Gonçalves Dias, José de Alencar e do compositor Carlos Gomes, a sociedade brasileira recebe uma imagem das populações indígenas ainda cheia de preconceitos e, às vezes, idealizada. Depois de varias revoltas nativistas, é somente no inicio do século XX que o Estado brasileiro, ja republica, se ve obrigado a tomar conhecimento da consistência e da difusão das "tribos" no território, se sente, assim, finalmente obrigado a reconhecer a existencia do "problema indígena". Tinha ficado claro que a catequese não tinha conseguido converti-los, nem assimilá-los, nem mesmo defender a território ocupado por eles ou evitar o extermínio. Nasce o primeiro órgão do governo que deve tratar a questão indígena. O mérito è do Marechal Cândido Rondon (descendente dos índios Bororo) que, quatro séculos depois da descoberta do Brasil, em 1910, vai dirigir o Serviço de Proteção aos Índios (SPI). E' sua a frase "morrer se preciso for, matar nunca" numa época em que os índios eram abatidos a tiros. Ele substituiu o ódio (do civilizado) com a bondade, o suspeito (do índio) com a confiança e os fuzis com bugigangas. A criação deste órgão tira da Igreja Católica o papel hegemônico que durava já vários séculos. Oficialmente se passa de uma ótica assistencialista dos religiosos, aquela chamada de "política de integração" iniciada pela União. O índio passa a ser considerado, mas somente como "sujeito em transição", isto è, que deve ser preparado para entrar na civilização. O reconhecimento da sua diversidade étnica e cultural era a primeira etapa de um desenvolvimento que culminaria com a sua incorporação na sociedade nacional.

Naquele período histórico predominavam, ainda, as velhas idéias sobre a evolução da humanidade e a ideologia corrente era fortemente etnocêntrica. De fato, a Constituição brasileira daquela época, previa a figura jurídica da "tutela" e, além disso, considerava os índios "relativamente incapazes". Mais tarde, por mérito dos irmãos Villas Boas (Orlando, Cláudio e Leonardo) continuadores da obra de Rondon, foi criado o Parque Nacional do Xingu, onde os "selvagens" podem continuar a viver segundo as próprias tradições.  Trata-se de refugio e santuário "ameaçado constantemente" situado no coração do Brasil. Hoje è a Fundação Nacional dos Índios (FUNAI) o órgão do governo brasileiro que, por lei, cuida da educação básica dos índios, da demarcação e proteção das terras e estimula o estudo dos vários grupos étnicos. Somente.Como na época da descoberta do Brasil, ainda hoje, não è que se tenha muita certeza sobre o numero dos indivíduos das varias etnias. Alguns falam serem 300.000, outros 350.000, outros ainda estimam em 500.000; e se referem somente às comunidades indigenas já conhecidas e contatadas. Esta incerteza dá uma idéia do peso que dão a questão indígena no Brasil. Portanto, escolhemos uma destas opiniões que, em linha de máxima, subdivide a população indígena da seguinte maneira: 


Norte: 166.007
Nordeste: 87.253
Centro-Oeste: 70.026
Sudeste: 11.343
Sul: 32.149.

Estes sobreviventes das violências seculares estão distribuídos em 220 sociedades indígenas; são cerca 0,2% da população brasileira e ocupam pouco menos de 12% do território nacional. Esta realidade leva muitos a usarem a frase "muita terra pra pouco índio" para diminuir a importância da questão e assim obter o desinteresse geral. As maiores populações indígenas que sobraram, são:

 

- Guarani com mais de 20.000 pessoas;
- Terena, Macuxi, Ticuna e Caingangues, que tem cada uma entre 10 e 20.000 
pessoas cada uma;
- Guajaras, Potiguares, Xavantes e Ianomâmis, entre 5 e 10.000 pessoas cada uma;

 

 

Basta pensar que, no tempo da descoberta do Brasil, os Potiguares ("comedores de camarão", em Tupi) eram estimados em quase 90.000 na zona costeira. Nos recenseamentos faltam, completamente ou quase, os Tupinambás (que eram cerca 100.000 em 1500), os Caetés ( 75.000 à época da descoberta) e os Goitacases, já praticamente exterminados no fim do séc. XIX. Em relação as línguas, estimadas em 1.300 na época da descoberta, sobrevivem hoje 170 que fazem parte, principalmente, dos três troncos reconhecidos: Tupi, Macro-je e Aruak/Karib. Alem destas, muitas outras não foram identificadas porque já desaparecidas. Existem, alem disso, muitos dialetos, que derivam, em boa parte da língua Timbira. O Brasil virou as costas a esta realidade e às suas origens durante quatro séculos, sem resolver os muitos problemas de identidade, mantendo suas referencias na Europa. Somente ultimamente, no fim do séc. XX, por mérito dos movimentos afro-indígenas, o povo brasileiro começou a romper os vínculos ideológicos com o que nos deixou de herança o império português. O exterminio dos povos indigenas revela, geralmente, uma violencia silenciosa que esconde o preconceito de um pais que nao assume consciencia da propria plurietnicidade e nao aceita a cultura e os costumes de outros povos.