R e c e n s i o n i
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SEIO DA BAHIA Velas 012 960 2 ****
Giunta al suo terzo lavoro, la sorellina di Daniela Mercury (innegabile che abbia il suo stesso timbro di voce), ci regala un ottimo esempio di MPB moderna e piacevole. Date le premesse e le potenzialità, non siamo forse ancora al vertice delle sue capacità espressive, ma si comincia ad essere veramente soddisfatti: arrangiamenti sufficientemente personali e ben curati, buona scelta dei brani, energia e classe interpretativa in netta ascesa. Ospiti speciali sono per la prima volta la diva Daniela nel brano che da’ il titolo al CD e un ottimo Domiguinhos che insaporisce con il suo classico acordeon “Dono dos teus olhos” di Humberto Texeira e la splendida Conta de areia. Tra radici bahiane e ballad melodiche, bossa-nova e forro, perfino sertaneja, Vania Abreu appare sempre più l’alter-ego riflessivo e pop (nel senso di interprete MPB) della Mercury, molto meno incline all’axé e sempre più legata alle nuove leve compositive nordestine, da Zeca Baleiro a Chico Cesar a Jorge Portugal. Il disco è del 99 e intende sintetizzare tutto il cammino professionale della cantante, offrendo pezzi che sono da sempre suoi cavalli da battaglia in concerto, come Sangue Latino, Olhozinho, Mais de mim. Il tempo è ormai maturo per un nuovo lavoro, che potrebbe essere la conferma definitiva e il lancio nei circuiti internazionali. Dai piccoli club di Bahia alla platea internettiana, statunitense ed europea: un bel salto per una cantante che merita massima fiducia ed attenzione e promette di diventare una delle interpreti più apprezzabili della scena brasiliana. |
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CINE BARONESA 270.001
***** Guinga (voce, chitarra acustica) Gilson Peranzzetta (piano, arrangiamenti) Marcos Sudano (percussioni)
Concepito come una sorta di colonna sonora e intitolato come il cinema della propria infanzia, il quinto disco di Giunga è un piccolo gioiello di eleganza e ricercatezza musicale. Del tutto sconosciuto in Italia e poco frequentato anche nel proprio paese, il chitarrista e compositore carioca stupisce per la bellezza e la raffinatezza delle sue composizioni. E disorienta chi coltiva la convinzione che musica brasiliana sia sempre sinonimo di ritmi incalzanti. Per una volta le percussioni sono relegate sullo sfondo a favore di strumenti a corda e fiati, i quali alternano lirismi e spunti jazzistici per la voce afona ma non priva di fascino di Giunga. Alcuni brani, come già nei precedenti lavori “Cheio de dedos” e “Suite Leopoldina” sono soltanto strumentali, come la splendida, iniziale Melodia Branca, dedicata alla propria figlia, che apre l’album nell’eccellente arrangiamento di Gilson Peranzzetta e lo chiude eseguito alla chitarra dallo stesso Giunga. Oppure l’onirica e delicatissima Cine Baronesa, che dà il titolo all’album, impreziosita dai vocalismi di Fatima Guedes e dalle atmosfere create dal Quartetto Maogani di sole chitarre. Non mancano spunti più movimentati, come Vo Alfredo e Orassamba, quest’ultima dal testo interessante e ricco di neologismi, entrambe composte da Giunga insieme a Aldir Blanc. Divertente la citazione di vecchi musical nel fox scritto da Giunga insieme a Nei Lopes e contrappuntato dal clarinetto di Paulo Sergio Santos, con le voci di Cecilia Spyer e di Betina Graziani. Tra le altre partecipazioni spiccano quelle del già citato Nei Lopes al canto che recita un omaggio a Rio de Janeiro; e su tutte, quella di Chico Buqrque nell’interpretazione di Yes, zé Manés, blues che sembra essere stato scritto appositamente per Giunga. Un disco da non perdere per tutti gli amanti della buona musica senza etichette. |
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VOLUME 2 Trama T500/084-2 ****
Tra le novità nel panorama musicale brasiliano continua a conservare una fetta di mercato il genere “soul-funk” indigeno, fortemente influenzato dal sound nordamericano, ma anche in grado di vantare una notevole tradizione locale. In questo genere si colloca il primo lavoro di Simoninha (il titolo è un vezzo), creditore fin dalla scelta dei brani e dei ringraziamenti a quella grande famiglia che riconosce i suoi padri nobili in Jorge Ben e Tim Maia e che vede oggi il suo nuovo campione in Ed Motta e nell’emergente Max De Castro (non a caso presente come compositore di due titoli).Si tratta di una produzione molto levigata, con arrangiamenti trendy e un groove discretamente contagioso, su cui spiccano rilassate doti canore. Non certo un capolavoro, intendiamoci, ma un disco molto piacevole e meritevole di qualche ascolto ripetuto. In un contesto di brani di media qualità firmati da Simoninha, risaltano i recuperi di alcuni classici più o meno inflazionati: una “vinheta” riecheggia Mas que nada, una traccia riprende e aggiorna Bebete Vaobora, un’altra addirittura riesuma un piccolo capolavoro dimenticato come Nanà di Moacyr Santos, innestandovi efficaci inserti rap. Quello che però più convince è il tentativo di rivitalizzare una tradizione di “crooning” para-jazzistico contaminandola con ritmiche da dancefloor. I vertici del CD sono quindi forse toccati da due ballad allo stesso tempo antiche e moderne: Orgulho, un samba lento venato della nostalgia fumosa di un corposo “scat singing” a mo’ di tromba, e la romantica, deliziosamente interminabile Eu e a brisa di Johnny Alf, che suggella un’opera prima interessante quanto promettente. |
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1 - 0
(Uno a zero) SCA 088 **** Gabriele Mirabassi (clarinetto) Patrick Vaillant (mandolino) Luciano Biondini (fisarmonica) Michel Godard (tuba) Nuovo omaggio alla musica brasiliana da parte di Gabriele Mirabassi, che dopo la felice parentesi discografica insieme al chitarrista Sergio Assad ha dedicato il suo ultimo lavoro allo Choro, nobile genere musicale brasiliano semi-sconosciuto in Italia. Insieme al mandolinista Patrick Vaillant, al fisarmonicista Luciano Biondini e al tubista Michel Godard, il colto ed eclettico clarinettista perugino ha eseguito alcuni tra i più importanti classici dello choro, documentando questa nuova esperienza in una registrazione effettuata al teatro comunale di Spello. Il disco che ne è stato tratto è stato intitolato “1 – 0”, come quello di uno standard di Pixinguinha, massimo esponente del genere. Un’operazione non priva di rischi, e non solo di ordine filologico, considerata la strumentazione eterodossa scelta per l’occasione, che non ha nulla in comune con quella tradizionale. Ma è forse grazie a questa forzatura e alla lettura interamente europea che Mirabassi e compagni hanno dato dello choro, rallentandone il ritmo ed enfatizzando le linee melodiche, che questa musica disvela tutto il suo fascino. Con la tuba di Godard a fare da contrappunto alle melodie disegnate senza sbavature e con sobrietà dagli altri strumenti, il quartetto rivisita alcune tra le più belle pagine di musica “classica” brasiliana. Il risultato è un piccolo gioiello di eleganza che rivela la maturità artistica di Mirabassi, consigliabile a chi intende accostarsi a una musica importante e densa di significati. |
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ENTIDADE URBANA EMI 528 232 2 ** |
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UNS CAETANOS CD 00527/2 *** Cristina Lemos (voce)Helena Bel (voce) |
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NA PRESSAO **** (Fabio Germinario) |
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Roma, 26.07.2001 Auditorium del Centro Studi Brasiliani (Ambasciata del Brasile)
Guinga (chitarra, voce) Lula Galvao
(chitarra)
“Existe um sax em mim chorando baixinho assim e è tao bonito uma lagrima cantar…” Choro pro Zé (Guinga – Aldir Blanc)
E’ con un brivido di malinconia e dolcezza, come il suono languido di un sax lontano, che la musica di Guinga ti entra sotto la pelle. Se ne sono accorti tutti il 26 luglio all’Ambasciata Brasiliana di Roma, a giudicare dal silenzio rapito del pubblico. Si potrebbe discettare sul virtuosismo tecnico dell’artista e di quello dei suoi compagni di avventura - il sobrio e impeccabile chitarrista Lula Galvao, lo struggente e eccelso clarinettista Paulo Sergio Santos – ma non si coglierebbe il fascino di una musica che viene da lontano, dalla tradizione nobile del choro carioca, dagli echi delle influenze impressioniste e operistiche sul patrimonio musicale brasiliano, dall’enorme rispetto per la tradizione popolare. Guinga, al secolo Carlos Althier de Souza Lemos Escobar, è in realtà un eccezionale distillatore di suoni e melodie, un compositore che trascende la mescolanza di generi da cui trae radice per raggiungere le vette di un ideale Parnaso dei classici brasiliani: Villa-Lobos, Camargo Guarnieri, Ernesto Nazareth, Radames Gnattali, Antonio Carlos Jobim. Non a caso, il tratto che lo accomuna a questi illustri predecessori è la capacità di trattare il materiale del folklore nazionale, e della stessa musica “pop”, facendolo convivere con forme più “alte” ed elaborate di espressione musicale. Il risultato è una grande sottigliezza e complessità formale, unita a una immediatezza e a una cantabilità di rara presa emotiva, sulle sei corde come nell’interscambio tra le voci degli strumenti.E’ quasi tutta musica strumentale quella che presenta in concerto, brani di splendida fattura come "Choro pro Zé", "Cheio de dedos", "Choro Perdido", "Par constante", tratti per lo più da vecchi lavori come Delirios Cariocas, Cheio de Dedos e Suite Leopoldina. A tratti emerge l’amore per il jazz, per architetture di velocità vertiginosa. Ed è sempre presente, anche nei pezzi più gioiosi, quell’aura di saudade, di lirica mestizia che costituisce il marchio di fabbrica della migliore musica brasiliana: chiaroscuri emotivi resi con inimitabile sapienza strutturale, quasi bachiana.Con timida amabilità e ammirevole semplicità Guinga ha incantato la platea e il sottoscritto, cercando di spiegare in portoghese lento l’origine di alcuni brani, presentando con orgoglio e parole di stima e gratitudine i due colleghi, addirittura concedendosi al canto con una delicata “Sacì”, lui solitamente così restio ad esibirsi come vocalista (“Cantare è un grande sforzo per me, credo di essere un cattivo cantante” ha dichiarato alla stampa). E quando è uscito dalla sala al termine del concerto, in un trionfo di applausi, non ha smesso di sorridere, di comunicare agli ascoltatori deliziati che la musica è tutto: arte, gioia, comunicatività, convivialità, poesia, bellezza. Grazie Guinga.
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